Il rapporto tra KrleĹža e lâItalia non è di certo tra i piĂš lineari. Silvio Ferrari lo ha evidenziato riferendo come KrleĹža avesse âun atteggiamento di distaccata saggezza nei confronti del nostro Paese, quasi a dire: âSiete una terra che ho profondamente amato, ma poi da voi ho avuto solo delusioni, aggressioni, incomprensioniââ .
Prima di analizzare i singoli giudizi di slavisti, letterati e uomini di cultura italiani nei confronti del piĂš grande pensatore croato e jugoslavo del XX secolo, descriviamo qui di seguito le tappe piĂš significative della â(s)fortuna di KrleĹžaâ , definizione efficace delle peripezie dellâ opus krleĹžiano nel nostro Paese.
Cronologia delle pubblicazioni krleĹžiane in Italia
In questa cronologia sono elencati i momenti salienti nella divulgazione della conoscenza di KrleĹža in Italia facendo, quando sarĂ necessario, dei rimandi ad altri avvenimenti riguardanti la storia del letterato zagabrese, per una miglior comprensione dellâevoluzione della sua opera in Italia.
Nel 1928 esce un articolo di Wolfango Giusti su Rivista di letterature slave dedicato a KrleĹža; nello stesso anno un altro grande slavista, il croato Dragutin Prohaska (1881-1964), si occupa dellâautore dei Glembay in Letteratura serbo-croata, edito a Praga.
Nel 1932 Arturo Cronia cura lâ Antologia serbo-croata e in essa vengono pubblicate due poesie di KrleĹža tratte dalla raccolta Tre sinfonie; nel 1933 la voce âKrleĹžaâ compare sullâ Enciclopedia italiana, composta dal padre della slavistica italiana moderna, Giovanni Maver (1891-1970). Gli aggiornamenti successivi saranno a cura di Predrag MatvejeviÄ, il quale si occuperĂ della produzione krleĹžiana fino agli anni Settanta, ovvero sino alla sua conclusione, aggiungendo, alla voce iniziale, giudizi critici sintetici. Nel 1935, Antonio Miclavio tratta di KrleĹža sulla rivista LâItalia letteraria. Nello stesso periodo, anche il regista e saggista futurista Anton Giulio Bragaglia, attraverso Gerardo Guerrieri e Ruggero Jacobbi giunge a conoscenza dei drammi del nostro autore, giĂ tradotti peraltro in italiano .
Nel 1941 Luigi Salvini, allâepoca lettore di Lingua italiana a Zagabria, conosce personalmente KrleĹža, pubblicando, per i tipi di Garzanti, varie sue poesie nella raccolta Poeti croati moderni. Nel 1952, KrleĹža tiene la famosa relazione introduttiva al Congresso degli scrittori jugoslavi a Ljubljana, âFra Ljubljana e lâOccidente câè in quegli anni una specie di guerra fredda, nel senso che, pur essendo scoppiata da quattro anni lââeresiaâ titoista, la Jugoslavia, resta, agli occhi del mondo, un Paese comunista. Per giunta, tanta parte della sinistra italiana, in primo luogo il gruppo dirigente del Pci, guarda ancora con freddezza e ostilitĂ allo strappo compiuto da Belgrado nei confronti dellâUnione Sovietica e di quel fondamentale testo di antidogmatismo estetico, nulla raggiunge Trieste o Romaâ .
Tra il 1955 e il 1963 esce Storia della letteratura serbo-croata di Arturo Cronia il quale, nonostante la grandezza di KrleĹža sia ormai riconosciuta a livello internazionale, mantiene un certo scettiscismo nei confronti dello scrittore zagabrese. Nel frattempo, lâopera krleĹžiana âè tradotta in una decina di grandi aree linguistiche europee ed extraeuropee e il (suo) autore viene âconsacratoâ, soprattutto in Franciaâ .
La dimensione europea di KrleĹža è celebrata, nel 1964, da Giancarlo Vigorelli (1913-2005) in LâEuropa letteraria e, successivamente, tra il 1970 e il 1971, KrleĹža trova degna sistemazione nelle Letterature dei popoli della Jugoslavia di Bruno Meriggi, ove gli è dedicato un capitolo specifico della storia del Novecento in Jugoslavia e di lui si parla come dellâintellettuale croato di maggiore statura nel periodo tra le due guerre.
Meriggi però, pur concedendo il dovuto rilievo al piĂš importante scrittore croato del secolo, mancherĂ di una completa analisi della produzione krleĹžiana, approfondendo particolarmente alcune opere a discapito di altre, comunque fondamentali. Inoltre, la sua morte improvvisa, pochi anni dopo, interromperĂ un progetto di traduzione delle opere di KrleĹža âche avrebbe dato probabilmente allo scrittore croato lo stesso rilievo (se non il successo) che lo slavista era riuscito a ottenere dieci anni prima con la versione italiana dei romanzi di AndriÄâ .
Nel 1974, in occasione della Rassegna internazionale dei Teatri Stabili tenutasi a Firenze, il gruppo teatrale KonÄar presenta in lingua originale il dramma Golgota. In quella circostanza Ruggero Jacobbi scrive un saggio di presentazione in cui definisce KrleĹža âimmenso narratoreâ.
Nel 1978, KrleĹža riceve il premio Mediterraneo a Palermo e lâanno seguente, grazie ancora una volta a unâiniziativa di Giancarlo Vigorelli, è pubblicato un corposo Omaggio a Miroslav KrleĹža sulla Nuova Rivista Europea. Vigorelli in quellâoccasione, scriverĂ : âLâanno scorso, su mia proposta, il premio internazionale Mediterraneo è stato assegnato, il 22 settembre in Palermo, a Miroslav KrleĹža. Qualche eco non mancò, ma il silenzio tornò subito sul suo nome, niente della sua opera sterminata essendo stato tradotto da noi, dove pure si traducono autori inutili e senzâaltro immeritevoli [âŚ]. Egli non è soltanto il maggiore scrittore croato e di tutta lâarea jugoslava, ma uno dei piĂš autorevoli maestri sopravissuti della letteratura europea tra le due guerre. Ă inspiegabile, oltretutto, lâignoranza della sua opera di poeta, di romanziere, di narratore, di saggista, di diarista, di polemista qui da noi, mentre, da una ventina dâanni, è invece in atto la riscoperta, se non la scoperta, dellâintera letteratura mitteleuropea e lâassenza è piĂš grave da parte nostra, riscontrando le numerose traduzioni di KrleĹža apparse in Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Austria, le due Germanie, Portogallo, Olanda, Paesi scandinavi, Urss e tutti i Paesi della cosiddetta area socialista. Sono anni che mi batto per introdurre KrleĹža nella nostra cultura tanto piĂš che lui, a nostro vantaggio e accrescendo cosĂŹ il nostro debito, ben conosce da Jacopone ai giorni nostri .
Tra il 1981 e il 1982, Silvio Ferrari riesce a pubblicare finalmente il primo titolo di KrleĹža in italiano: due racconti da Il dio Marte croato, con unâintroduzione che presenta le svariate difficoltĂ incontrate nella ricerca di un editore. Ferrari, infatti, racconta: âHo trovato un editore per KrleĹža, ma è stato faticoso. In compenso ho avuto anni di contatti, carteggi, persino di contratti preventivi, colloqui e sondaggi che mi hanno fatto conoscere e girare [âŚ] e mi hanno consentito di produrre un furioso mulinello di tentativi e sollecitazioni personali ai limiti dellâaggressivitĂ . Scrivevo e offrivo copie del materiale tradotto a piĂš gente che potevo, [âŚ] cercavo lâappoggio di qualche slavista â quale errore! Uno mi rispose in modo logicamente ineccepibile e culturalmente⌠folle che⌠lâultima cosa che interessava uno slavista era una traduzione in italiano di unâopera in lingua slava⌠â. Nel frattempo, ho avuto tanti colloqui con KrleĹža, ho imparato a conoscerlo meglio e ad amarlo di piĂš, ho avuto molti rapporti con la cultura jugoslava, soprattutto a Zagabria, e ho cominciato a pubblicare qualcosa sul KrleĹža, finalmenteâ .
Nel decennio tra il 1982 e il 1992, escono altri quattro titoli: Il ritorno di Filip Latinovicz, Sullâorlo della ragione, I signori Glembay e la Prefazione ai motivi della Podravina. Queste pubblicazioni, unite a una serie di articoli di recensione e commento, apparsi, per lâoccasione, su quotidiani e settimanali, permettono, come dice Ferrari, âla conoscenza di un protagonista di settantâanni di storia croata e jugoslava: dagli Asburgo alla Repubblica socialista federale jugoslava, da Finis Austriae a Finis Jugoslaviaeâ .
Nel 1992 MatvejeviÄ, che aveva giĂ dato, alla fine degli anni Sessanta, il suo contributo con le Conversazioni con Miroslav KrleĹža, pubblica in italiano, Lâepistolario dellâaltra Europa e, nel 1998, Il Mediterraneo e lâEuropa, in cui in vari capitoli è ricordata la figura dello scrittore zagabrese. Opportuno sottolineare è anche lâattenzione dello scrittore Claudio Magris rivolta a KrleĹža a cui dedica, nella raccolta Danubio, un paragrafo del capitolo sulla Pannonia. Ricordiamo, infine, la messa in scena del Michelangelo Buonarroti, realizzata a Firenze nel marzo del 2001 dalla compagnia di prosa Teatro popolare dâArte MascarĂ , per la regia di Gianfranco PedullĂ .
Altri strumenti utili allâapprofondimento del nostro autore per il lettore italiano sono la Storia della letteratura croata di Dubravko JelÄiÄ, tradotta e curata da Ruggero Cattaneo e pubblicata nel 2005, e le voci dedicate a KrleĹža allâinterno dellâedizione della Garzantina della Letteratura del 2007, aggiornate, riviste e approfondite dallâautore di questo libro.
Le Ballate di Petrica Kerempuh
Nel 2007, grazie al lavoro instancabile di Silvio Ferrari, Einaudi pubblica la traduzione integrale con testo a fronte delle Ballate di Petrica Kerempuh. Una prima traduzione, per lâesattezza, era giĂ stata fatta da Ferrari per la messa in scena delle Ballate recitate dallâattore Bebo Storti, nellâestate 2003 al Mittelfest di Cividale del Friuli, da un progetto di Giorgio Pressburger.
Le ballate sono considerate un capolavoro della poesia novecentesca: scritte negli Trenta del â900, si tratta di trentaquattro componimenti poetici di differente lunghezza in cui KrleĹža recupera il dialetto kajkavo arcaico croato, reinventandolo e innalzandolo a livelli mai raggiunti in precedenza.
In sostanza, âKrleĹža, come Brecht, conobbe le teorie dellâavanguardia russa, in particolare le idee dei formalisti sullo âstraniamentoâ. E se ne servĂŹ in maniera originale. Avvertendo che, nella cosiddetta âpoesia impegnataâ, lâimpegno stesso finiva col divorare molto spesso lâessenza della poesia. Egli rivolse lâattenzione della lingua letteraria verso il dialetto kaikavo croato, parlato da cittadini e contadini nei dintorni di Zagabria e in tutta la regione dello Zagorje (regione a nord di Zagabria dove il kajkavo è tuttora parlato, come del resto anche a Zagabria, N.d.a.). Conservando il sistema fonetico e sintattico di questo dialetto, KrleĹža riuscĂŹ a creare in esso un insolito linguaggio poetico, esprimendo i piĂš profondi impulsi del populismoâ .
Divenute ben presto un classico della letteratura croata del XX secolo e recitate e rappresentate innumerevoli volte (memorabile, tra le tante, lâinterpretazione del grande attore Rade Ĺ erbedĹžija), alcuni versi de Le ballate sono divenuti proverbiali, al punto da essere usati correntemente nella lingua parlata, perlomeno in Croazia. Inoltre, âcostituiscono una sorta di modello straordinario della cosiddetta âcultura bassaâ, cioè del modo di lamentarsi, denunciare, ridere, piangere e gridare, condotto da questo alter ego di Till Eulenspiegel [personaggio del folklore del nord della Germania e dei Paesi Bassi dal carattere burlone e beffardo, N.d.a.] che risponde, appunto, al nome di Petrica Kerempuh, variante croata dellâantica figura del chierico vagante, sfaccendato, braccato, spretato, studente, crapulone, cinico e patetico al tempo stesso, presente sulla scena di tutte le culture letterarie europee. Fin dal nome, che potrebbe essere reso in lingua italiana con un Pierino Trippone o, meglio ancora, âbudello di porcoâ (per la gran voracitĂ del mangiatore), Petrica interpreta, in modo impareggiabile, una sorta di rivisitazione della cultura croata a partire dal XVI secolo, cioè dallâepoca delle prime rivolte contadine, fino allâetĂ romantica e alle tensioni politiche del primo Novecento. In essa, gli elementi di subalternitĂ e oppressione vengono presi a pretesto per dar vita a un aggressivo linguaggio del dolore e della protestaâ .
Questa poesia di sofferenza e di scherno del mondo, tragica e comica, un vero unicum dellâ opus krleĹžiano, sconosciuta allâEuropa occidentale, a settantâanni dalla sua pubblicazione in Croazia, è finalmente disponibile. Ovviamente lâopera, come aggiunge MatvejeviÄ, è di âSilvio Ferrari che ha raccolto la provocazione di offrire al lettore italiano questo mirabile e incomparabile testo poeticoâ, evidenziando âlâimpresa del traduttoreâ e ringraziandolo per âlâenorme fatica e lâabilitĂ mostrataâ .
A giudizio di Ferrari, âvi sono due periodi nevralgici in cui una âfortunaâ di KrleĹža avrebbe potuto avere un peso e un significato per la cultura italiana: il quinquennio 1917-1922 e quello 1948-1953â . In entrambi i casi questa conoscenza approfondita non è avvenuta. KrleĹža è arrivato quindi solo negli anni Ottanta, quando la sua poetica e il suo pensiero non erano certamente cosĂŹ attuali come negli anni Trenta. âNel primo quinquennio â secondo Ferrari â KrleĹža avrebbe potuto essere un utile e originale parametro di riferimento rispetto ad altri intellettuali e artisti che avevano intrapreso analoga funzione nel contesto Mitteleuropeo. Quale? Quella di sovvertitore culturale politico del mosaico asburgico e quella di âtrombaâ della rivoluzione bolscevica, squillata, in termini letterari, da parte di molti giovani autori, convinti che la cannonata dellâ Aurora alla fonda nel porto fluviale di Pietrogrado avrebbe salutato il prorompere del secolo. E ancora prima, negli anni del primo conflitto mondiale, KrleĹža poteva essere accostato, come del resto accadrĂ a livello europeo per la sua produzione letteraria dei primi anni Venti, a quellâaltra schiera di scrittori che avevano assistito agli âultimi giorni dellâumanitĂ â, combattendo nel fango della Galizia. Per contro, giĂ con la metĂ degli anni Venti, KrleĹža avrebbe potuto dire qualcosa di molto interessante sul tema del rapporto fra speranze rivoluzionarie e burocratizzazione di un nuovo impero, quello dellâUrss, con qualche anticipo rispetto a successive esperienze di intellettuali provenienti dallâEuropa occidentale, âesploratoriâ privilegiati del territorio russo. Questo, in particolare, se la sua straordinaria testimonianza Gita in Russia, edita nel 1926, fosse arrivata in tempo utile a qualche orecchio sensibile della nostra cultura. Anche il decennio 1929-1939 (insuperato, in effetti, nel bilancio dei valori espressi da questo autore) avrebbe certamente rappresentato un notevole bagaglio letterario da trasferire anche nel nostro Paese. Tuttavia, per quegli anni, il ragionamento deve essere rapportato al concomitante periodo di massima autarchia culturale, vissuta dallâItalia in quello stesso...