Una testimonianza diaristica: il Diario di Zlata
Nella grande abbondanza di testimonianze e di informazioni che ci giungono dall’ex Jugoslavia, le parole di Zlata, il racconto di questa ragazzina che si ispira ad Anna Frank, assumono una risonanza particolare. In questo momento in cui la questione della Bosnia è insabbiata in trattative senza fine, il suo libro restituisce a ciascuno di noi la consapevolezza di questo dramma.
Con queste parole, Bernard Fixot presentò al mondo Zlata, la giovane testimone del lungo assedio della città di Sarajevo ; nell’ottobre del 1993, la giornalista Christiane Rancé gli riferì che nella città bosniaca, ormai diventata una prigione per i civili che erano rimasti, tra i colpi di mortaio e le morti di stenti, viveva una bambina scrittrice. Da qualche tempo si stava dedicando alla stesura di un diario che, con il passare dei giorni, era diventato più di uno strumento per riempire le lunghe e vuote giornate di attesa: nell’isolamento imposto dai proiettili dei cecchini, un semplice quaderno era diventato un amico, al quale confidare le paure e le angosce che attanagliavano lei come tutti coloro che erano costretti a condividere la sua stessa sorte. Questa descrizione richiama alla mente un diario ben più noto, che lo stesso Fixot cita: il nome Anne Frank porta con sé un terribile ricordo, così doloroso da non poter sopportare anche solo l’idea che eventi simili possano nuovamente accadere. Ma la storia, come soggetta ad un andamento ciclico incontrastabile, ripropone i medesimi scenari, in diversi luoghi e in diversi tempi, ma con la stessa, incomprensibile ferocia.
Grazie all’iniziativa del Centro Internazionale della Pace, vennero scelte alcune pagine significative del diario che vennero lette ad un ristretto pubblico sarajevese il 17 luglio del 1993, facendone circolare un numero limitato di copie. Successivamente, con il consenso di Zlata, la fotografa Alexandra Boulat, impegnata al tempo nel documentare i fatti della guerra, portò con sé una copia integrale dello scritto a Parigi, luogo della prima pubblicazione; Le Journal de Zlata - le cui vicende prendono inizio il 2 settembre 1991 e si concludono il 19 ottobre 1993 - venne pubblicato in lingua francese nel 1993, ricevendo grande attenzione da parte del pubblico. La forma del diario è quella tipica del journal intime, in cui le date scandiscono giorni spensierati che, con l’avvicinarsi della primavera del ‘92, diventano sempre più rari. Le pagine di ricordi e pensieri innocenti si trasformano gradualmente in vere e proprie cronache di sofferenza, che raccontano il freddo dell’inverno, le lacrime della gente, il tormento della fame, racconti tanto strazianti da non poter essere definiti altrimenti se non memorie di guerra.
Le produzioni che rientrano nel genere diaristico - nel caso specifico, il diario intimo - permettono al lettore di conoscere colui che scrive tramite il racconto dei fatti: Zlata, l’autrice, che è protagonista ma anche narratrice degli eventi, presenta se stessa - la sua vita, le sue riflessioni, i suoi affetti - in modo del tutto spontaneo, come se un legame di conoscenza reciproca esistesse da sempre tra lei e quanti tengono tra le mani quello che è diventato - solo successivamente - un ‘diario pubblico’. Il patto narrativo fondato sulla familiarità che emerge dalla narrazione è da ricondursi a quel rapporto di amicizia instaurato tra Zlata e il suo diario, suo amico, suo unico, silenzioso e comprensivo confidente: è uno strumento tramite il quale racconta il suo vissuto da un punto di vista del tutto personale, estraneo a qualsiasi fine divulgativo. Per questo motivo può essere considerato come un vero e proprio specchio della realtà, poiché viene creato al solo scopo di fungere da confidenza che l’autrice tiene per sé. ‘Mittente’ e personificazione del ‘destinatario’ creano un universo conchiuso, dove convivono in una consapevole e voluta solitudine, luogo nel quale non sono necessarie strategie di narrazione che mascherino il reale nel tentativo di ammantarlo di originalità, così come non è rilevante uno stile sorvegliato e una correttezza formale che si attenga a rigidi canoni stilistici. Quotidianità, semplicità, verità sono le parole chiave che ci permettono di leggere e comprendere pienamente il significato delle parole di questa bambina, che ci racconta la triste storia della sua città morente con lo strumento che in modo più vero «restituisce a ciascuno di noi la consapevolezza di questo dramma» : la sincerità.
Nel diario, la sincerità è «l’esigenza da raggiungere» , la sua peculiarità che, in quanto conditio sine qua non, rafforza ancor più l’essenza di verità delle parole in esso riportate; per l’autore, è ‹‹quella trasparenza che gli vieta di gettare ombra sui limiti dell’esistenza di ciascun giorno›› , che non lascia spazio all’artificioso, che non ammette una descrizione offuscata degli eventi dell’animo e della realtà, ma solo dettagli limpidi, attinenti al vero. «Ogni giorno dice qualcosa. Ogni giorno registrato è un giorno preservato» : rimane intatto, custodito in un archivio personale, al quale si può accedere anche solo per richiamare brevemente l’impressione di quell’atmosfera lontana, sperando di averla catturata in quelle righe. Quel ‘qualcosa’ può essere gioia, allegria, stupore; ma può essere anche sgomento, esasperazione, paura. Rimarrà ugualmente intatto. Ciò che porta sconforto, però, non può essere dimenticato, neppure se seguito dal più felice degli eventi: rimane solo nascosto.
Quali potrebbero essere i ricordi felici da rievocare, tra quelli che appartengono ad un periodo vissuto in guerra? Una torta di compleanno, un regalo molto discreto, la disponibilità d’acqua, una lettera inviata da un caro che oramai non si sperava più fosse in vita? Una domanda, questa, che non trova risposta, esattamente come quella che Zlata pone a se stessa, al suo diario, al mondo: «Una volta ho sentito dire che l’infanzia è il periodo più bello della vita. Ed è vero. Io amavo la mia infanzia, e ora una terribile guerra mi sta portando via tutto. Perché?». (DZ, p.62)
Ogni data porta con sé l’immagine di quei tristi giorni - per sempre perduti - della sua giovane vita; momenti mai pienamente vissuti, rinchiusa tra le mura domestiche o respirando l’aria umida della cantina, dove regnano le tenebre; le stesse tenebre che adombrano i suoi occhi, mentre tentano, con fatica, di trovare il coraggio per guardare al futuro:
Questa sera, dunque, tutto il mondo mi guarderà (ed è tutto per merito tuo, Mimmy ). Nel frattempo guardo la candela, e tutto intorno a me è buio. C’è solo il buio. Il mondo può vedere lo stesso buio che vedo io? Così come io stasera non potrò vedermi in televisione, il mondo non potrà vedere le tenebre che mi circondano. Viviamo agli antipodi. Le nostre vite sono diverse. Loro vivono nella luce. Noi nell’oscurità. (DZ, p. 141)
Ma è appunto in quel preservare il ricordo - aggrappandosi alle parole - che Zlata trova una via «per salvare la propria vita per mezzo della scrittura, per salvare la piccolezza del proprio io» ; trova un modo per non perdere se stessa in quell’infernale delirio di spari e macerie che è la guerra, nella quale si è improvvisamente trovata a svolgere il ruolo di «messaggera di pace». (DZ, p. 139) Salva se stessa dai pensieri di morte che invadono la sua mente nei momenti di estrema debolezza ed esasperazione, ma salva anche le vite straziate dei suoi concittadini dall’oblio e rende giustizia alle ‘piccole’ esistenze, che altrimenti resterebbero nell’ombra, dimenticate.
Il 21 ottobre del 1992, Zlata scrive che il suo diario è stato selezionato, tra quelli di altri bambini, per essere pubblicato ; ora, il suo piccolo universo conchiuso non è più solo un luogo di confidenze personali, un travagliato dialogo tra sé e sé. Qualcosa è cambiato: le parole innocenti che narrano della guerra vissuta ‘nella’ guerra acquistano un significato unico, insostituibile, caratterizzato da un quid che lo rende la chiave per aprire le porte dell’anima di coloro che non vivono questa penosa esperienza. Questo testo può divenire l’esternazione, tramite un’unica voce, di un dolore condiviso; è il pianto silenzioso di «tutti gli altri bambini che sono stati privati dei loro anni felici e a cui è stata tolta la gioia di vivere» (DZ, pp. 139-140). Verso la fine della sua prigionia, mentre le esplosioni non accennano ad arrestarsi, Zlata è ormai convinta che la sua vita non tornerà mai più ad essere quella di prima: i weekend a Crnotina , la vista del monte Jahorina , il fruscio delle foglie, la scuola, la cioccolata; ricordi di un’altra vita, forse solo immaginata, forse mai vissuta. Il mondo, però, quel mondo a cui si è rivolta permettendo la pubblicazione del duo diario, le sta dando una possibilità di liberarsi del gravoso peso delle sue sofferenze:
Ti pubblicheranno all’estero. Ho dato il mio permesso, così che il mondo sappia le stesse cose che ho scritto a te. Ti ho parlato della guerra, di me e di Sarajevo durate la guerra, e il mondo vuole sapere tutte queste cose. […] Continuo a pensare che siamo da soli in questo inferno, che nessuno pensa a noi. Invece ci sono delle persone che pensano a noi e a cui noi stiamo a cuore. (DZ, pp. 164-165)
Sembrano riecheggiare, in queste frasi, le speranze - purtroppo non realizzate - espresse in quel ben più famoso diario:
Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, sono partecipe del dolore di milioni di persone, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto tornerà a volgersi al bene, che anche questa durezza spietata finirà, e che nel mondo torneranno tranquillità e pace.
A tratti, anima e corpo sembrano assopiti, nell’assistere agli ormai consueti disordini in città, dove la morte è vigile e da innumerevoli giorni macchia le strade del sangue di chi ancora sopravvive. Un senso di abitudine si insinua tra le mura degli edifici fatiscenti, come se vivere all’inferno fosse diventata la normalità. Ma anche grazie a Mimmy, Zlata si desta da questo torpore, fatale per le menti deboli e distrutte, e si affaccia alla realtà, che al di fuori di Sarajevo e dalla Bosnia sembra essere rimasta intatta: non rie...