Il cane di Dub?ek
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Il cane di Dub?ek

About this book

Dub?ek, di origini provinciali, con la semplicità dei suoi modi e del suo sorriso era riuscito, nel gennaio del 1968, in piena Guerra Fredda, ad arrivare alla dirigenza della segreteria del Partito comunista cecoslovacco, raccogliendo intorno a sé le istanze dei dissidenti e di chi chiedeva verità storica sui processi politici, sulle condanne a morte del regime e sull'alleanza fra l’Unione Sovietica e la Germania nazista, all’epoca della spartizione della Cecoslovacchia, della Polonia e della Romania (1939-40). La Cecoslovacchia aveva conosciuto un tetro periodo di intense e sanguinose repressioni politiche. Dub?ek liberò le arti, le lettere, gli studi dalla cappa della censura di regime e aprì i confini, portando in auge molti dei partigiani che avevano fatto la resistenza.
Quando, abbandonato dall’Occidente, subì la condanna sovietica e la Cecoslovacchia fu invasa dalle armate del Patto di Varsavia e dell’Urss, il 21 agosto 1968, Dub?ek e i suoi compagni furono rapiti nottetempo, portati a Mosca e costretti a firmare una “resa”. Successivamente fu espulso dal partito e messo di fatto agli arresti domiciliari, ridotto al silenzio, seguito da informatori giorno e notte, con un modesto impiego come meccanico della guardia forestale.
Nel 1989 uscì dal silenzio e tornò in politica a fianco dei dissidenti della Rivoluzione di Velluto che pacificamente fece crollare il regime cecoslovacco mentre a Berlino crollava il muro. Dub?ek, fino alla sua tragica fine, avvenuta a causa di un misterioso incidente automobilistico nel 1992, fu bollato come “comunista” da politici nazionalisti che riabilitavano “vecchie glorie” del fascismo e dello stalinismo e non potevano tollerare il volto umano del suo socialismo. Dub?ek d'altro canto non volle mai rinunciare a difendere la sua Primavera e quei suoi particolari ideali comunisti che lo avevano guidato e gli erano costati la libertà e tanti sacrifici ricaduti anche sulla sua famiglia e sui suoi amici. Nei giorni in cui l’autore scrisse questo racconto, assisteva all’agonia di un cagnolino, di nome Lucky, che gli ispirò questo speciale punto di vista “canino”, pietoso e più che umano, pensando a Diogene, che provocatoriamente cercava l’uomo fra le folle e pensava che l’etica canina avesse molto da insegnare agli uomini, lupi per i loro simili, che fanno paura anche ai veri lupi.

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Information

Indice dei contenuti

© Copyright Infinito edizioni, 2020

Prima edizione: giugno2020
Infinito edizioni S.r.l.
Formigine (MO)
Posta elettronica: [email protected]
Sito Internet: www.infinitoedizioni.it
Facebook: Infinito edizioni
Instagram: Infinito edizioni
Twitter: @infinitoed
Google+: Infinito edizioni

ISBN 9788868614928

Immagine di copertina: Patricia Prochazkova (per gentile concessione)
Copertina: Infinito edizioni
Impaginazione e grafica: Giulia Pasqualin/Infinito edizioni

Voi non avete fermato il vento,
gli avete solo fatto perdere tempo .
(Fabrizio De André, 1973)





Penso che gli umani avrebbero molto da imparare dai cani, ma tranne Diogene di Sinope (quello là che viveva in una botte, ad Atene, e cercava l’uomo con una lanterna) e la mia padrona, ho l’impressione che in pochi se ne siano accorti. Dall’altra parte va detto però che, nella mia lunga vita (vent’anni per noi cani sono un bel traguardo), ho avuto modo di vedere la più atroce crudeltà fra gli uomini, ma anche bontà, tanto rara eppure tanto limpida da rischiarare il bilancio complessivo della storia della specie umana.
Il buono è timidissimo coniglio che schiva il potere. Ah, se le leggi le facesse chi non ha potere e non ne vuole avere… si dice che uno scrittore teatrale, che ora si trova in prigione, un uomo baffuto e con l’erre moscia dei timidi, un certo Václav Havel, abbia scritto qualcosa di clandestino proprio su questo tema: “il potere dei senza potere”. Chissà che ci possa essere un futuro nel quale anche uno scrittore possa essere presidente della Repubblica? Noi cani non sappiamo leggere perché non ne abbiamo bisogno, ma gli uomini senza lettura sono come una scimmia con un mitra in mano, un cinghiale laureato in marketing. Penso che gli scrittori liberi (non gli “ingegneri dell’anima”) siano come la coscienza di un popolo, gli anticorpi al virus del fanatismo e del totalitarismo, contro il quale i singoli individui, risvegliati nella loro verità e nella loro libertà, diventano come una pacifica valanga che si ingrossa e travolge le dittature, riportando l’uomo all’uomo, in grado di vivere senza distruggere se stesso, il pianeta e le altre speci.
Mi sono accorto che la bontà è timida e nascosta, come la mia padrona dagli occhi di bosco, la quale non sa di essere bella da mozzare il fiato; è molto giovane, sono assuefatto all’odore che emana e alla sua voce. Ritengo che presto troverà un altro essere umano che non se la farà scappare. Spero ardentemente che possa essere qualcuno che ogni tanto mi butti qualche fettina di salame. Adoro il salame, ma la mia padrona mi tiene a dieta, per conservarmi in buona salute, e gliene sono grato, perché davanti al cibo non riesco a controllarmi, potrei mangiare montagne di salsicce.
Da parte mia sono fatalista e so anche che la vita non basta mai, a nessun essere vivente; però prima o poi, in salute o no, me ne dovrò andare. Sono ancora di bocca buona e godo di ottima salute, per il momento: un vecchietto arzillo insomma. Vi posso dire, senza timore di essere smentito, che ai giardini faccio ancora sognare tante cagnoline. I maschi mi temono, come un principe, anche i giovani bulli più grandi e grossi di me girano alla larga. Lascio diversi messaggini olfattivi, che per noi sono come lettere o persino poesie d’amore alle cagnoline dei dintorni, le quali, annusandoli, sospirano piene d’ardore.
Non sono aggressive, se non con i prepotenti. Non sopporto la mancanza di cavalleria e la sopraffazione dei più forti. Chi rifiuta il pensiero e schiaccia altri esseri viventi, accettando gli ordini dei vigliacchi che stanno sopra di lui e pensano al suo posto.
Anche noi cani dei giardini di Dubravka, un quartiere di Bratislava, abbiamo avuto il nostro Sessantotto. In quella primavera potemmo finalmente attraversare liberamente il confine con l’Austria, senza essere sparati (come centinaia di persone e cani prima, buttandosi a nuoto nella Morava). Passammo il Danubio, attraversammo Petržalka, accanto ai bunker che avevano resistito ai tedeschi, a sconosciute fosse comuni che solo noi cani sappiamo dove sono, e correndo per i campi arrivammo fino a Kittsee. Eravamo a un passo da Vienna, eppure quel mondo ci appariva così lontano. Pensavamo alla fortuna degli uccelli che abitano il cielo e infischiandosene della cattiveria terrestre, durante guerre e repressioni, continuano a viaggiare da una parte all’altra e a fare i nidi anche fra le macerie.
In Austria ci offrirono dei wurstel e conoscemmo alcuni cani austriaci che furono molto curiosi nell’annusarci, sorpresi e un po’ sospettosi.
Quell’anno io stesso ho guidato un gruppo di cani altruisti e civisti contro i cani che volevano reprimere le nostre libertà invadendo il nostro giardino, proveniendo da quartieri lontani, a est di Bratislava. Noi sapevamo che ce n’era per tutti, non volevamo ru...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Il cane di Dubček
  3. Indice dei contenuti