Come diventare una supereroina
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Come diventare una supereroina

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Come diventare una supereroina

About this book

A volte, pur non nascendo supereroi, lo si diventa per cause di forza maggiore. Lo dimostra questo libro, nel quale si raccontano con stile autobiografico le avventure vere e tragicomiche di un’eroina “politicamente scorretta” dei nostri giorni che affronta con ironia e spirito critico le peripezie quotidiane di una malattia cronica e le incapacità del sistema sanitario nel fare una diagnosi e trovare una cura.
Spassosa e burrascosa, fragile ma di animo risoluto, l’autrice alterna toni e mezzi letterari narrando il cammino che l’ha portata a diventare una supereroina per salvarsi la vita e trovare una speranza nel futuro. La sua vicenda rappresenta un pezzetto di ognuno di noi con le criticità che siamo costretti ad affrontare in frangenti dolorosi e che ci uniscono in una sola fragile umanità.

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Apocalypse Now

(2019)

Dieci gennaio 2019, il giorno dell’Apocalisse.
Le feste di Natale sono passate da pochi giorni, si torna pian piano alla routine: ormai sono entrata in una fase nella quale riesco a uscire di casa durante la settimana e mi reco – sempre accompagnata – presso un circolo culturale dove fornisco assistenza agli studenti nello studio delle lingue straniere. Diciamo che soffro e arranco come sempre (non c’è una sola lezione durante la quale il cuore non vada fuori giri) ma mi avvicino a uno stile di vita che inizia ad assomigliare all’esistenza delle persone normali.
Quel giorno avverto strani capogiri che mi costringono a letto, ma non mi allarmo perché con i farmaci che devo assumere ci può stare; nel tardo pomeriggio però la situazione peggiora: la Tachi è al galoppo, il cervello sembra muoversi per fatti suoi dentro la calotta cranica, sembra liquido; dopo cena le vertigini si fanno più frequenti e mi decido a chiamare la guardia medica ma ai numeri indicati non risponde mai nessuno. Non mi resta che il pronto soccorso.
Mi accingo così al primo giro in ottovolante della mia vita, ovvero un viaggetto in ambulanza che mancava nel palmarès delle “esperienze spassose” fatte grazie alla mia malattia; nel frattempo chiamo anche i miei familiari perché non riesco ad alzarmi dal letto e ho bisogno di qualcuno che apra la porta all’arrivo dei paramedici. Dopo un po’, arrivano due donne e un uomo: sono gentili e molto professionali ma, ahimè, l’ambulanza è quello che è, quindi durante il tragitto curve e buche della strada si fanno sentire e a ogni vertigine della testa corrisponde un boato della Tachi nel petto; intanto i piedi sono due blocchi di ghiaccio e penso che quando arriva la tua ora forse è un po’ così, chi lo sa…
Al mio arrivo in ospedale, elettrocardiogramma di ordinanza (qui entra in gioco la storia della depilazione di cui vi dicevo) e subito dopo mi parcheggiano in una saletta visite, dove attendo l’arrivo del medico di turno quella sera.
Ho un pigiama lilla a losanghe, le scarpe da tennis e i capelli sconvolti: sembro una scappata di casa.
Dopo circa un quarto d’ora arriva la dottoressa: è la stessa di tre anni fa ma lei non può ricordarsi di me, chissà quanti pazienti vede all’anno, quindi cerco di spiegarle cosa è accaduto ma innanzitutto devo informarla del mio quadro clinico generale che di per sé è già abbastanza complesso, per cui ho bisogno di tempo… che non ho perché ogni tot minuti qualcuno la chiama, lei se ne va e mi interrompe: di fatto, per spiegarle la situazione della tiroide ci metto mezz’ora con lei che va e viene e alla fine non so nemmeno se e cosa abbia realmente capito.
In questa notte, ironia della sorte, inizia a nevicare, una leggera spruzzata che mette in agitazione gli animi, ma soprattutto fa sì che diversi vecchietti incauti si fracassino le ossa.
C’è una tizia alta come una giraffa che sta meglio di me e sbraita per il corridoio che vuole andarsene perché ha paura di rimanere bloccata per la neve, ma l’elettrocardiogramma dice “possibile infarto”, ergo non la lasciano andare salvo diverso ordine del cardiologo; ci sono due anziani caduti a cui vanno applicati diversi punti di sutura al viso e devono essere esaminati alla testa con la Tac … bah, chissà cosa ci facevano in giro, sotto la neve, a quell’ora di sera… ci sarà stato in giro qualche rave della terza età, una sorta di inno perpetuo a una vita geriatrica spericolata. La domanda, abbandonata su quel lettino, però mi è venuta spontanea: ma per quale cazzo di motivo non ve ne state a casa una gelida sera del 10 gennaio mentre nevica? Per rovinare la nottata ai vostri familiari e intasare il pronto soccorso? È davvero un mistero misterioso.
Arriva un infermiere. Dice che mi faranno una flebo che dovrebbe servire ad alleviare queste strane vertigini e scappa via. Appena svolta l’angolo mi rendo conto di dover fare la pipì con una certa urgenza ma da quel momento non passa più nessuno. Attendo minuti, non so quanti, e alla fine, quando arriva l’infermiera per la flebo, la supplico di accompagnarmi in bagno. Lei mi carica su una sedia a rotelle e mi porta nell’ambìto luogo. Espleto con una certa fretta perché stare aggrappata alla maniglia è faticosissimo, ho paura di cadere da un momento all’altro, ma quando esco, la sedia c’è ancora, l’infermiera no.
Rimango seduta per più di dieci minuti, abbandonata in un corridoio laterale vista bagno dove non passa nessuno e rifletto sul senso della vita nel mio pigiama lilla di pile, appoggiata alla mano in una versione tragicomica e spettinata del Pensatore di Rodin. Intanto – dieci metri o mille miglia più in là, ma comunque in un’altra dimensione – la giraffa urla che vuole andarsene e la dottoressa stizzita risponde: “L’ospedale non è un supermercato!”.

STACCO ALLA SORRENTINO

Bolero di Ravel, momento poetico, primo piano dell’armadietto dei medicinali, le mie scarpe in dissolvenza.

FINE STACCO

Quando l’infermiera casualmente ripassa e si accorge di me, si porta una mano alla bocca esprimendo una sorta di sgomento per avermi lasciata lì e ammette di essersi dimenticata. Io alzo le spalle e non commento: tanto, lamentarsi non servirebbe a nulla.
Mi rimettono sulla barella e mi portano a fare una Tac. Mi “diverto” a guardare i soffitti sfrecciando da un corridoio all’altro, origlio incolpevolmente le conversazioni di gente che non vedo.
La Tac per me è una novità: è veloce e non invasiva, ma sono comunque un po’ preoccupata e mentre l’infermiera mi sta portando via, il tecnico che gestisce i comandi con un tono velatamente ambiguo, dice: “Mari’, c’arvedem stanotte?”.
Lei prima sospira, poi si lascia andare a un sognante: “Penso proprio di sì…”.
A quella risposta sbarro gli occhi: il tecnico della Tac sta flirtando con l’infermiera o il sottinteso era che lui aveva visto qualcosa di brutto nella mia testa e quindi sarebbero stati necessari ulteriori approfondimenti?
In preda a questo dubbio amletico, mi riportano di là e mi infilzano un braccio con l’ago della flebo, che durerà una mezzoretta. Intanto permettono a mia madre di entrare per venire a vedere come mi sento.
A seguire, nel palinsesto della fantastica serata post-natalizia ci sono la visita del cardiologo e un ulteriore confronto con la dottoressa, che non concorda con i miei dosaggi per la tiroide.
Verso mezzanotte e mezza, per non farmi mancare nulla, arriva l’ambulanza con un TSO. Una donna anziana urla come un’ossessa, la parcheggiano per un po’ non sapendo che fare perché non ci sono familiari con lei, quindi non si sa quale sia il suo quadro clinico: vagava sotto la neve in preda a non si sa cosa, i vicini hanno chiamato il 118 e adesso è qui a gridare senza soluzione di continuità. Questa donna è una soprano e non sa di esserlo, probabilmente.
In questo clima da Hollywood party, dopo i risultati della Tac – per fortuna buoni – finalmente mi mandano a casa, consigliandomi una visita dall’otorino. Io mi appunto mentalmente la cosa, ma nel frattempo sono contenta per aver dipanato il dubbio che mi assaliva da quando stavo uscendo dalla sala della Tac. Peccato che non saprò mai se i due si vedranno davvero, stanotte…
È l’una e mezza della notte e la neve continua a scendere a fiocchi grandi e svolazzanti. In auto, con la testa appoggiata al finestrino, chiudo gli occhi pensando che è già domani.
La mattina dopo mi devo mettere in moto per capire il da farsi, anche se sono in uno stato a dir poco pietoso: ho ancora le vertigini e vado in bagno appoggiandomi ai mobili con la Tachi a farla da padrona e, novità del giorno, vedo dei lampi di luce negli occhi quando sono al buio o in penombra: sembra che qualcuno mi stia sparando la luce a intermittenza nei bulbi oculari; di notte questa cosa non mi abbandona mai, prendo sonno all’alba e di giorno sto sdraiata a letto con gli occhiali da sole e le imposte chiuse; non riesco assolutamente leggere, il che per me equivale a una condanna a morte.
Ho sempre avuto un’idiosincrasia profonda per l’aglio, ma se a questo aggiungiamo il pallore permanente, le occhiaie viola e da ora anche la fotofobia, sono sulla strada buona per diventare un perfetto vampiro.
Inizio con l’otorino, come consigliatomi in ospedale, e prendo appuntamento per la settimana stessa; stessa grande disponibilità arriva anche dall’oculista: entrambi sono molto gentili e comprendono la mia urgenza.
La visita dall’otorino – la prima della mia vita – è una prova di resistenza a base di test veramente impegnativi per controllare il mio equilibrio interno. Sopravvivo, anche se a stento, solo perché ormai mi sono trasformata in una supereroina. Alla fine mi dice sbalordito di aver visto in pochi casi un “distretto testa-collo” perfetto come il mio – “per me, potresti fare l’astronauta”, mi dice – ma io sono troppo impegnata a combattere la mia quotidiana battaglia con la Tachi e non riesco a fare nemmeno il giro dell’isolato.
Il giorno dopo è il turno dell’oculista: anche qui visita di routine e poi esercizi speciali per verificare eventuali danni al nervo ottico, ma non c’è nulla; per ulteriore scrupolo, la dottoressa mi consiglia un esame del campo visivo e poi magari anche una visita neurologica (è molto premurosa e mi prepara un foglio con le indicazioni da consegnare al neurologo durante la visita).
L’esame del campo visivo mi viene fissato appena qualche giorno dopo presso un altro studio oculistico ed è una novità anche questa. In pratica, sembra di giocare a un videogioco: si deve schiacciare un pulsantino ogni volta che si vedono comparire dei puntini luminosi che appaiono velocemente e senza preavviso su un monitor bianco; più puntini riesci a vedere con la coda dell’occhio, più vinci… (in realtà non si vince nulla). Anche in questo caso, risultati da astronauta (120/120, entrambi gli occhi). Dopo questo giochetto sono distrutta, passo la notte in bianco tra flash agli occhi e palpitazioni.
Per non lasciare nulla al caso, chiamo un’amica fisioterapista e l’osteopata per escludere qualche problema alla cervicale e anche loro mi controllano in pochi giorni senza trovare nulla di anomalo che possa giustificare le mie vertigini.
Frattanto, c’è sempre in sospeso la questione dell’endocrinologo, perché i mesi passano e io ho bisogno di sostituire la Saputella con qualcuno di cui fidarmi e, possibilmente, più a portata di mano. Provo un altro in un ospedale non troppo lontano e nel giro di un paio di settimane ho l’appuntamento (ovviamente a pagamento, altrimenti sarebbe stato fra un anno).
Pur rivelandosi inconcludente alla stregua dei precedenti, il nuovo specialista, sempre alla modica cifra di 150 euro, entra nel Guinness dei primati per avermi fatto la visita più veloce della storia: quindici minuti ecografia inclusa, con conclusione a sorpresa: “Lei sta bene…”, afferma infatti ridendosela della grossa non si sa bene per cosa, salvo poi cambiarmi leggermente il dosaggio della levotiroxina e donandomi una delle migliori perle di saggezza degli ultimi anni, ovvero la storia del Gaviscon, farmaco che con la tiroidite c’entra come la marmellata sui fagioli.
Altro tempo perso, insomma. Evidentemente per la ricerca del Santo Graal c’è ancora parecchio da fare.
A questo punto rimane da vedere il neurologo, che la buonanima di mia nonna definiva, con evidente sospetto e scarsa fiducia, “il medico dei matti”. C’è da attendere, ma almeno lo studio si trova a soli dieci chilometri da casa. La sorpresa, però, è decisamente positiva: il medico è una persona attenta, di quelle che sanno ascoltare senza interrompere e che fanno domande solo quando il paziente ha finito di esporre compiutamente i suoi problemi. Al termine della visita, il neurologo giunge alle stesse conclusioni alle quali io penso da anni, ma per le quali nessuno mi dà credito. In più, non mi tratta come una visionaria, cosa alla quale ho fatto il callo con altri medici. Alla fine, il problema per lui rimane da ascrivere sempre al quadro generale della tiroide, mi dà qualche goccetta per calmare il cuore e, per eliminare qualsiasi dubbio, mi prescrive una risonanza magnetica alla testa, alla quale seguirà un doppler intracranico.
Nel caso non abbiate fatto i compiti, vi dico che fin qui nel giro di circa un mese e mezzo avevo già all’attivo cinque visite specialistiche, due analisi del sangue, una Tac, un test del campo visivo e non ho ancora finito. Ve l’avevo detto che noi malati cronici siamo gente impegnata.
Giunge così, finalmente, il momento della risonanza magnetica. Prendere gli appuntamenti per questo tipo di esame non è una passeggiata in riva al mare: i tempi sono quelli che sono e in alcuni casi particolari il centro prenotazioni non può fare nulla, bisogna addirittura recarsi di persona nel reparto di Radiologia dell’ospedale… il che, per una persona con i miei problemi, è una cosa non da poco. L’unica soluzione percorribile, ancora una volta, è chiedere l’ennesimo favore a un familiare, anche perché...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Come diventare una supereroina
  3. Indice dei contenuti
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. La Tachi(cardia)
  7. La balenottera spiaggiata
  8. Proverbio del giorno
  9. La top-list delle cretinate
  10. Il Barbapapà
  11. La giornata tipo
  12. Intermezzo poetico
  13. La Saputella
  14. Annus horribilis 2018
  15. Deformazioni professionali & imprevisti del mestiere
  16. Apocalypse Now
  17. Un salto a teatro
  18. Oggi
  19. Ringraziamenti
  20. Collana del fare
  21. Collana Narrativa