Il primo capitolo della storia dimenticata degli italiani in Zambia riguarda i due fratelli Luigi e Adolfo Jalla. Luigi (25 agosto 1860) e Adolfo (24 settembre 1864), nascono ultimogeniti di una numerosa famiglia piemontese di Chiotti di Villasecca, una frazione del Comune di Perrero, nella provincia di Torino. Per generazioni le loro famiglie hanno dato pastori alla Chiesa valdese.
La Chiesa valdese, che precede la riforma protestante di oltre trecento anni, è fondata sulla ricerca di una vita di povertĂ e di semplicitĂ evangelica, ma nella storia i rapporti con la Chiesa cattolica sono stati molto tormentati. Nel giugno 2015 papa Francesco visitando il tempio valdese di Torino ha ritenuto necessario chiedere perdono per le persecuzioni promosse nei secoli dalla Chiesa cattolica contro quella comunitĂ di credenti, apparsa nel XII secolo a Lione e diffusasi in varie cittĂ europee tra le quali, in Italia, Milano e Bergamo. Alla fine del 1184 la repressione religiosa la costringe ad abbandonare i centri urbani per trovare rifugio nelle valli piemontesi, dove la debolezza dei poteri feudali creava condizioni favorevoli. Nel XVII secolo le guerre di religione non risparmiano i valdesi: nel 1686, dopo gli editti emanati da Vittorio Amedeo II, tutti i templi delle valli vengono demoliti e la dura persecuzione li costringe a trasmigrare in Svizzera o a vivere la loro fede in clandestinitĂ . I valdesi rientrano nelle loro valli nel 1689, dopo un esilio di tre anni, ma solo nel 1713, con la pace di Utrecht, vengono autorizzati a professare la loro fede anche se segregati allâinterno dei loro territori alpini, delimitati nel 1561 con la pace di Cavour. La comunitĂ ha quindi potuto riedificare i suoi templi tra i quali quello di Villasecca, dove vari esponenti della famiglia Jalla, originaria della Val Pellice, hanno svolto il loro ministero. Nel 1848 re Carlo Alberto introduce misure di tolleranza estendendo ai valdesi i diritti civili. Oggi essi si riconoscono nella Chiesa metodista.
I genitori dei fratelli Jalla sono Louis Auguste, anchâegli pastore valdese, e Aline Biolleye, che lo aveva sposato in seconde nozze. Le fotografie che ritraggono i due fratelli riproducono giovani alti e di bellâaspetto. Adolfo ha il viso lungo e, quando diventa adulto, una folta barba, come usava allâepoca, che si incanutisce con il passare del tempo, e indossa una giacca elegante e una cravatta. Il francese è sempre stata la lingua della comunitĂ valdese â anche se in realtĂ sarebbe lâOccitano, anche noto come Lingua dâòc â ed è la lingua madre dei due fratelli Jalla, ma entrambi si sentivano cittadini italiani ed erano molto legati alla loro terra di origine. Luigi aveva interrotto gli studi secondari al collegio valdese di Torre Pellice e si era trasferito a Nizza dove lavorava presso la filiale del CrĂŠdit Lyonnais.
Ă in Piemonte, in uno dei centri della comunitĂ valdese, che Luigi e Adolfo incontrano il missionario François Coillard. Il pastore calvinista francese è missionario in Africa da oltre ventâanni per conto della SocietĂ delle missioni evangeliche di Parigi. Gran parte del tempo lo aveva trascorso tra le popolazioni africane, in territori che attualmente fanno parte del Botswana e dello Zimbabwe. In seguito, una riunione della missione di Parigi tenutasi in Lesotho gli chiede di trovare un nuovo terreno dove diffondere la fede cristiana. Coillard si dirige a nord, nel regno dei Barotse, popolazione che viveva in una zona particolarmente remota, lâAlto Zambesi.
Adolfo Jalla.
Luigi Jalla e Maria Turin Jalla.
Livingstone è noto per essere il primo viaggiatore europeo ad avere visitato quella regione nella prima metĂ dellâOttocento. In seguito, tutti i tentativi di insediarvi missioni cristiane erano falliti tragicamente: quello intrapreso dalla SocietĂ missionaria di Londra qualche anno dopo il primo rientro di Livingstone in Inghilterra era stato interrotto dalla malaria e da altre malattie che avevano sterminato i missionari e le loro famiglie. Nel 1879, una spedizione dei Gesuiti che intendeva impiantarsi nelle vicinanze delle cascate Vittoria è stata travolta dalle rapide dello Zambesi.
François Coillard aveva cinquantâanni e non avrebbe potuto avviare la nuova impresa senza lâaiuto di altri missionari. Per quella ragione tra il 1880 e il 1882 era rientrato in Europa e teneva conferenze per sensibilizzare giovani disposti a seguirlo. Nella seconda metĂ di agosto del 1881, in Piemonte aveva visitato la comunitĂ valdese. Nonostante fosse lĂ per riposarsi, il pastore è intervenuto in almeno quattro incontri tenutisi in varie localitĂ della splendida vallata che ospita i valdesi e con i quali ha potuto esprimersi in francese. Il 15 agosto Coillard prende la parola a un raduno svoltosi nel castagneto di La Pradera, di proprietĂ della famiglia Jalla, al quale partecipano piĂš di 1.500 persone, tra i quali molti ministri e pastori della valle. In quel meraviglioso paesaggio estivo di boschi, prati fioriti e montagne, la descrizione di luoghi inospitali in Africa e del suo impegno in favore di quei popoli lontani e cosĂŹ diversi suscita viva sensazione; lâ Echo des VallĂŠes definisce il missionario francese âil coraggioso e valente messaggero di Cristo presso i pagani dellâAfricaâ. A Coillard viene anche consegnata una colletta per sostenere le missioni evangeliche di Parigi. Il picnic organizzato dopo i discorsi dĂ modo al missionario francese di intrattenersi con le singole persone. I due fratelli ancora giovanissimi â nel 1881 Luigi aveva 21 anni, Adolfo 17 â sono tra coloro che rispondono a questa chiamata . Non sappiamo se quellâincontro sia stato una folgorazione o lâavvio di un percorso spirituale che ha richiesto una maturazione successiva. Per lâuno e per lâaltro fratello si è trattato di una scelta coerente con le tradizioni familiari ma anche dellâassunzione volontaria di un impegno incondizionato e destinato a trasformare completamente le loro giovani vite.
Negli anni successivi Luigi interrompe il suo lavoro a Nizza e si reca a Parigi per seguire corsi di formazione presso la SocietĂ delle missioni evangeliche e in seguito a Edimburgo per completare la preparazione con lo studio delle lingue africane. Nel 1886, dopo essere stato ordinato, parte per lâAfrica assieme alla moglie Marie Turin, anche lei discendente da una nota famiglia valdese; si sposano poco prima della partenza. A seguito di un lunghissimo viaggio, il 21 gennaio 1887, in compagnia di altri missionari, raggiungono Coillard nella missione di Sesheke sullo Zambesi, fondata due anni prima nel regno dei Barotse. Il fratello Adolfo arriva nellâAlto Zambesi nel 1890.
Il Regno dei Barotse
La terra dei Barotse dove si stabiliscono Luigi e Adolfo Jalla ha un ecosistema unico: è la piana alluvionale dellâAlto Zambesi. Il fiume â che nella sua parte iniziale scorre da nord verso sud â la traversa prima di fare una curva a 90 gradi per puntare poi verso est e percorrere oltre mille chilometri prima di sfociare nellâOceano Indiano. Il clima è piuttosto caldo ma vi è unâalternanza delle stagioni, che sono allâopposto dalle nostre e con inverni molto meno freddi (gli Jalla ricordano però che in inverno a volte la mattina lâacqua gelava ma questo sembra non accadere piĂš). Lunga oltre quattrocento chilometri e larga una cinquantina, la pianura è piatta come un tavolo da biliardo, racchiusa su tre lati esterni da rilievi collinari. Ha la forma di una striscia rettangolare, orientata da nord a sud, lungo la frontiera con lâAngola.
Il fiume Zambesi in genere esonda a ogni stagione delle piogge inondando la piana e trasformandola in un grosso lago. Trasportato dai flutti del fiume, il limo contribuisce alla fertilitĂ del suolo e alla produzione di cereali (replicando un fenomeno analogo a quello che caratterizzava il Nilo in Egitto prima della costruzione della diga di Aswan). Durante lâinondazione, tra febbraio e luglio, la popolazione che non abita lungo i pendii esterni della vallata trova rifugio sulle cime delle rare collinette le cui vette rimangono in genere, ma non sempre, in emersione e sulle quali vengono erette delle capanne. Non è inutile notare che le fasi cicliche di siccitĂ che affliggono periodicamente quella regione, oggi inasprite dal cambiamento climatico, sono catastrofiche per le popolazioni locali, data la scarsitĂ dei sistemi di irrigazione.
Sarebbe, peraltro, una semplificazione idealizzare quel popolo classificandolo come âsocietĂ di naturaâ alla Jean Jacques Rousseau. Ă innegabile che tra quelle genti vi siano fierezza, valori morali e societari strabilianti, specie per noi occidentali avvezzi a una societĂ materialista. Impressiona la simbiosi con la natura e la grande conoscenza empirica delle sostanze vegetali anche con fine terapeutico, la forte religiositĂ , la solidarietĂ tra persone appartenenti a un gruppo. Sullâaltro piatto della bilancia vi sono però lâassenza di una scrittura, che frena la trasmissione del pensiero e del ricordo; la religione animista fondata come pratica quotidiana sulla superstizione, il sortilegio e il tornaconto; lâarbitrio dei piĂš forti che non è temperato dal diritto, un conformismo di villaggio che tende a livellare le capacitĂ verso il basso. La schiavitĂš mantiene parte della popolazione in stato di asservimento rendendo endemici i raid mirati ad acquisire nuovi schiavi. Lâarretratezza tecnologica e lâassenza di una moneta circoscrivono le possibilitĂ di sviluppo dellâeconomia. Le deplorevoli condizioni di salute provocate dallâassenza di igiene e di servizi sanitari efficaci, a parte i guaritori tradizionali, generano una mortalitĂ elevata, aggravando la sorte delle persone vulnerabili, quali donne, bambini e persone con handicap, prive di ogni protezione.
Il cristianesimo incontra prevedibili difficoltĂ a far presa su una societĂ che ha valori spesso del tutto antitetici. Queste difficoltĂ solo parzialmente sono compensate dalla forte spiritualitĂ che anima quei popoli e dalla circostanza che la loro religione, ancorchĂŠ animista, è nel complesso monoteista. Ă difficile, come riveleremo in seguito, per esempio, convincere un africano che tutte le persone siano uguali quando fin da bambino gli è stato invece inculcato che capi, guerrieri e schiavi hanno status diversi e distinti lâuno dallâaltro. La prospettiva della risurrezione non può che spaventarlo perchĂŠ comporterebbe il ritorno di nemici che egli è riuscito a eliminare in genere dopo strenui combattimenti. Un matrimonio monogamo collide con le tradizioni di una societĂ in cui la poligamia è profondamente radicata e corrisponde a convenzioni, alleanze e interessi acquisiti difficilmente modificabili. Il perdono è difficile da accettare in una societĂ animista basata sul culto degli antenati dove tutti i mali terrestri sono in genere riconducibili a una causalitĂ che richiede, in presenza di malattie e altre sciagure, di risalire al responsabile di presunti sortilegi o malefici e di applicare sanzioni spesso gravissime nei riguardi di questâultimo.
A testimonianza della difficoltĂ di convertire quei popoli al cristianesimo, si può ricordare che Robert Moffat, il suocero di Livingstone, ha svolto dieci anni di paziente azione pastorale a Kuruman (attualmente Sud Africa) presso il popolo dei Batswana prima di ottenere le prime conversioni. Livingstone è celebre come esploratore ma assai meno come missionario (tra lâaltro, è noto per aver convertito una sola persona) e non ha grande successo nel propagare la fede cristiana nella regione dello Zambesi. Lâesploratore scozzese nel suo diario annota anzi di essersi reso conto che uno dei migliori divertimenti dei Makololo era di imitarlo mentre pronunciava le sue prediche . La convinzione che la popolazione locale fosse cosĂŹ refrattaria ad accettare una religione che insegna il perdono, lâuguaglianza e lâamore del prossimo, lo spinge a individuare nella colonizzazione europea lo strumento per favorire, attraverso la civilizzazione, una conversione al cristianesimo e la fine della tratta di esseri umani. Il suo progetto missionario crea le premesse quindi per una impresa coloniale, ma come far arrivare gli europei in quel posto cosĂŹ lontano? Al suo rientro in Europa è convinto che lo Zambesi sia navigabile e rappresenti una possibile via di accesso a quella regione resa altrimenti impenetrabile dalla mosca tse-tse che uccide inesorabilmente buoi e cavalli, allâepoca indispensabili per il trasporto di persone e di cose. Ma le rapide del fiume si rivelano un ostacolo insormontabile alla navigazione fluviale. Nellâimmediato il progetto coloniale di Livingstone fallisce completamente. Ma la sua denuncia della schiavitĂš e le informazioni che egli fornisce sui territori esplorati attivano lâinteresse a migrarvi di missionari e imprenditori e, in ultima analisi, creano il presupposto per la loro inclusione nellâImpero britannico.
Prima della venuta dei missionari, i rapporti dei Barotse con lâOccidente sono solo sporadici. Passano di lĂ saltuari viaggiatori, in genere portoghesi (come Silva Porto, cacciatore e trafficante di avorio incontrato da Livingstone) o anche olandesi e britannici tra i quali, prima dellâarrivo degli Jalla, un certo George Westbeech, cacciatore e commerciante di avorio , uno dei pochi europei con fissa dimora sullo Zambesi. Si tratta di esploratori, di avventurieri o di mercanti interessati allâavorio â del cui commercio la capitale Lealui è considerata un hub â e talvolta anche dediti alla tratta di schiavi; in questo caso erano in genere portoghesi e talvolta arabi. Adolfo e il fratello Luigi, assieme al loro capo spirituale François Coillard, alle loro famiglie e agli altri missionari, sono quindi tra i primi europei a stabilirsi in forma permanente in quella regione bellissima e selvaggia nel cuore del continente africano.
I missionari evangelici al loro arrivo sullo Zambesi non incontrano a Linyanti la tribĂš dei Makololo (oggi in Botswana, vicino alla confluenza con il fiume Okawango), il cui re Sebetwane e poi il figlio Skeletu avevano accolto amichevolmente Livingstone assistendolo e rendendo possibile quel periplo dellâAfrica centro-australe che fa dellâesploratore scozzese un uomo famoso in tutto il mondo. Quella dei Makololo è stata solo una breve eclisse: migrati attorno al 1820 dalla regione dellâOrange nel quadro dellâenorme spiazzamento di popolazione provocato dallâascesa dellâimpero di re Shaka degli Zulu, nel 1840 si erano insediati nellâAlto Zambesi assoggettando tutti i popoli della zona, compresi i Lozi (anche detti Barotse) che erano la tribĂš tradizionale egemone nella zona, dominandoli con notevole rudezza. Ma il loro regno dura solo 25 anni. Qualche anno dopo la partenza di Livingstone, i Makololo sono loro stessi vittime di una rivolta delle tribĂš dominate: nel settembre 1864, sotto la leadership di Sipopa, i Lozi si ribellano e li massacrano sottomettendo i superstiti.
A sua volta, la scomparsa pochi anni dopo di re Njekwa scatena tra i Lozi una guerra dinastica caratterizzata di nuovo da violenza brutale e sanguinosa. Nel 1878 Lubosi, uno dei pretendenti, riesce a insediarsi sul trono, ma viene deposto alcuni anni dopo. Nel 1885 egli riesce a riconquistare il regno, stabilisce la sua capitale a Lealui, in mezzo alla piana dei Barotse, e adotta il nome di Lewanika. Il nuovo re vuole ricreare la grandezza dei Barotse, ma il suo Stato è una costruzione ancora fragile con nemici esterni e interni e in una regione in rapido cambiamento insidiata dagli appetiti coloniali delle grandi potenze europee.
Questo inquadramento storico aiuta a capire le motivazioni che spingono, come vedremo, re Lewanika a percorrere la strada del protettorato con lâImpero britannico, come anche in seguito le esitazioni, le paure o a volte lâottimismo eccessivo che animano il monarca africano. Il pastore François Coillard aveva iniziato a tessere i primi rapporti con il nuovo re poco prima della sua deposizione. Nel 1885, dopo il ritorno al potere di re Lewanika, i tempi erano maturi per lâavvio della prima missione cristiana in quella regione dello Zambesi.
I Barotse erano favoriti da uno stato insolitamente accentrato sotto un re posto al vertice di una gerarchia di altri capi rappresentati in unâassemblea, lâInduna. Ă infatti un âre dei reâ o âcapo supremoâ che regna su altri re dai quali dipendono a loro volta capi e sotto capi. Il re dei Barotse porta il titolo tradizionale di Litunga, che evoca la sua natura divina anche durante lâesistenza in vita, a metĂ strada tra il cielo e la terra, e destinato dopo la morte a mantenere una congiunzione con il mondo dei vivi. Lâossatura dello Stato è costituita da una struttura amministrativa insolitamente robusta per un regno tradizionale africano, il che permette al re di seguire ed essere informato su tutte le questioni del regno, emanare leggi, prendere decisioni, punire e risolvere contenziosi, dichiarare la guerra o la pace. Il re è assistito da un primo ministro, da un governo e da unâassemblea di capi. I tributi vengono pagati da tribĂš assoggettate e dai sudditi. La società è suddivisa in classi sociali: aristocratici, liberi e schiavi, con unâorganizzazione che consente la realizzazione di infrastrutture di pubblica utilitĂ assicurando una manutenzione efficiente dei canali, essenziali per i trasporti, per lâirrigazione e per la pesca, mettendo quindi a frutto la particolare morfologia della pianura.
Lâinizio della missione dei fratelli Jalla
Quando i fratelli Jalla arrivano nellâAlto Zambesi, la radicazione della missione evangelica è ancora agli inizi. Nel 1885 Coillard â al termine di una lunghissima preparazione avviata nel 1878, quando avviene il primo incontro con re Lewanika, e proseguita con lâaiuto di Westbeech â era stato autorizzato dal Litunga a insediare la prima missione a Sesheke sullo Zamb...