Il Seicento - Storia
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Il Seicento - Storia

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 51

Umberto Eco

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Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 51

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Il Seicento è stato un secolo complicato tanto per coloro che l'anno vissuto quanto per gli studiosi che se ne sono occupati. Schiacciato tra due secoli "progressivi", moderni o addirittura rivoluzionari, il Seicento appare nei documenti dei secoli successivi come un momento di crisi, di guerre, rivolte, oscurantismo, assolutismo e rifeudalizzazione, una parentesi oscura nel percorso trionfale di affermazione della modernità. In Italia ha a lungo pesato l'immagine manzoniana di un secolo "sudicio e sfarzoso", segnato dal dominio straniero, dall'arroganza di una nobiltà inetta e retriva. Ma considerandolo da altri punti di vista e da altre realtà geografiche il Seicento appare ben diverso: è il Gran Siècle dell'egemonia politica e culturale della Francia di Luigi XIV, il Gouden Eeuw del primato economico e marittimo dell'Olanda, e la Stormaktstid, età della grandezza, in Svezia, da Gustavo II Adolfo a Carlo XII. In questo ebook viene presentato il Seicento in tutta la sua complessità di "secolo dei contrasti" o "secolo in chiaroscuro", con i suoi eccessi, le sue inquietudini e le sue illusioni.

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Information

Year
2014
ISBN
9788897514800

Culture e società

La nobiltà
Marina Montacutelli

Nel corso del Seicento giunge a maturazione il processo di rafforzamento dell’autorità regia cominciato nei secoli precedenti. Ciò dà luogo a forme sempre più radicali di opposizione da parte di molti segmenti importanti delle nobiltà europee. Malgrado i numerosi conflitti che segnano il secolo, il ceto nobiliare si rivela in grado di superare la difficile congiuntura politica ed economica, sia pure rinunciando – in Europa occidentale – a quote significative di potere in cambio del mantenimento del suo primato sociale.

Dalla campagna in città...

Nel corso del Seicento si porta a compimento il trasferimento dalla campagna in città di gran parte della nobiltà europea. Ad attirare i nobili nelle grandi capitali europee – Madrid, Londra, Praga e Parigi – è soprattutto il desiderio di frequentare le corti regie e di attingere alle risorse e agli onori che il sovrano e i suoi più stretti collaboratori distribuiscono. La presenza di una folla di grandi, medi e piccoli nobili ansiosi di mostrare il loro prestigio spiega perché nelle grandi città europee si registri un cospicuo afflusso di capitali destinati all’edilizia. Cresce così il tessuto urbano, arricchito di nuovi eleganti quartieri. In città i nobili animano un’intensa vita sociale fatta di intrattenimenti: il teatro in primo luogo, le passeggiate in carrozza nelle vie principali, i fastosi rituali religiosi nell’Europa cattolica, le cerimonie civili in occasione di vittorie militari, nascite, matrimoni, incoronazioni e così via.
Per spiccare all’interno del panorama cortigiano è necessario che i nobili maschi, fino al pieno Cinquecento istruiti essenzialmente nell’uso delle armi, padroneggino ben altre conoscenze: buone maniere, danza, lingue straniere, arte, musica. Si vengono così diffondendo, in tutta Europa, a partire dalla Penisola italiana, le accademie cavalleresche, veri e propri centri di istruzione dove i nobili apprendono sia le nozioni basilari di tattica e strategia militare loro utili nei campi di battaglia, sia le discipline necessarie alla vita cortigiana. Improntata allo stesso modello è anche l’educazione che viene fornita nei collegi della Compagnia di Gesù, frequentati dai nobili cattolici. Il fascino dell’Europa meridionale e il peso del classicismo traspaiono dal fatto che i giovani delle famiglie nobili dell’Europa settentrionale coronano la propria educazione con un viaggio che li porta in Italia, il Grand Tour , che spesso ha come mete privilegiate città come Venezia e Roma, ricche di testimonianze artistiche del passato. Le gentildonne sono, invece, educate nella casa avita o nei conventi e affinano a corte, dove giungono per dedicarsi al servizio personale di sovrane e principesse, le proprie maniere e le proprie conoscenze.

… di nuovo alla campagna e infine di nuovo in città

Dotati di istruzione e di modi estremamente raffinati, i nobili contribuiscono in maniera fondamentale all’edificazione di una corte in sintonia con il modello dettato da Baldassare Castiglione. Un’ulteriore spinta a ricreare le aspirazioni dell’autore de Il cortegiano viene dalla propensione a trasferire in campagna la corte regia. Precursore di tale tendenza è, a metà Seicento, il sovrano di Francia Luigi XIV, il Re Sole. Questi decide di costruire a Versailles, a una trentina di chilometri da Parigi, una nuova reggia con grandi giardini disseminati di specchi d’acqua, fontane e statue, magnifico scenario di una corte che intende vivere armoniosamente, separata e lontana dall’affannosa realtà urbana. L’ambiente cortigiano raggiunge vette di colta eleganza, poiché vi sono chiamati a dar prova del loro talento musicisti, drammaturghi, pittori. La vita quotidiana è modellata dal cerimoniale borgognone, che regola rigidamente tempi e modi della quotidianità, i divertimenti e le preghiere, l’abbigliamento e i pasti, assegnando a ciascuno un grado nella scala gerarchica interna alla corte. Sull’esempio dettato dal Re Sole, in tutta Europa vengono costruite regge elegantissime fuori città, mentre gli stessi nobili dedicano inedite fatiche alla sistemazione delle loro residenze di campagna destinate ad accoglierli per brevi periodi di villeggiatura.
Negli ultimi anni del Seicento, la corte sembra perdere splendore quale polo culturale, nuovamente a favore degli ambienti aristocratici urbani. Nei salotti cittadini, gentiluomini e gentildonne amano conversare senza gli obblighi derivanti dal rispetto delle complicate regole cerimoniali, promuovendo così un nuovo modello culturale, caratterizzato da una maggiore libertà. È l’avvio di una nuova sociabilità che trionferà nel Settecento.

Nuove ricchezze

La vita in città e a corte si rivela estremamente dispendiosa. I nobili vi fanno fronte tentando di ricavare i maggiori proventi possibili dal patrimonio familiare e di ampliare le loro entrate. Si protrae così per tutto il Seicento la tendenza a mettere a frutto nel miglior modo possibile la proprietà terriera, utilizzando al massimo i poteri signorili e ricorrendo a ogni tipo di sopruso. In Inghilterra, il fenomeno dell’appropriazione da parte dei nobili delle terre fino a quel momento di proprietà delle comunità rurali o destinate a usi civici attraverso le recinzioni (enclosures) raggiunge dimensioni notevoli e si qualifica per l’attitudine imprenditoriale dei proprietari aristocratici, che non esitano ad adottare inediti metodi di sfruttamento delle risorse naturali e umane. Al di là della Manica, infatti, accanto alla cerealicoltura, ancora remunerativa malgrado la popolazione cresca a tassi ridotti rispetto al Cinquecento, si affermano coltivazioni a più alto valore aggiunto, integrate con l’allevamento bovino. Modifiche gestionali in tal senso si registrano anche in altre regioni del continente europeo. Qui, però, la nobiltà non deroga alle proprie prerogative giurisdizionali e fiscali, né a quelle sociali che impongono l’astensione da attività imprenditoriali, pena la perdita di status. Pertanto la gestione dei patrimoni rurali è per lo più lasciata a medi e grandi fittavoli, che si possono dedicare alla produzione per il mercato.
Il trasferimento in città, in ogni caso, apre alla nobiltà cortigiana altre possibilità di reperire risorse. In primo luogo, naturalmente, la speculazione edilizia. Nel momento in cui la presenza della corte tende a far rimodellare l’impianto urbano grazie alla forza di attrazione che esercita su tutti i gruppi sociali, i nobili possono investire le proprie risorse nel settore immobiliare, traendone lauti guadagni. Possibilità vantaggiose offrono anche i titoli di debito pubblico consolidato, malgrado i sovrani non nutrano molti scrupoli nel dichiarare bancarotta. Allo stesso modo, gli aristocratici partecipano all’incipiente attività speculativa delle prime forme di mercato azionario. Infine, particolarmente remunerativi restano incarichi, prebende, donativi e pensioni dispensati dal sovrano.

La nobiltà di toga

Mentre nella maggior parte delle monarchie europee i particolari meriti maturati al servizio del sovrano possono condurre alla concessione di un titolo e quindi all’ingresso di colui che lo ha ricevuto nel corpo nobiliare senza alcuna distinzione se non quella dettata dai natali, dal rango e dall’antichità del titolo, in Francia nel Seicento si delinea con precisione una nobiltà che, per le sue caratteristiche, viene definita “di toga”, eminentemente diversa e in contrapposizione con quella “di spada”: una nobiltà che vede nell’esercizio di un ufficio amministrativo, finanziario o giudiziario la sua caratteristica principale.
Alla radice della costituzione di tale ceto vi è la venalità delle cariche, promossa dai sovrani francesi a partire dalla fine del Cinquecento: la possibilità di lasciare a un erede la carica acquistata conduce, infatti, alla costruzione di autentiche dinastie, basate sul passaggio degli uffici di generazione in generazione. Un editto del marzo 1600 chiarisce che per entrare di diritto nei ranghi della nobiltà di toga è necessario aver ricoperto per due generazioni successive il ruolo di membro del Gran Consiglio, di referendario del Consiglio di Stato (maître de requêtes), di componente del Parlamento (una delle maggiori corti di giustizia), di membro dei dipartimenti finanziari, di funzionario delle Camere dei conti, dei tribunali dei sussidi (Cours des aides) e dei tribunali delle monete (Cours des monnaies). Spesso, però, il denaro non basta per arrivare a tali uffici: finanzieri o figli di finanzieri, ritenuti inadeguati in virtù della loro provenienza sociale, non vengono ben visti da coloro che occupano cariche generalmente tramandate di padre in figlio o di zio in nipote all’interno di una ristrettissima cerchia.

Il sogno di un riconquistato potere politico

Nei primi anni del Seicento la capacità di presa dei sovrani europei, fino a quel momento decisi a controllare rigidamente la vita politica all’interno dei loro regni, sembra registrare un rallentamento. Un primo esempio è dato dal re di Spagna Filippo III, che concede inediti poteri a un favorito. L’aristocratico valido Francisco Gómez de Sandoval, duca di Lerma, sostanzialmente governa al posto del re, amministrando in sua vece il patronage (pensioni, onorificenze, grazie e così via). Questa pratica di governo viene guardata con estremo interesse da gran parte degli esponenti dell’aristocrazia, che vi leggono la possibilità di riprendere il ruolo prestigioso esercitato prima che il rafforzamento monarchico cinquecentesco privasse la grande nobiltà di molti poteri. Le speranze si diffondono in tutta Europa poiché in molte monarchie europee tale sistema di governo viene presto imitato. In Inghilterra, favorito di Giacomo I è George Villiers, che viene insignito del titolo di duca di Buckingham e che esercita il medesimo ruolo anche sotto Carlo I. In Francia, Maria de’ Medici, reggente data la minore età del futuro re Luigi XIII, è affiancata dal fiorentino Concino Concini. Il ruolo di quest’ultimo viene poi rilevato da Armand-Jean du Plessis, che diviene cardinale e duca di Richelieu, nonché principale consigliere di Luigi XIII. Richelieu passa il test...

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