Neocriticismo: la scuola di Marburgo e quella del Baden
Ernst Cassirer
I simboli
Nello sviluppo immanente dello spirito, l’acquisizione del simbolo costituisce sempre un primo e necessario passo per l’acquisizione della conoscenza obiettiva dell’essenza. Il simbolo costituisce per la conoscenza, per cosí dire, il primo stadio e la prima prova dell’obiettività perché, grazie a esso, per la prima volta viene offerto un punto fermo al perenne mutare del contenuto della coscienza, perché in esso viene determinato e messo in rilievo un elemento permanente. Nessun mero contenuto della coscienza ritorna come tale in una determinatezza rigorosamente identica dopo essersi dileguato ed essere stato sostituito da altri contenuti. Esso è passato per sempre riguardo a ciò che era, una volta svanito dalla coscienza. Ma a questo incessante mutare delle qualità del suo contenuto, la coscienza contrappone adesso l’unità di se stessa e della sua forma. La sua identità si dimostra realmente non in ciò che essa è o ha, ma solo in ciò che essa fa. Per mezzo del simbolo, legato a un contenuto, questo acquista in se stesso una nuova consistenza e una nuova durata. Perché al simbolo, in opposizione al reale mutarsi del contenuto singolo della coscienza, compete un determinato significato ideale, che come tale permane. Esso non è, al pari della semplice sensazione data, un fatto assolutamente singolo e irrepetibile, ma si presenta come rappresentante di una totalità, di un complesso di contenuti possibili, di fronte a ciascuno dei quali esso rappresenta quindi un primo “universale”. Nella funzione simbolica della coscienza, quale si attua nel linguaggio, nell’arte, nel mito, si elevano per la prima volta dal flusso della coscienza determinate forme fondamentali che permangono sempre uguali, in parte di natura concettuale, in parte di natura puramente intuitiva; al posto del contenuto fluente sottentra l’unità chiusa in sé e in sé permanente della forma.
E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Firenze, La Nuova Italia, 1988
Ernst Cassirer
Critica della ragione, critica della civiltà
Ogni vera funzione fondamentale dello spirito [...] non esprime in maniera meramente passiva un’entità esistente, ma racchiude in sé un’energia autonoma dello spirito attraverso la quale la semplice esistenza dei fenomeni acquista un significato determinato, un peculiare valore ideale. Ciò vale per l’arte come per la conoscenza, per il mito come per la religione. [...] Accanto alla pura funzione conoscitiva si tratta di intendere la funzione del pensiero espresso nel linguaggio, la funzione del pensiero mitico-religioso e la funzione dell’intuizione estetica in tal maniera che risulti evidente come in esse si compia non tanto una ben determinata attività formatrice avente per oggetto il mondo, quanto piuttosto un’attività formatrice tesa verso il mondo, verso un oggettivo nesso sensibile, e verso un’oggettiva totalità intuitiva. La critica della ragione diviene così critica della civiltà. Essa cerca di intendere e di dimostrare come ogni contenuto della civiltà, in quanto è più di un semplice contenuto singolo, in quanto è fondato su un generale principio formale, ha come presupposto una originaria attività dello spirito.
E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Firenze, La Nuova Italia, 1961
Giovanni Gentile
L’attualismo
La filosofia attualistica è così denominata dal metodo che propugna: che si potrebbe definire “metodo della immanenza assoluta”, profondamente diversa dalla immanenza, di cui si parla in altre filosofie, antiche e moderne, e anche contemporanee. Alle quali tutte manca il concetto della soggettività irriducibile della realtà, a cui si fa immanente il principio o misura della realtà stessa. Immanentista Aristotele rispetto all’idealismo astratto di Platone, la cui idea nella filosofia aristotelica diviene forma della stessa natura: forma inscindibilmente connessa con la materia, nella sintesi del concreto individuo: dal quale l’idea, suo principio e misura, non si può separare se non per astrazione. Ma l’individuo naturale per la filosofia attualistica è esso stesso qualche cosa di trascendente: perché in concreto non è concepibile fuori di quel rapporto, in cui esso, oggetto di esperienza, è indissolubilmente congiunto col soggetto di questa, nell’atto del pensiero mediante il quale l’esperienza si realizza. Tutto il realismo fino al criticismo kantiano rimane sul terreno di trascendenza. Vi rimane ogni filosofia la quale, anche se riduca tutto all’esperienza, questa intenda come qualche cosa di oggettivo, e non come l’atto dell’Io pensante in quanto pensa, realizzando la realtà dello stesso Io: una realtà fuori della quale non è dato pensare nulla di indipendente e per sé stante.
[...] L’atto pertanto di cui si parla in questa filosofia non è confondibile con l’atto (enérgheia) di Aristotele e della filosofia scolastica. L’atto aristotelico è anch’esso pensiero puro, ma un pensiero trascendente, presupposto dal nostro pensiero. L’atto della filosofia attualistica coincide appunto col nostro pensiero; e per questa filosofia, l’atto aristotelico, nella sua trascendenza, è semplicemente una astrazione, e non un atto: è logo, ma logo astratto, la cui concretezza si ha solamente nel logo concreto, che è il pensiero che attualmente si pensa
G. Gentile, Introduzione alla filosofia , Firenze, Sansoni, 1933
Il neocriticismo si sviluppa essenzialmente come una corrente filosofica tedesca e ha nelle due importanti università di Marburgo e Heidelberg i centri più prestigiosi. Per quanto riguarda la scuola di Marburgo, gli esponenti più importanti sono certamente Hermann Cohen, Paul Natorp ed Ernst Cassirer; mentre la scuola del Baden si rifà soprattutto all’opera di Wilhelm Windelband e Heinrich Rickert.
Il ritorno al pensiero di Immanuel Kant contraddistingue il neocriticismo, insieme a una posizione critica nei confronti del positivismo ottocentesco e all’esigenza di non accettare aprioristicamente metodi e fondamenti della scienza, bensì di sottoporli a un esame serrato. Cohen, ad esempio, riprende la riflessione kantiana sul problema della conoscenza proprio al fine di evitare le contraddizioni emerse sia dal positivismo sia dall’idealismo. La sua opera maggiore resta il Sistema di filosofia, suddiviso in tre sezioni: Logica della conoscenza pura (1902); Etica del volere puro (1904); Estetica del sentimento puro (1912). La principale preoccupazione di Cohen è quella di prescindere da ogni riferimento alla soggettività della conoscenza: se da un lato egli rifiuta la sintesi a priori, composta dal dato fenomenico e dalle forme a priori dell’intelletto, dall’altro propone una lettura “logicistica” di Kant, in nome della quale arriva ad annullare la separazione fra sensibilità e intelletto e tra estetica e logica trascendentale. Dato che, secondo Cohen, non esistono dati della conoscenza che non siano posti dal pensiero, viene così a cadere la distinzione kantiana tra conoscere e pensare, e con questa anche il concetto di noumeno: questi è, al più, una sorta di concetto-limite che segna l’infinitezza connaturata al processo della conoscenza. Il pensiero viene definito come la struttura logica dei suoi contenuti, che sono indipendenti dal soggetto: da qui l’interesse per la logica matematica e la riflessione sul calcolo infinitesimale, che diviene il prototipo di una ragione a priori infinitesimale (Il principio del metodo infinitesimale e la sua storia, 1883).
Allievo di Cohen, Paul Natorp ne amplia il concetto di esperienza. Essa non è più limitata al contesto strettamente scientifico, non appare più fondata esclusivamente su una struttura logica, ma la morale, l’arte e la religione possono, a suo avviso, essere portatrici di un identico grado di valore, benché fondato sui principi della psicologia piuttosto che su quelli della scienza strettamente intesa. Natorp dedica numerosi saggi non solo alla filosofia kantiana, ma anche a Pestalozzi e Herbart. Di particolare rilievo, tuttavia, è La dottrina platonica delle idee (1903). Le idee platoniche vengono qui considerate come “pensabilità” della realtà; distanziandosi così in senso platonizzante da quella che sarà la concezione delle “forme simboliche” di Cassirer, esse vengono intese come funzioni del conoscere nel tentativo di associarle alle categorie kantiane. Natorp avvia infine la rivalutazione di una psicologia non empirica, intesa come una scienza che ha il compito di ricondurre le diverse esperienze culturali all’unità della coscienza.
L’impronta formalista, che aveva caratterizzato il movimento nei primi anni, tende a sfumare per aprirsi all’esperienza e a un approccio psicologico non privo di una forte tensione etica. Ne emerge una dicotomia tra esperienza e ragione che presto sarebbe apparsa ineludibile. Tale atteggiamento è particolarmente evidente negli studi giuridici, nel quali risalta in modo chiaro la relazione tra pure forme giuridiche e le forme della vita sociale. Nel pensiero di Rudolph Stammler (1856-1938) e, soprattutto in quello di Hans Kelsen, tale dicotomia assumerà l’aspetto di una relazione tra mera forma sistematica del pensiero ed esperienza, sia essa psicologica oppure legata alla dialettica tra il “dover essere” (Sollen) e il contenuto della convivenza organizzato dal diritto.
Ma l’esponente della scuola di Marburgo che più ha influenzato la cultura del Novecento è Ernst Cassirer. Rispetto alla scuola in senso stretto, Cassirer pone attenzione all’importanza del linguaggio e alle forme simboliche che costituiscono il mondo dell’uomo. Cassirer propone un’interpretazione originale del concetto di “funzione”, con la convinzione che le strutture che garantiscono validità agli oggetti della scienza e delle alt...