Antichità - La civiltà greca - Scienze e tecniche
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Antichità - La civiltà greca - Scienze e tecniche

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 10

Umberto Eco

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Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 10

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Accanto a letteratura e filosofia, l'antica Grecia si è distinta anche in ambito scientifico. La civiltà greca ha sviluppato notevoli tecniche di costruzione e di utilizzo dei materiali più diversi, ha innovato profondamente l'arte della navigazione e delle costruzioni navali, ha rivoluzionato le tecniche militari, senza le quali non è possibile neppure immaginare i successi delle scarne armate di Alessandro il Grande. Ma ancora più importanti sono le grandi conquiste teoriche raggiunte dalle grandi personalità che hanno dato slancio al progresso dell'occidente: matematici quali Eudosso di Cnido o Talete, Pitagora o Euclide, di cui ancor oggi molto poco si sa, astronomi quali Aristarco di Samo o in età ellenistica Tolomeo, teorici della medicina quali Ippocrate e Galeno, attivo a Roma ma di formazione greco-ellenistica, sono solo alcuni esempi di come la scienza greca, sinonimo di razionalità e di modernità, abbia raggiunto forme di elaborazione concettuale che solo dopo molti secoli il mondo occidentale è stato in grado di imitare e superare. La matematica e la geometria, l'astronomia con la sua elaborata cosmologia, l'arte medica e l'etica ippocratica, l'affascinante commistione di natura, magia e alchimia, l'origine tecnica e lo sviluppo teorico della meccanica: queste le tematiche dell'ebook per riscoprire le origini del pensiero scientifico della cultura occidentale.

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Information

Year
2014
ISBN
9788897514510

Saperi tecnici

Doni degli dèi: l’origine divina della tecnica
Giovanni Di Pasquale

Le misteriose forze della natura, con le sue trasformazioni, hanno stimolato la creazione di storie relative a divinità e personaggi dotati di poteri eccezionali. Se fuoco e vento sono forze della natura attribuite a specifiche divinità, anche le principali abilità tecniche nei settori della metallurgia, della lavorazione della ceramica, dell’architettura e scultura sono abbinate a miti e storie particolari. In questo ricco repertorio le vicende di divinità e personaggi leggendari come Prometeo e Dedalo accompagnano la storia della civiltà ellenica, costituendo un ammonimento costante a fare buon uso della tecnica.

I Greci e la tecnica

Probabilmente non esiste una cultura che, come quella greca, abbia tanto riflettuto sulla tecnica e sul suo ruolo nella società. Il perfezionamento di conoscenze essenziali come l’agricoltura, la navigazione, la metallurgia e le attività costruttive avviene nella medesima epoca in cui nasce la filosofia greca, il VI secolo a.C., in quella Ionia in cui forti sono i contatti tra elementi ellenici e orientali. Studi importanti hanno messo giustamente in evidenza il reciproco scambio di conoscenze tra artigiani e filosofi, con i naturalisti della Ionia che traggono dall’osservazione attenta di alcune attività lavorative una serie di spunti per visualizzare il funzionamento del cosmo. Gli studiosi che hanno riflettuto sul fenomeno della tecnica non hanno tuttavia potuto trovare risposte alle numerose questioni che, andando a ritroso nel tempo, rendono oscuro l’inizio di questa vicenda. Origine che, del resto, è probabilmente ignota agli stessi Greci, che hanno dovuto per questo fare ricorso a una serie di racconti mitologici il cui obiettivo è la narrazione degli eventi che spiegano come le conoscenze pratiche fondamentali appartengano in origine agli dèi. La mitologia greca ha per oggetto il racconto di un patrimonio di vicende che difficilmente può essere ricondotto a uno schema unitario. I contenuti della narrazione risalgono all’insieme di credenze religiose che nel tempo sono andate stratificandosi attorno ai grandi santuari, luogo privilegiato per la diffusione dei culti ellenici.

Astuzie divine

Nonostante Atena e Efesto siano le due divinità cui i Greci attribuiscono la maggior parte delle capacità tecniche trasmesse agli uomini, occorre soffermarsi sulla figura di Metis: figlia di Oceano e Teti (Esiodo, Teogonia, v. 358), si diceva che fosse la più colta tra gli dèi e gli uomini (Esiodo, Teogonia, v. 886). Personificazione dell’astuzia e di una particolare intelligenza, Metis è la prima sposa di Zeus; la dea cerca in realtà di sottrarsi all’abbraccio del dio ricorrendo a una serie di trasformazioni che poi diverranno prerogativa specifica del re degli dèi: “Zeus si unì anche a Metis – dice Apollodoro – che aveva tentato di sfuggirgli continuando ad assumere forme diverse, ma invano” (Biblioteca, I, 3, 6; Esiodo, Teogonia, vv. 886-890). Zeus pone fine ai trucchi di Metis ingoiandola, gesto significativo che conferirà al re degli dèi la possibilità di vedere oltre, prevenire gli eventi, conoscere in anticipo l’esito favorevole e sfavorevole di ogni azione.
Pieno di metis, Zeus può adesso ingannare le sue vittime mascherando il suo vero aspetto. Ecco perché già nei poemi omerici metis è l’equivalente di dolos, l’inganno, il termine cui si ricorre, per esempio, per indicare lo stratagemma del cavallo di Troia oppure per definire le qualità mentali e l’abilità pratica di Ulisse: astuzia e attività tecnica cominciano a camminare a braccetto. Come Apollodoro, anche Esiodo (Teogonia, v. 887) non concepisce il dominio di Zeus senza l’appoggio di Metis, “che conosce più cose di qualsiasi dio o uomo mortale”. Chiusa per sempre al suo interno, Metis trasmetterà a Zeus la conoscenza esatta degli eventi incerti, del futuro, della giusta condotta per essere in tutto e per tutto il re degli dèi. È proprio Metis a consentirgli uno stato di perenne guardia, pronto a rispondere agli attacchi più imprevisti perché niente gli è precluso: potrà prevedere i mutamenti improvvisi, anticipare le insidie ed escogitare rimedi per ogni problema. Capace di trasformarsi come meglio conviene, Zeus riesce, sotto le sembianze di un toro dal fascino particolare, a convincere Europa a sedersi sul suo dorso per lasciarsi portare in un luogo lontano, attraverso il mare. La capacità di trasformarsi gioca un ruolo fondamentale in questa vicenda, in cui anche i saperi della tecnica hanno un importante riconoscimento. Tra i doni fatti da Zeus alla sua sposa figura, infatti, una lancia capace di colpire qualunque bersaglio e, soprattutto, un cane di bronzo posto a guardia della giovane – Eratostene, Catasterismoi, XXXIII; Igino, Astronomica, II, 33 –. A questo genere di storie si ricollega anche l’amore di Zeus per la giovane Io. Trasformata da Era, anche lei questa volta capace di astuzie divine, in una vacca proprio per ingannare il marito, la affida alla guardia di Argo (Apollodoro, Biblioteca, II, 1, 3). Zeus la riconosce e la avvicina sotto le sembianze di un toro – Eschilo, Prometeo incatenato, v. 640 –. Oltre alla capacità di mutare aspetto in continuazione, la metis divina si manifesta attraverso qualità mentali. Gli Inni omerici ricordano a tal proposito diversi casi significativi: tra questi, il furto della mandria di Apollo da parte di Ermes, che per ingannarlo con la direzione delle orme sul terreno fa camminare gli animali all’indietro (Inni omerici. A Ermes, vv. 75 e ss.); si ricorda poi il caso di Antiloco, che seguendo i preziosi consigli di Nestore, esperto in metis, può partecipare alla corsa dei carri e vincerla pur avendo cavalli più lenti rispetto ai suoi avversari.
Essere dotati di metis significa anche adoperare con astuzia oggetti reali, come nel caso della vicenda del tradimento di Afrodite e Ares nei confronti di Efesto (Odissea, VIII, vv. 266-366). Per vendicarsi Efesto fabbrica catene dalle quali risulterà impossibile liberarsi e, terminato il lavoro, mette in atto il suo piano collocandone una parte ai piedi del letto e appendendo il resto al soffitto, in modo da rendere il tutto invisibile. Quindi simula una partenza per una terra lontana, l’isola di Lemno, e i due amanti cadono nella trappola: “I legami forgiati dalla techne e dalla grande prudenza di Efesto cadono loro addosso; essi non possono muoversi, non possono alzare le braccia oppure le gambe; capiscono subito di non poter fuggire” (Odissea, vv. 296-299). Tra risate e scherzi gli dèi dell’Olimpo, invitati a prendere visione del tradimento, osservano con ammirazione l’arte abile di Efesto, capace di mettere in atto téchnai che gli permettono di portare a compimento con successo i suoi piani. Preda dell’astuta vendetta di Efesto è anche Afrodite, che paga in tal modo il suo ridurre le proprie prede alla amechania (Senofonte Memorabilia, III, 11, 5 e ss.). Desta meravigliata sorpresa il fatto che Efesto, lento e zoppo, sia riuscito a ingannare Ares, il più veloce e il più forte tra di loro (Odissea, vv. 329-332). In questa vicenda appare chiaro, più che altrove, come l’inganno sia l’arte di rendere una forza la propria debolezza. Ecco dunque comparire, proprio in questo episodio, quello che diverrà il linguaggio tipico della disciplina meccanica, teorica e pratica: il più debole, con la tecnica, vince il più forte, come è dichiarato nella pagina di apertura delle Questioni meccaniche, opera scritta sul principio del III secolo a.C. da Aristotele o da un suo allievo. Del resto, è proprio col lavoro dei tecnici che Metis scende sulla terra, divenendo questa volta la qualità mentale e pratica fondamentale di personaggi capaci di portare a termine le operazioni lavorative più complesse.

Dedalo e la tecnica

Espressione concreta di questa straordinaria e crescente abilità è anche la figura di Dedalo, la cui vicenda mostra come abilità tecnica e possibilità di ingannare siano ancora percepiti come un binomio inscindibile. Mitico artigiano, inventore e architetto, Dedalo, che si riteneva vissuto al tempo in cui Minosse regnava su Creta, è considerato il capostipite di una generazione straordinaria di scultori. Le sue invenzioni sono state registrate e celebrate dagli antichi, impressionati soprattutto dalla capacità dimostrata nello scolpire statue talmente perfette da apparire vere e animate (Euripide, Ecuba, v. 836 ss.; Platone, Menone, 97e; Aristotele, De anima, I, 3, 406b, 19-20). La figura di Dedalo segue anche la colonizzazione in Occidente: secondo Diodoro Siculo (Biblioteca, IV, 30) costruisce poderose mura difensive per il re Cocalo e una reggia inespugnabile, a Selinunte trasforma una grotta in un luogo per bagni termali e a Erice amplia il basamento del tempio di Afrodite. Tutta la vicenda di Dedalo rimanda alle attività del vasaio, del fabbro, dello scultore e dell’architetto. L’ambiguità della tecnica appare più che mai evidente nella vicenda di Pasifae e della sua insana passione per il toro mandato da Poseidon (Apollodoro, Biblioteca, 3, 15). Desiderosa di accoppiarsi con lui, Pasifae si rivolge a Dedalo che costruisce una vacca di legno ricoperta di pelle e montata su quattro ruote, abilmente celate negli zoccoli dell’animale. Presa posizione all’interno, Pasifae può unirsi al toro. Da questo accoppiamento innaturale scaturirà un essere mostruoso, il Minotauro, con testa di toro e corpo umano.
Diodoro Siculo, che racconta dettagliatamente la costruzione della vacca di legno (Biblioteca, IV, 77), riconosce che l’accoppiamento desiderato da Pasifae avviene grazie all’abilità di Dedalo, vero intermediario della vicenda. Con questa narrazione la cultura greca racconta l’abilità di tecnici capaci di rappresentare a tal punto la realtà da riuscire addirittura a imitare il vivente, creando nocive illusioni. Che dal punto di vista della tecnica gli assembramenti incongrui siano destinati all’insuccesso lo testimonia non solo la nascita del Minotauro ma, ancora più efficacemente, la vicenda di Icaro e del suo fallimentare tentativo di volare con ali di penne e di cera, materiali la cui unione no...

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