Da Romolo alla grande Roma dei Tarquini
Claudia Guerrini
La storia della nascita e della crescita di Roma fino all’instaurazione della Repubblica è scandita da momenti nei quali si assiste al sorgere di strutture fondamentali per l’evoluzione delle istituzioni politiche e religiose, ma anche alla definizione di spazi comuni, che simboleggiano l’idea dello spazio urbano come luogo del vivere insieme.
Fondazione o formazione?
La leggenda di Romolo e Remo e della fondazione di Roma è qualcosa che fa parte del background culturale di tutti noi; ma è in genere considerata, appunto, come una leggenda, come una bella favola priva di qualsiasi addentellato con la realtà storica delle origini dell’Urbe. Del resto la stessa storiografia almeno dalla fine dell’Ottocento ha teso a negare la possibilità di una fondazione di Roma come atto unico ed irreversibile, espressione pianificata di una precisa volontà politica manifestata da Romolo nel sulcus primigenius tracciato intorno al Palatino in quel 21 aprile del 753 a.C.; e ha preferito ricorrere al concetto di formazione, ipotizzando il concretarsi di un processo di lunga durata, graduale e spontaneo, che avrebbe condotto alla costituzione di un insieme urbano coerente e centralizzato non prima del VI secolo a.C. Ma le importantissime scoperte archeologiche fatte da Andrea Carandini e dalla sua équipe nel sottosuolo di Roma in poco più di vent’anni, accompagnate da una accurata revisione dei dati di scavi più antichi, hanno veramente sparigliato le carte, restituendo ai testi sulle origini di Roma di Cicerone, Livio, Dionigi di Alicarnasso, Varrone, un valore di testimonianza storica, anche se in essi la storia si intreccia con il mito, la verità con la fiction e l’intelaiatura del racconto si arricchisce di elementi sacrali e rituali di cui occorre comprendere il significato facendo ricorso alle categorie interpretative dell’antropologia comparata e dell’etnografia, e facendo dell’Urbe un osservatorio privilegiato per gli studi sulla nascita nel mondo antico di un modo organizzato di vivere insieme, di quell’istituto politico, giuridico, sacrale cui diamo il nome di città. Gli scavi di Carandini hanno infatti dimostrato che una sostanziale svolta nella storia di Roma è collocabile proprio negli anni intorno alla metà dell’VIII secolo a.C., anche se non si tratta del sorgere ex nihilo di un insediamento umano, come la leggenda romulea vorrebbe. Il sito su cui sorgerà l’Urbe è, come noto, interessato da una frequentazione che risale almeno alla metà del II millennio a.C., come dimostrano i materiali ceramici rinvenuti sul Campidoglio e nell’area del sottostante Foro Boario, luogo reso strategico dal convergere di un facile guado sul Tevere e del percorso stradale via Salaria-via Campana, sul quale transitava verso la Sabina il sale, elemento prezioso per la conservazione dei cibi e la produzione del formaggio, proveniente dalle saline di Ostia.
Nel corso del IX secolo a.C. si assiste anche qui, come in tanti centri dell’Etruria villanoviana, alla formazione di un nucleo protourbano, nel quale Carandini riconosce il Septimontium ricordato dalle fonti (Varrone, Sulla lingua latina, V, 41), costituito da quartieri sparsi sulle alture insieme alle relative necropoli (che si distribuiscono anche nell’area su cui poi sorgerà il Foro) e separati tra loro da porzioni territoriali destinate alla coltivazione o al pascolo e dislocati in un comprensorio di circa 205 ettari, più ampio dunque di quello dei maggiori centri protourbani etruschi, come Veio e Tarquinia, e di poco inferiore a quella che sarà la dimensione di Roma in età storica. Abitate da gruppi egemoni, le gentes, e dai loro clientes, queste “contrade” non costituiscono un insieme gerarchizzato, così come non è gerarchizzato l’organismo politico (anzi, pre-politico) che verosimilmente le dirige, un consiglio costituito dai patres più anziani e più autorevoli a capo dei diversi gruppi egemoni.
Una sorta di confederazione di “primi tra pari”, dunque: una situazione che mostra di mutare sensibilmente proprio intorno alla metà dell’VIII secolo a.C., quando chiari segnali parlano della nascita di un potere centrale forte, che realizza strutture per il culto comune e per la vita politica, ma anche luoghi-simbolo di una nuova unità civile; che avvia imprese impegnative ma necessarie alla salute e all’ampliamento della comunità; e che infine promuove e stimola un inizio di mobilità sociale, con lo sviluppo delle attività commerciali ed artigianali e un aurorale processo di divisione e specializzazione del lavoro, che giungerà a maturazione nell’età dei Tarquini.
Roma quadrata
Tra le scoperte più importanti fatte da Carandini c’è quella del muro “romuleo” sulle pendici settentrionali del Palatino, una fortificazione realizzata con pali lignei ed alzato in mattoni crudi e provvista di porte, tra le quali quella che è stata scavata è probabilmente identificabile con la Mugonia, così chiamata per il belato degli armenti che la attraversavano.
La datazione della struttura al secondo quarto dell’VIII secolo a.C. è stata proposta sulla base di un deposito di fondazione rinvenuto sotto la soglia della porta, consistente in un corredo funerario pertinente alla sepoltura di una bambina probabilmente sacrificata in funzione propiziatoria: elemento questo di notevole suggestione, che richiama alla mente il particolare della saga romulea relativo all’uccisione di Remo, che aveva osato violare il confine tracciato dal fratello.
Altri sacrifici umani a destinazione espiatoria sono riconducibili ad una distruzione (databile negli ultimi anni dell’VIII secolo a.C.) della prima cinta muraria in funzione di una sua ricostruzione con una tecnica più raffinata e più solida, con fondazioni in scaglie di pietra e alzato costituito da due cortine di argilla con riempimento; la cinta subirà poi una nuova ristrutturazione, svolgendo la propria funzione fino alla realizzazione delle mura che la tradizione attribuisce a Servio Tullio, che intorno alla metà del VI secolo a.C. andranno ad abbracciare una parte ben più ampia del tessuto urbano, dall’Esquilino al Quirinale, conferendo a Roma un’immagine più definita e coesa di città. Le mura dell’VIII secolo a.C., invece, lasciando fuori una buona parte dell’abitato, cingono solo la “Roma quadrata” sul quadrangolare Palatino: cittadella fortificata che rappresenta il cuore dell’insediamento ma anche il centro del potere regio, focalizzato in due capanne contigue, databili intorno alla metà del VIII secolo a.C. e interpretabili rispettivamente come la prima residenza regia e il primo sacrario di Marte e di Ops Consiva, protettrice delle messi: capanne che appaiono continuamente restaurate e ricostruite, oggetto di una venerazione secolare. La struttura romulea sancisce così, di fatto, la funzione egemonica del Palatino, destinata a resistere per lunghi secoli nella storia di Roma antica: va ricordato che il Palatino costituirà il quartiere residenziale della classe dirigente romana durante la repubblica, per accogliere poi le dimore di Augusto e dei suoi successori. Al terzo quarto dell’VIII secolo a.C. è probabilmente riconducibile l’istituzione del primo culto poliadico della città, rivelato sul Campidoglio dal rinvenimento di un importante deposito votivo tornato alla luce negli anni Venti del secolo scorso durante i lavori per la realizzazione di uffici del Comune di Roma (si tratta del cosiddetto deposito della Protomoteca capitolina): si ritiene che debba trattarsi del luogo di culto di Giove Feretrio, la cui inaugurazione le fonti antiche attribuiscono a Romolo.
Probabilmente la struttura sacra in questione è una semplice capanna con un altare antistante, all’interno della quale è custodito il simulacro aniconico del dio, il lapis silex, forse un’ascia preistorica, interpretata come la materializzazione del fulmine; va a tal proposito ricordato che un frammento di Varrone (Le antichità, I, fr. 18 Cardauns) testimonia dell’esistenza, nella Roma della prima età regia, del divieto di realizzare immagini di culto, che sarebbe venuto meno solo con i Tarquini.
La definizione dei primi spazi pubblici
Negli anni tra il 750 e il 725 a.C. circa, una precoce e strutturata pianificazione urbanistica sembra interessare l’abitato, come testimoniano sia lo spostamento delle zone riservate alle sepolture in aree periferiche dell’Esquilino e del Quirinale allo scopo di destinare aree più ampie all’espansione della città che la realizzazione di strade, spazi pubblici per eccellenza, le più antiche di Roma, con battuti di ghiaia pressata in funzione impermeabilizzante.
Ma è il Foro a mostrare nel modo più chiaro e sorprendente la complessità e l’ambiziosità di questo progetto urbano, e la forza dell’autorità politica di cui è emanazione: qui, in un lasso di tempo compreso tra il secondo quarto dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C., quella che era stata una bassura malsana spesso invasa dalle acque del Tevere accoglie le prime strutture istituzionali specializzate, a carattere religioso e politico, della neonata città, e si avvia a diventare la piazza pubblica per eccellenza, del tutto paragonabile all’agorà della polis greca, anche grazie ad un impegnativo intervento di bonifica che si conclude con la realizzazione della prima pavimentazione, in ciottoli, del Foro (inizi VII secolo a.C.).
Gli scavi recenti hanno rivelato che gli inizi della frequentazione del Comitium, sede, in origine, del consiglio regio destinata a diventare luogo di riunione dei cittadini della Roma repubblicana, debbono datarsi entro la seconda metà dell’VIII secolo a.C., epoca in cui viene costruita la prima Regia, la dimora “pubblica” del re sceso dalla residenza palatina: una struttura che assomma funzioni politico-rappresentative e funzioni religiose, accogliendo il culto di Marte, quello di Ops Consiva e quello dei Lari, e collocandosi all’interno del santuario di Vesta, dove arde perennemente il sacro focolare della città. Si tratta di una struttura a capanna, caratterizzata tuttavia da una pianta rettangolare allungata, di un tipo che tornerà nelle regge dei principes etruschi di età orientalizzante, e che nella seconda metà del VII secolo a.C. supererà la tecnica capannicola per dotarsi di un tetto di tegole e di muri con base a scaglie di tufo. Intorno al 600 a.C. questa domus, nella quale è da individuare la sede dei re fino a Tarquinio Prisco, verrà sostituita nella sua funzione da una nuova Regia, significativamente esterna al santuario di Vesta, anche se direttamente collegata ad esso tramite un passaggio interno, mentre la vecchia dimora verrà ristrutturata per diventare la sede del rex sacrorum, il “re dei sacrifici”, una figura istituzionale che assume il ruolo religioso fino a questo momento espletato, insieme ai doveri militari, giuridici e amministrativi, dal rex: una figura emblematica, dunque, come lo è la stessa separazione tra la dimora regale e il santuario di Vesta, del processo di secolarizzazione che l’istituto della regalità arcaica a Roma conosce con l’avvento dei “re etruschi”, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. La monarchia dei Tarquini ha delle caratteristiche che la rendono paragonabile alle tirannidi arcaiche delle città greche, magnogreche e siceliote; e del resto, questo legame ideale è sotteso alla stessa leggenda che vuole Tarquinio Prisco figlio di Demarato, esule a Tarquinia da Corinto a seguito della cacciata dei Bacchiadi e dell’instaurazione della tirannide di Cipselo (657 a.C. ca.). Come in Grecia, a Roma si assiste in questo periodo ad un intensificarsi della mobilità sociale, che conduce ad un ridimensionamento dei privilegi e del potere dell’aristocrazia fondiaria e all’affermazione di nuovi ceti, artigiani, commercianti, stranieri inurb...