Il Settecento - Arti visive
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Il Settecento - Arti visive

Storia della CiviltĂ  Europea a cura di Umberto Eco - 60

Umberto Eco

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Il Settecento - Arti visive

Storia della CiviltĂ  Europea a cura di Umberto Eco - 60

Umberto Eco

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Nel campo delle arti figurative il mutamento di modelli, di cultura e di stile non coincide affatto con l'inizio del secolo: è negli anni Quaranta che si apre una faglia marcata. È la "resurrezione" improvvisa delle città di Ercolano e Pompei, sepolte dalle ceneri dell'eruzione del 79 d.C e ritrovate dagli scavi del quinto decennio, a imprimere quella svolta radicale in direzione neoclassica che, per le imperscrutabili ragioni della simmetria, viene a coincidere con il solco lasciato nella storia dalla pace di Aquisgrana e dalla conclusione della guerra di successione austriaca. La prima parte del secolo ci consegna l'immagine di una civiltà elegante, frivola, spregiudicata, dedita al lusso, alle feste e ai plaisirs dello stile rocaille. Da questa prospettiva parziale scaturisce quella mitologia dell'ancien rÊgime che insieme a una vena di nostalgia proietta sulle feste galanti di Jean-Antoine Watteau, sulle favole pastorali di Boucher e sulle mascherate di Francesco Guardi l'ombra di una colpa legata al piacere e dunque un destino di dissoluzione fatale.In questo ebook si snoda l'affascinante percorso dell'arte settecentesca, dallo stile rocaille, con l'esaltazione di un superfluo decorativismo, e la contrapposizione degli spazi grandiosi e gerarchicamente scanditi dell'architettura barocca con interni miniaturizzati e in sequenza, che mira a un raffinato piacere dei sensi e al continuo compiacimento estetico, al funzionalismo e alla razionalità, per approdare poi nella propensione per la notte e nella scoperta dell'inconscio.

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Information

Year
2014
ISBN
9788897514978
Topic
Art
Subtopic
Art General

Pittura, architettura e urbanistica tra rivoluzione e tradizione

I pittori illuministi
Anna Maria Ambrosini

Intorno alla metà del Settecento una coerente visione realistica e un’accentuazione dell’aspetto morale dei soggetti caratterizza alcuni importanti episodi figurativi. Ciò che distingue la pittura di artisti quali Chardin, Liotard, Hogarth, Greuze e Longhi è il fatto che la realtà viene registrata con evidenza ottica assoluta, garantita dall’obiettività della percezione visiva e da un atteggiamento di fondo disincantato e antiretorico. Si tratta sempre di una tendenza antitetica rispetto ai ritmi vorticosi e ai contenuti cortigiani del rococò, lo stile che trionfa nelle corti e nelle accademie; in tal senso si può dunque parlare di pittura illuminista.

La pittura illuminista in Francia

L’opera di Jean-Baptiste-Siméon Chardin si caratterizza per una concezione del vero dotato di autonoma e immediata poesia e di rigore morale. Proprio questa concezione motiva la grandezza e la modernità di Chardin, ma anche la limitata comprensione della sua opera da parte dei contemporanei, non ancora pronti alla disarmante verità e all’apparente modestia dei suoi soggetti.
Maturata già nella prima metà del Settecento, l’arte di Chardin si svolge parallelamente alla crescita del movimento illuminista in Francia; l’artista dà una voce pittorica del tutto autonoma alla rivoluzionaria aspirazione realistica promossa dall’Illuminismo che costituisce l’ineliminabile scenario storico dei suoi traguardi artistici.
La ricerca degli effetti che la luce naturale ha sugli oggetti diventa in Chardin poesia delle cose comuni, sorprese nella loro essenza luminosa. Nitido e delineato, il segno dell’artista paga un chiaro tributo alla pittura olandese del Seicento – specialmente alla limpidezza cristallina di Johannes Vermeer – con la novità di un fare dimesso e lirico al tempo stesso. Superando così una certa analiticità dei fiamminghi, Chardin apre la grande tradizione della pittura francese ottocentesca fino a Cézanne, memore dei prodigi di equilibrio tra forme diverse che le tele di Chardin – in primo luogo le nature morte – sanno realizzare.

Jean-Étienne Liotard

Incisore, miniatore, pastellista e pittore, ma anche raffinato collezionista, mercante d’arte e grande viaggiatore, Jean-Étienne Liotard rappresenta al meglio la figura, tipicamente settecentesca, dell’artista cosmopolita. I viaggi in Paesi orientali contribuiscono a rafforzare quei valori illuministi di tolleranza, solidarietà e cosmopolitismo che portano Liotard ad abbigliarsi alla turca, con la lunga barba, come appare nell’Autoritratto eseguito alla corte viennese (1743; Dresda, Gemäldegalerie).
Nel suo Trattato dei principi e delle regole della pittura (Lione, 1781; manoscritto autografo presso l’Archivio di Stato di Ginevra), l’artista sostiene che la pittura deve rivaleggiare con la natura: coi suoi artifici essa guida alla comprensione della verità, anche meglio della natura stessa.
Una pittura, dunque, alla ricerca della più assoluta verità, sulla scorta delle correnti sensiste francesi e dello spirito razionalista dell’Encyclopédie. Infatti Liotard è amico e in contatto con Bernard Le Bovier de Fontenelle, Voltaire e Rousseau: di tutti e tre dipinge i ritratti, purtroppo perduti.
Dimenticato dopo la sua morte, Liotard viene parzialmente recuperato dalla critica di fine Ottocento. Ma è solo in anni recenti che un filone di studi ha fatto luce sulla sua carriera artistica, autonoma anche rispetto alla tradizione dei pastellisti francesi che, specialmente con Maurice Quentin de La Tour, si distinguono per l’intima verità della pittura di tocco dalla tradizione del rococò più esteriore di artisti come Jean Marc Nattier.
Liotard sfugge la notazione psicologica per non indulgere a valori soggettivi, imponendosi così quella distanza dal soggetto come unica garanzia di una moderna visione realista. L’artista tende a evitare gli accenti eleganti insiti nella pittura sfumata e cangiante, prediligendo gli sfondi chiari su cui delinea piani nitidi, illuminati da secchi contrasti. È il metodo empirico trasferito in pittura: la conoscenza avviene attraverso l’esperienza e l’esperienza coincide con l’analisi del mondo circostante.
Non è dunque un caso che il suo Ritratto di Madame d’Epinay piaccia moltissimo a Voltaire e più tardi ottenga il plauso non solo di un grande artista come Jean-Auguste-Dominique Ingres, ma anche di Gustave Flaubert; questi infatti trova nel dipinto di Liotard il parallelo pittorico della spietata analisi che in letteratura egli applica ai suoi personaggi.

Jean-Baptiste Greuze e la pittura morale

La nuova apertura alla realtà è anche alla base di un filone pittorico in rapporto con gli intenti edificanti del moralismo illuminista di Diderot e Rousseau. La solidarietà viene dunque considerata fatto interiore e spontaneo, come la bellezza, secondo una morale istintiva e sentimentale con risvolti preromantici.
In perfetta sintonia con La nouvelle Héloïse di Rousseau (1761) è la pittura di Jean-Baptiste Greuze, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, come dimostra Il contratto nuziale (1761; Parigi, Louvre) che descrive la vita rurale secondo l’aspirazione sentimentale delineata nel celebre libro di Rousseau. La pittura dell’artista si fa successivamente ripetitiva nei modelli e nell’insistita accentuazione moralistica dell’aspetto idilliaco, degli affetti e del mondo incorrotto dei semplici. Nei dipinti di Grueze la visione della realtà diventa una sorta di epica del quotidiano svuotata di forza rivoluzionaria, ma importante poiché inaugura la tradizione del realismo borghese ottocentesco.

La pittura illuminista in Inghilterra

La pittura morale che si delinea in Inghilterra con William Hogarth ha una ben diversa incidenza sociale rispetto al filone francese capeggiato da Greuze.
I soggetti di Hogarth, delineati con sapienza registica, hanno forza d’indagine e di denuncia morale, sostenuta da una satira sociale che non scade mai nel moralismo. Il successo delle sue stampe satiriche è immediato: il primo nucleo, La carriera di una prostituta, viene inciso da dodici dipinti (1732). Ma le stesse qualità si ammirano anche nei ritratti, in particolare nella serie comprendente I domestici di casa Hogarth o la Venditrice di gamberetti (conservati alla National Gallery di Londra). Hogarth insorge contro il gusto del passato tramandato dalle accademie, esaltando quel rinnovamento delle arti strettamente connesso alle trasformazioni sociali e morali.
Nel 1753 l’artista pubblica le sue idee estetiche nell’Analisi della Bellezza. La sua arte diviene così un modello per la pittura morale inglese e per molta pittura europea tra Sette e Ottocento, compresa quella di David e Goya. Anche Diderot conosce e apprezza l’opera di Hogarth che, divenuto ormai personalità di spicco nella giovane scuola artistica inglese, finirà per imporre le sue posizioni su quelle – ancora legate alle gerarchie dei generi artistici – di Sir Joshua Reynolds, portabandiera della ritrattistica ufficiale.
Anche la novità di The Beggar’s Opera è percepita e apprezzata; si tratta di una serie di repliche di una scena dell’omonimo dramma di John Gay, rappresentato in quel tempo a Londra. Hogarth introduce così un genere di favoloso successo in Inghilterra, quello di rappresentazioni tratte dalla vita del teatro e degli attori, destinato a incarnare l’orizzonte epico della classe borghese emergente.
Anche i Racconti morali vengono concepiti come scene di teatro, serie in costume connesse con le teorie di Shaftesbury sui compiti morali dell’arte.
La filantropia è un’altra espressione dell’impegno sociale della classe media che ama proiettare nelle opere d’arte il desiderio di bontà e tutte le qualità d’animo che garantiscono l’ascesa e il miglioramento rispetto al passato. Ne è l’esempio il Capitano Coram di Hogarth, realizzato per l’Ospedale dei Trovatelli di Londra.

Johann Zoffany e le conversation pieces

In stretto rapporto con l’esigenza autorappresentativa della classe borghese emergente è anche la pittura di conversation pieces. Il genere mette radici profonde in Inghilterra, adattandosi perfettamente a incarnare quei valori di domesticity – vita familiare colta fuori dai canoni ufficiali – cari alla classe borghese, ma graditi anche ai nobili e alla corte durante il regno di Giorgio III. Lo stesso Hogarth è maestro di conversation pieces e anche il tedesco naturalizzato inglese Johann Zoffany – personalità significativa tra gli esponti della pittura illuminista – deve a questo genere la sua grande popolarità.
Il successo londinese di Zoffany è strettamente legato alla sua attività per il celeberrimo attore David Garrick che ne fa il maestro della pittura ispirata a rappresentazioni teatrali, le cosiddette theatrical conversation pieces. La pittura, con un enorme salto di modernità rispetto al passato, diventa così strumento di pubblicità e promozione, in collegamento con un settore – quello teatrale – che rispecchia le trasformazioni e le esigenze culturali della classe borghese.
Sulla natura verista della sua pittura ha messo l’accento lo storico dell’arte Giuliano Briganti. Lo studioso si sofferma in particolare sul dipinto John Cuff e il suo assistente (1772; Londra, Kensington, Collezioni Reali), indicandone il carattere di analisi realistica affidata alla qualità indagatrice della luce che realizza una pittura speculare fino ai limiti del surreale. Zoffany opera una netta cesura con la narrazione idealizzante del barocco e anche nelle sue numerosissime scene di conversation pieces il pittore attua una scelta di taglio analitico e cronachistico. Tutto è puntualmente elenca...

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