La riparazione del capitalismo democratico
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La riparazione del capitalismo democratico

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Tutte le democrazie, pur a diversi gradi, mostrano segni di crisi dovute alla tendenza regressiva del capitalismo di massa e sua speranza. I dati mostrano una tendenza alla polarizzazione sul piano della ricchezza socialmente diffusa e un aumento delle quantità di impoveriti e poveri. Tale situazione, al netto delle crisi e rimbalzi contingenti dell'economia tecnica, appare causata dall'inadeguatezza dei modelli nazionali. La configurazione con forti garanzie redistributive ha un peso che soffoca la creazione della ricchezza. Quella con insufficienza delle garanzie stesse per far accedere più individui alle opportunità economiche ha un difetto selettivo. L'ipotesi è che serva un'innovazione sul piano dei modelli nazionali di welfare. Inoltre, serve un'innovazione/strutturazione dell'architettura politica del mercato internazionale che permetta ad ogni singola nazione democratica di ottenere un plus di ricchezza dalla sua apertura economica e al complesso delle democrazie un equilibrio stabile. Il libro contiene proposte precise per tali innovazioni, in particolare: la transizione dal welfare redistributivo o da quello con garanzie insufficienti ad un nuovo tipo di "welfare di investimento" adattabile ad ogni nazione democratica e la formazione di un mercato globale ad integrazione crescente tra democrazie. Tale proposta di riforma sia interna sia internazionale delle nazioni del capitalismo democratico si basa su un nuovo principio/standard delle "sovranità convergenti e reciprocamente contributive". L'autore propone che tali innovazioni, calibrate sul piano del realismo (geo)politico, possano contribuire ad una strategia di riparazione del capitalismo democratico che ripristini la sua missione di ricchezza di massa progressiva, anche rafforzando le democrazie sfidate dal capitalismo autoritario.

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1.
La riconfigurazione dei modelli nazionali nelle democrazie per il ripristino del capitalismo di massa

CHI SCRIVE IPOTIZZA che il capitalismo democratico non sia più in grado di riprodurre sé stesso in modo espansivo, cioè che il ciclo del capitale (umano, politico, finanziario) non riesca a rigenerarsi pienamente, per difetti di architettura politica. Tale ipotesi è corroborata da fatti evidenti. Ma questi mostrano anche una certa robustezza dei modelli: il loro declino – sul piano della diffusione della ricchezza – tende a essere mediamente lento e resta comunque denso di innovazioni che includono ampie parti di popolazione. Infatti non si può dire che i modelli più liberalizzati o più socialdemocratici del presente siano collassati del tutto. Si osserva, invece, che tendono a non contrastare la spaccatura delle diverse società democratiche tra ricchi che lo diventano di più e poveri che aumentano di numero. Per inciso, il fenomeno dell’erosione della classe media nella gran parte delle democrazie è visibile da più di un ventennio e ciò mostra che i modelli non riescono ad autoripararsi. Pertanto il problema va visto come regressione verso il capitalismo selettivo. Da un lato, è un problema molto grave perché implica un destino di destabilizzazione prospettica delle democrazie. Dall’altro, la regressione non è ancora irreparabile.
Cerchiamo di capire, semplificando l’enorme complessità dell’oggetto di studio, il punto chiave.

1. La regressione del capitalismo di massa per crisi delle garanzie

Il mondo delle democrazie è molto variato, ma Stati Uniti e nazioni dell’Europa occidentale sono le aree del pianeta dove il progetto del capitalismo di massa e il modello del capitalismo democratico sono più evoluti e hanno avuto maggiore successo dagli anni ’50 in poi. Ciò rende queste due aree un oggetto di studio privilegiato per capire il problema.
Nel dopoguerra sia America (dai primi anni ’50) sia le democrazie europee (chi dagli anni ’60 chi dopo i ’70) riuscirono a creare una società fatta di 2/3 di abbienti, cioè con capacità di risparmio, e di 1/3 di meno abbienti, di cui la metà poverissimi, ma con la speranza di migliorare la loro situazione. Per la prima volta, nella storia documentata, una società fu caratterizzata da una maggioranza di “ricchi”. Ma già dai primi anni ’90 questa proporzione smise di migliorare e la quantità di ricchi iniziò a ridursi, a partire dai meno ricchi nella parte “bassa” della classe media. Ovviamente il fenomeno di regressione può trovare – e infatti ha – spiegazioni di economia tecnica, di ciclo storico, demografico, ecc. Ma sotto di queste c’è un evidente difetto del modello, e dell’astrazione che lo ha generato, che rende meno potente il motore di creazione e diffusione sociale della ricchezza.
Il difetto è nelle garanzie: o troppo pesanti sul ciclo economico o insufficienti.
La garanzia economica prevalente offerta dal modello americano è di tipo indiretto. Non fornisce tutele dirette, pur prevedendo l’assistenza statale, federale o locale, per i casi di estremo bisogno, ma crea una configurazione di mercato dove è massima la probabilità di trovare lavoro. L’erogazione della garanzia da parte dello Stato è spostata dall’individuo al sistema e ciò la rende definibile come “garanzia indiretta configurazionale”, cioè di forma del mercato. La politica garantisce un sistema economico sempre crescente e denso di opportunità di lavoro a cui l’individuo ha accesso in base alla propria volontà e competenza. Tale tipo di garanzia implica un contratto fiscale nazionale che renda minime, in senso relativo, le tasse, nonché le regole che riducono la concorrenza e la flessibilità del sistema economico, per lasciare un massimo di capitale, e di libertà, nel mercato allo scopo di renderlo dinamico e tendenzialmente crescente. Implica anche, sul piano tecnico, l’adozione di una politica economica che mantenga costante la crescita e la fiducia nell’espansione continua dell’economia, cioè una situazione dove le recessioni siano brevi e le fasi di espansione lunghe. Per tale motivo, ad esempio, la Banca centrale statunitense (Fed) ha nel suo statuto non solo la missione di proteggere il valore del denaro dall’inflazione, ma anche quella di usare la politica monetaria come leva di stimolazione economica, con particolare riferimento alla minimizzazione della disoccupazione, quando il ciclo di mercato è stagnante o recessivo. Il modello basato sulle garanzie indirette tende, infatti, a produrre inflazione che deve essere annullata o contenuta attraverso l’efficienza del mercato, in particolare la concorrenza che riduce i prezzi, e l’aumento costante della produttività (il valore di un prodotto per ora di lavoro). In essenza, attraverso la garanzia indiretta uno che viene licenziato trova rapidamente un altro lavoro. Nei dati dal 1990 al 2020 è osservabile che tale forma di garanzia prevalente (ci sono anche garanzie dirette assistenziali) ha continuato a produrre gli effetti voluti sul piano dell’occupazione, ma non su quello del reddito: l’aumento degli impoveriti in America non corrisponde a un incremento dei disoccupati, ma all’incremento della popolazione con salari al limite della sopravvivenza o comunque più bassi di quelli medi (calcolati in base al potere d’acquisto) nei decenni precedenti.
La garanzia economica prevalente nel modello europeo continentale è di tipo diretto. L’individuo viene sostenuto direttamente da denaro fiscale e da protezioni erogate in forma di limiti giuridici alla possibilità di essere licenziato e di assistenzialismo/protezionismo in svariate forme. Ciò rende il mercato poco flessibile, molto carico di tasse che servono a finanziare le tutele, appesantito da costi di inefficienza dovuti alla concorrenza insufficiente per le troppe aree di mercato protetto. Il risultato è che la creazione della ricchezza è limitata per diffondersi a tutta la popolazione. Un altro limite, sul piano degli investimenti pubblici, dipende – dalla fine degli anni ’90 in poi – da politiche sia di bilancio sia monetaria restrittive, a causa della priorità politicamente stabilita da un’integrazione europea guidata dal criterio rigorista di preferenza del contenimento del debito pubblico sulla crescita e del controllo dell’inflazione.
In sintesi, la garanzia indiretta come configurazione espansiva delle regole del mercato, della politica di bilancio e di quella monetaria, combinata con l’assenza o la minimizzazione di garanzie dirette, tende a favorire la creazione della ricchezza, ma non la sua diffusione (e riproduzione) sociale. La garanzia diretta di protezionismo sociale, che implica una configurazione rigida del mercato, soffoca sia la creazione della ricchezza sia la sua diffusione (per insufficienza delle opportunità di lavoro). Potremmo dire che il modello liberalizzato, di cui è esempio quello statunitense, è preferibile perché massimizza la creazione della ricchezza? Certamente, perché prima di distribuirla la ricchezza deve essere creata. Ma va osservato che ambedue i modelli di garanzia prevalente mostrano il medesimo difetto sul piano del risultato pur per motivi diversi: la classe media si sta restringendo, i poveri, siano essi sotto-occupati o disoccupati, aumentano o restano tali interrompendo la diffusione sociale della ricchezza. In Europa ci sono più disoccupati, in America molti sono i sotto-occupati. In sintesi, sia in Europa sia in America almeno il 15% per cento della popolazione resta a fatica nella parte bassa della classe media, un altro 15% si trova in condizioni di “povertà statistica”. La metà della restante classe media, però, sta scivolando verso il basso. Ambedue sono modelli ancora capaci di tenere i 2/3 della popolazione in condizioni di certa capacità economica, ma è osservabile un crescente impoverimento sia in America sia nell’Eurozona. Chi scrive aveva già individuato la tendenza quando era meno percepibile agli inizi degli anni ’90 e l’aveva valutata strutturale e non contingente o ciclica come per lo più ritenuto dai colleghi ricercatori. Ora, all’inizio del terzo decennio del terzo millennio la tendenza sta accelerando verso una spaccatura a metà della società tra ricchi e poveri, con l’enorme problema che i secondi hanno (in base a dati demoscopici) sempre meno speranza di tornare o diventare “ricchi”.
Il modo migliore e più sintetico per capire se un modello politico-economico funzioni sul piano della capitalizzazione di massa o meno, è quello di vedere se favorisce l’espansione della classe media, con crescita del reddito di questa, oppure la riduce. E se la mobilità sociale ascendente (il figlio fa un lavoro migliore del padre) è elevata o meno. In ambedue, pur quello americano con prestazioni migliori di quello europeo sul piano di crescita del pil e della produttività, la classe media si sta riducendo, come già detto. La mobilità ascendente negli Stati Uniti è superiore a quella europea, ma in rallentamento: in ambedue i sistemi con tendenza stagnante (media) indipendentemente dai cicli di espansione e recessione dell’economia tecnica questi dati mostrano, appunto, un problema di modello.
Dove sta il difetto? In Europa è doppio: non ci sono sufficienti opportunità di mercato, cioè garanzie indirette, e l’individuo riceve garanzie dirette in forma di protezioni, ma non di qualificazioni per dargli un valore di mercato. In America le opportunità ci sono, ma molti individui non riescono a coglierle perché – oltre alla maggiore pressione della concorrenza globale in un mercato molto aperto – non hanno le capacità cognitive e altri tipi di qualificazione, o di facilitazioni, per farlo.
I dati tendenziali qui sintetizzati sono stati ponderati con gli andamenti demografici e con il crescente impatto del livello di istruzione sulla selettività sociale. L’esito è stato peggiorativo: le grandi democrazie americana ed europee non riescono a reagire all’invecchiamento medio crescente, pur in America minore, e non forniscono capacità cognitive a un numero sufficiente di individui pur l’economia sempre più trainata dalla conoscenza.
Ambedue i modelli di prevalenza della garanzia diretta o indiretta nelle grandi democrazie mature non riescono a riprodurre in direzione espansiva e rigenerativa il capitalismo di massa. Ma perché si è arrivati a un disegno delle garanzie o insufficienti o depressive?

2. L’effetto illusorio della bolla postbellica

Dalla fine degli anni ’40 a circa metà dei ’60 le nazioni dell’area del capitalismo democratico ebbero un boom economico. Entro il perimetro della Pax Americana il volume del commercio internazionale, depresso fin dall’inizio degli anni ’30, ebbe una crescita a picco. La guerra aveva generato una forte pressione per innovazioni tecnologiche e sul piano dei processi industriali. In breve, la guerra e il clima di ottimismo postbellico, non compromesso dalla Guerra fredda, crearono una situazione di crescita industriale e dei consumi come mai vista nella storia. Fu una “bolla di crescita complessiva” (demografica, industriale, finanziaria, urbanistica). Nel vedere così tanta crescita economica nelle nazioni occidentali e in quelle asiatiche occidentalizzate, la politica pensò che usare parte della ricchezza crescente per finanziare via tasse (e debito) garanzie redistributive non avrebbe pesato granché sul processo di crescita stessa. Inoltre, la rapida “economicizzazione della società” implicava una maggiore “socializzazione dell’economia” sia sul piano tecnico – capitalizzazione della domanda – sia su quello del consenso, cioè la domanda di maggiori salari e protezioni, ovvero di diritti economici. La pressione per ridistribuire più risorse incrociò la sensazione che i soldi ci fossero e ci sarebbero stati per sempre, cioè che il processo di creazione della ricchezza sarebbe rimasto costante in alti volumi. Tale convinzione – sbagliata – favorì, dai primi anni ’60 alla fine dei ’70, il disegno di garanzie con una natura di sottrazione della ricchezza in tutti i sistemi di welfare, chi più, gli europei, chi meno, l’America (pur considerando che l’enorme apparato militare costituiva una sorta di sistema assistenziale e di investimento pubblico massivo). Per questo tali modelli cominciarono a sbilanciarsi sul lato della spesa improduttiva e di regole che deprimevano la creazione della ricchezza. Il rigonfiamento degli apparati statali e il concetto di garanzia come costo non valutabile in termini di produttività nel ciclo del capitale ebbe origine dal mito che la crescita economica sarebbe rimasta costante e indipendente dal modello politico.
Questo tipo di analisi non è molto frequente nelle ricerche sulla materia perché è piuttosto imbarazzante, in particolare per le sinistre riformiste occidentali, scoprire che la fattibilità delle loro idee redistributive con strumenti di “garanzia passiva” era basata su un mito e non sulla realtà. E non avendo altre idee capaci di sostituire le garanzie passive è ovvio che la segnalazione del loro fondamento illusorio metta in insuperabile d...

Table of contents

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Indicazione di collana
  5. Frontespizio
  6. Colophon
  7. Introduzione Avviare la 3a e 4a fase della rivoluzione democratica per consolidare la 1a e la 2a
  8. 1.La riconfigurazione dei modelli nazionali nelle democrazie per il ripristino del capitalismo di massa
  9. 2. La nuova architettura internazionale basata sulla convergenza delle democrazie
  10. 3. Riparazione e riconfigurazione estroversa dell’Ue
  11. 4. Conclusioni: la riparazione attiva
  12. Appendice A Il giusto calcolo per valutare l’utilità della democrazia e della democratizzazione