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Vampiri. Gli angoli di un sogghigno macchiato di sangue. Artigli adunchi avvolti in nuvole di pizzo. Svolazzi di mantelli neri nella brumosa notte vittoriana. Un paletto nel cuore, fasciato di seta. Vampiri. Crediamo di sapere tutto di loro: abbiamo letto Dracula e Intervista col vampiro; siamo stati vittime del loro incanto nel buio di una sala cinematografica; ne distinguiamo le fattezze emaciate, da Max Schreck a Bela Lugosi. Conosciamo i miti, le credenze, il potere del sangue che infonde forza sovrumana nelle loro vene. Non c'è, del resto, creatura che abbia esercitato una presa più magnetica – così simile al mesmerismo dei loro occhi ferali, delle loro voci stregate – sull'immaginario occidentale. Che cos'altro rimane da dire del vampiro?Moltissimo, sostiene Nick Groom, o forse ancora tutto, perché quanto pensiamo di sapere non è che la punta emersa di un vasto continente sotterraneo, misterioso e inesplorato, del quale solo la più rigorosa delle analisi storiografiche può restituire una mappa attendibile; perché la fortuna del Dracula di Bram Stoker e delle sue infinite metamorfosi cinematografiche ci ha fatto dimenticare che la storia del vampiro ha origini antiche, radici che affondano nelle superstizioni dell'Europa orientale, cui l'Illuminismo ha dato sostanza, prima che il Romanticismo le trasformasse in sogni e incubi. In romanzi.Occorre dunque una nuova storia del vampiro, per restituirgli la pienezza di significati – scientifici, culturali, religiosi, simbolici – che gli è propria, per impedire alla mitografia hollywoodiana di appiattirne la figura, in favore di una sensualità che, a ogni nuovo adattamento, smarrisce qualcosa del sentimento perturbante da cui è scaturita. Vampiri è una nuova storia, spaventosa ed eccitante, salutata da più parti come la più autorevole mai scritta, dalla cui lettura si esce con una consapevolezza profonda delle inestricabili sizigie fra leggenda e medicina, letteratura e religione che hanno portato alla nascita di un archetipo immortale.

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parte seconda
Coagulazione
Dal xix secolo ai giorni nostri
5. Culture di morte
Romanticismo gotico, parole mortali
Se tagliamo la punta del cuore di un cane vivo e se mettiamo il dito, attraverso l’incisione, in una delle sue concavità, sentiremo con certezza che, tutte le volte che il cuore s’accorcerà, esso comprimerà il dito, e che smetterà di comprimerlo tutte le volte che si allungherà.
Cartesio (1647-1648)1
Io fui con la molcente Morte in quasi amore.
John Keats (1819)2
Queste rianimazioni sono gelide come un vampiro.
Thomas Lovell Beddoes (1825)3
Per quasi un secolo, il vampiro è stato una realtà medica, sociologica e politica – o una realtà contesa – legata all’Europa orientale, così come un enigma teologico. Poi arrivò in Gran Bretagna e si trasformò. I vampiri balenarono per un attimo, come fulmini, durante il Romanticismo, spinti dall’immaginazione ossessivamente necrofila di quel periodo, come nei ripetuti corteggiamenti mortiferi di John Keats e nelle scandalose asserzioni di Thomas De Quincey, che sosteneva che l’assassinio fosse una «bella arte». I vampiri furono animati da un sublime terrore e da una degradante paura tanto da diventare, nel complesso, degli esseri sovrannaturali, persino figure d’ispirazione e, di conseguenza, occuparono un loro posto nelle teorie dell’immaginazione romantica – dall’influenza della psicologia e dalla comprensione della mostruosità ai dilemmi sull’identità personale e sulle emozioni.4 Allo stesso tempo, i vampiri hanno cominciato ad accumulare un vasto e completo repertorio di macabri linguaggi figurativi, attinti dalle cripte del passato inglese e, così facendo, si sono allo stesso tempo goticizzati. Il culto del vampiro prosperò all’interno dell’emergente corrente del Gotico, in quanto la figura del vampiro ricordava continuamente e letteralmente che il passato non poteva essere lasciato in pace ma avrebbe per sempre perseguitato il presente.
Eppure, i racconti di vampiri rimasero anche legati agli interessi delle scienze mediche e naturali, così come alle questioni materiali e mondane. Per questo motivo sono diventati anche parte di un crescente gusto materialistico, impugnato dalla letteratura criminale e dalla malvagità contemporanea e stregato dai misteri da poco svelati del mondo naturale. Da questo momento gli scrittori incominciarono a ritrarre i vampiri in modo sempre più realistico, più umano – come parte della società capitalistica del xix secolo; allo stesso tempo il mondo naturale diventava più magico, più inquietante. E sebbene la minaccia dei vampiri in un certo senso venisse in parte sdrammatizzata dagli scrittori che li trattavano come esseri irreali, persisteva una considerevole cautela nel rimuoverli troppo frettolosamente, e vi erano continui riferimenti a precedenti testimonianze scritte. Persino in quanto avatar gotici, i vampiri non erano considerati semplicemente come ombre inquiete e utilizzati come promemoria di crimini del passato. Erano essi stessi un insieme di elementi storici: sepolti sottoterra o murati nelle tombe, sono stati disseppelliti per raccontare storie dentro la Storia – storie complesse, inquietanti e pericolose; storie all’apparenza vere e che rendevano irreale la realtà stessa.
Consanguineità
La figura del vampiro emerse per la prima volta nella poesia tedesca. «Der Vampir» di Heinrich August Ossenfelder fu pubblicata sul giornale scientifico Der Naturforscher (Il Naturalista, 1748). Traeva spunto direttamente dal caso di Arnod Paole, tramite il resoconto del marchese d’Argens e il rapporto di Johann Flückinger, che era stato appena ristampato sullo stesso giornale dall’editore, Christlob Mylius.5 Il breve componimento di ventidue versi ritraeva il vampiro come un predatore maschio che minacciava di succhiare il sangue di una giovane donna addormentata, dal nome simbolico di Christiana. Anche se la poesia ebbe poco impatto immediato, colpisce che sia apparsa su un giornale scientifico di Lipsia (centro del dibattito sui vampiri nella Germania del xviii secolo) e che identificasse i vampiri come ungheresi (menzionando nello specifico il fiume Tisza e la regione vinicola del Tokaj – dettagli tratti dal resoconto di d’Argens). Tuttavia, Ossenfelder evitò esplicitamente ogni dibattito scientifico o medico, così come i dilemmi filosofici. La poesia era secolare, di un erotismo sinistro e oscuro – una fantasia fatta di amore e di morte, di Liebestod.6
Questo tema della violenza sessuale e le dinamiche impressionanti che evocava, provocò un decisivo slittamento nelle raffigurazioni dei vampiri e rappresentò il cruciale lascito letterario della sua figura. Sebbene si continuasse a descriverlo come folklore esteuropeo, per alcuni anni il fascino della sensualità e della crudeltà, inzuppate nel sangue, diventò il motivo culturale chiave del vampirismo, nonché un elemento base nei diari di viaggio, spesso in difficile rapporto con le spiegazioni empiriche. E sebbene il vampiro di Ossenfelder fosse stato rimpiazzato da successive incarnazioni, queste erano della stessa specie e condividevano lo stesso fatale e seducente lignaggio. «Lenore», di Gottfried August Bürger, era la più conosciuta della sua specie.7 Sebbene Bürger proseguisse con la stessa vena sessuale di Ossenfelder, i suoi versi erano ispirati anche dalla raccolta Reliques of Ancient English Poetry (1765) di Thomas Percy – un’antologia di canzoni e ballate tradizionali e nazionali che includevano numerosi pezzi su sovrannaturali revenant, come «Sweet William’s Ghost». A dir il vero, si dice che «Lenore» stessa fosse derivata da una tradizionale ballata tedesca. In ogni caso, la Kunstballade (ballata artistica) di Bürger segnò certamente lo spirito dell’emergente movimento dello Sturm und Drang: composizioni basate su situazioni estreme, sfrenate passioni ed eccessi immaginativi che rievocavano e riportavano il sovrannaturale nella cultura letteraria in voga, tanto da condurla direttamente verso il Romanticismo gotico.
«Lenore», pubblicata per la prima volta nel 1774 sull’annuario letterario Göttinger Musenalmanach, fu un succès de scandale in tutta l’Europa, ricevendo encomi da parte della critica come quello di Wilhelm August von Schlegel (forse al punto che il Göttinger Musenalmanach fu messo al bando a Vienna). Il demone-amante di questa ballata di trentadue strofe è Wilhelm, un soldato che non riusciva a far ritorno a casa dopo la battaglia di Praga del 1757, impegnato nella guerra dei Sette anni. Era stato trattenuto o era stato ucciso nel conflitto? Sembrano plausibili tutti e due gli scenari; e quando alla fine riuscì a fare ritorno, si comportò come un messaggero di morte. Il morto vivente catturò e violentò la sua promessa sposa Lenore, e la portò con sé, ancora viva, nella tomba, scortato da un terrificante stuolo di spiriti e accompagnato da un macabro ritornello che sarebbe riecheggiato nei racconti di vampiri: «die Todten reiten schnell»8 (i morti cavalcano veloci). Wilhelm si rivelò essere la morte in persona che portava con sé gli antichi simboli della mortalità: una clessidra e una falce. Una volta rivelata la sua identità, la sua pelle imputridì davanti agli ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Sommario
  3. Premessa
  4. Nota etimologica
  5. Introduzione
  6. Parte prima
  7. Parte seconda
  8. Conclusione
  9. Inconografia
  10. Ringraziamenti
  11. Bibliografia
  12. Crediti