Clima Fukushima
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Terremoti, tsunami, esplosioni nucleari! Cosa sta succedendo? Dietro la recente catastrofe giapponese, si cela l'ancor più insidioso problema dell'energia mondiale. La crescita demografica e l'emergere di nuove economie rampanti reclamano sempre più watt di potenza installata. Ma bisogna fare i conti con le trasformazioni che ricadono sul pianeta, prima di tutto il cambiamento climatico. Cosa sta cambiando per effetto del riscaldamento globale? Che temperatura farà sulla Terra tra cinquant'anni? Quali sono stati i risultati, quali i fallimenti del protocollo di Kyoto? Dal disastro di Fukushima agli inediti scenari ambientali, dagli studi degli scienziati ai movimenti di giustizia climatica di Copenaghen e Cancún, Clima Fukushima fa i conti su quanto il cambiamento climatico costi alla salute del pianeta e al portafoglio e raccoglie le proposte degli esperti per un futuro sostenibile. Ilenia Picardi, trentenne napoletana, è fisica e giornalista scientifica. Ha scritto con Pietro Greco, Hiroshima. La fisica riconosce il peccato (2005).

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1. Da Kyoto a Fukushima
È blackout a Fukushima: una scossa di magnitudo 9, scala Richter, con epicentro a centotrenta chilometri a est della costa dell’isola di Honshū, ha spento le luci nel Nord del Giappone. È un pomeriggio di quasi primavera. Il movimento della terra ha azionato il sistema di controllo automatico che spegne le reazioni di fissione a catena in undici dei cinquantaquattro reattori della flotta nucleare giapponese. Tre reattori si spengono nella centrale di Onagawa, sette a Fukushima, uno a Tokai. Nel complesso di Fukushima ci sono due centrali: Fukushima Dai-ichi e Fukushima Dai-ni. Le barre di controllo hanno fatto il loro dovere. Nessuna unità sembra danneggiata.
Il parco nucleare giapponese è il terzo nel mondo, dopo Stati Uniti e Francia. Produce 48,8 gigawatt di potenza, il 28% del fabbisogno energetico della nazione; non ancora abbastanza per il governo che punta al 50% entro il 2030 con l’installazione di dodici nuovi reattori, per altri 16,6 gigawatt.
Alle 14.46 ora locale dell’11 marzo 2011, quando l’onda sismica inizia a propagarsi tra i fondali del Pacifico, a Fukushima Dai-ichi le unità 4, 5, 6 sono ferme per alcune ispezioni periodiche, come da programma. I reattori 1, 2 e 3 pompano energia regolarmente. Sono tutti reattori Bwr (Boiled Water Reactor), reattori ad acqua bollente, di seconda generazione.
Il core, o nocciolo, del reattore custodisce, immerso nell’acqua, il combustibile nucleare: pastiglie di uranio e plutonio accatastate una sull’altra per formare pile di circa 4 metri, avvolte da guaine di zircaloy, una lega metallica di zirconio e stagno. È nel nocciolo che avviene la fissione nucleare, la reazione che rompe i nuclei atomici per restituire frammenti più leggeri ed energia. Come in ogni reattore Bwr, l’acqua nel nocciolo viene pompata dal basso verso l’alto dove si trasforma in vapore. Qui bolle un liquido bifase, fatto cioè per metà d’acqua e per metà di vapore. È questo vapore ad azionare le turbine e a produrre energia elettrica.
A separare il materiale radioattivo del core dall’ambiente esterno, ci sono due barriere. La prima, il contenimento primario, è una sorta di pera di cemento armato e anima d’acciaio che avvolge il nocciolo; è spessa 3-4 centimetri e, perfettamente integra, impedisce la fuoriuscita di qualunque sostanza. La barriera successiva, il contenimento secondario, non è a tenuta; è un edificio che contiene il nocciolo e altri elementi, tra cui le piscine per il raffreddamento del combustibile e un sistema di controllo della pressione.
Avviato lo Scram,1 come viene chiamato in gergo tecnico lo spegnimento improvviso di un reattore, a Fukushima Dai-ichi le temperature tardano a scendere. Nei reattori non c’è un interruttore per switchare su off l’energia, è normale che sia così. Una volta spenta la catena di reazioni, il combustibile continua a produrre del calore di decadimento, un po’ perché qualche neutrone nel nocciolo continua a reagire, un po’ perché i prodotti della fissione si diseccitano, emettendo particelle ed energia. Spenti i reattori quindi, una quantità pari al 6-7% di energia del reattore in piena continua a essere rilasciata in ogni unità. È calore che bisogna portare via, altrimenti la temperatura nel nocciolo sale.
È quello che accade nelle tre unità di Fukushima Dai-ichi: la temperatura sale.
Il sistema di emergenza accende i generatori diesel per fornire energia in assenza di corrente elettrica. Parte il sistema di raffreddamento: un loop di acqua e vapore che circola tra pompe e turbine. Per evitare la fuoriuscita di materiale radioattivo, viene chiuso ogni condotto che porta acqua all’interno e vapore all’esterno del nocciolo. Restano aperte sole le pompe per far defluire la pressione in eccesso. Alle 14.46, le prime due vittime di Fukushima: due operai addetti alla manutenzione delle turbine del reattore numero 4 sono travolti dall’incidente; muoiono «mentre cercavano di proteggere la centrale» come dirà Tsunehisa Katsumata, il presidente della Tokyo Electric Power Company (Tepco), la società che gestisce l’impianto nucleare.
Non è ancora passata un’ora dal sisma. Alle 15.41, lo tsunami. Un’onda di 7,2 metri colpisce l’impianto. Qualcuno dirà di 14 metri, ma non fa alcuna differenza. L’edificio di Fukushima Dai-ichi è stato progettato per sopportare onde fino a 6,5 metri. Non regge l’urto. L’acqua allaga i serbatoi di alimentazione dei generatori diesel. Cinquantacinque minuti dopo, alle 16.36, le batterie che raffreddano l’unità 1 sono fuori uso.
La Tepco comunica lo stato di emergenza all’Agenzia di sicurezza nucleare e al governo giapponese. Il 13 marzo il governo stabilisce l’evacuazione per tre chilometri intorno alla centrale e il riparo al chiuso per dieci chilometri. Ma in poco tempo il raggio di evacuazione viene allargato a dieci chilometri, poi a venti; il riparo al chiuso esteso a trenta.
Nell’unità 3 le batterie reggono fino alle 2.44 del 13 marzo, quelle del reattore 2 cedono alle 13.45 del giorno 14. Con i generatori diesel, viene meno il sistema di raffreddamento. La pressione sale, insieme alla temperatura. Il liquido nel core evapora finché il combustibile nucleare si trova scoperto, fuori dall’acqua. Quando tre quarti del combustibile sono ormai emersi, lo zirconio avvolto dal vapore d’acqua bollente inizia a bruciare. La reazione è potenzialmente pericolosa perché produce ossido di zirconio e idrogeno, e l’idrogeno a contatto con l’ossigeno diventa esplosivo. Inoltre sviluppa calore: è esotermica, quindi alza ancora di più la temperatura, che presto arriva a 1800 °C. Fondono alcune parti dell’anima di acciaio del primo contenimento. Nei reattori 1 e 2 la temperatura sale a 2500 °C. Nel core dell’unità 1 la temperatura raggiunge i 2700 °C, valore a cui ha inizio la fusione della miscela di uranio e zirconio. La fusione del nocciolo ha come prodotti xeno, cesio e iodio: particelle altamente radioattive. Per evitare che, come successo a Černobyl’, la pressione nel core arrivi a valori troppo alti e il nocciolo esploda emettendo in un gran botto sostanze radioattive nell’atmosfera, la Tepco autorizza il rilascio controllato del vapore fuori dal contenimento primario, nell’edificio del reattore, quello non a tenuta. La prima barriera che separa il materiale radioattivo dall’ambiente esterno viene oltrepassata. Le autorità dichiareranno che uranio e plutonio non fuoriescono dal core, mentre gli altri elementi, tra cui idrogeno e l’acqua radioattiva proveniente dal nocciolo, circolano con il vapore nel loop di raffreddamento.
La circolazione dell’acqua di raffreddamento viene ripristinata, l’incidente sembrerebbe bloccato nelle tre unità; prima nell’unità 1, il 12 marzo alle 20.20, nell’unità 3 il 13 marzo alle 9.38, nell’unità 2 il 14 marzo alle 20.33. Ma l’illusione dura poco.
Il contenimento primario è progettato per reggere 4-5 bar di pressione. Quando il pericolo sembra essere scongiurato, nel reattore 1 la pressione arriva a 8 bar, ben oltre il valore di design. Ancora una volta, per evitare un’esplosione che potrebbe diventare drammatica, la miscela gassosa viene convogliata nella parte superiore dell’edificio del reattore, nel sottotetto. Qui l’idrogeno contenuto nel gas trova dell’ossigeno, ed ecco l’esplosione che distrugge il tetto del reattore. I prodotti di fissione finiscono nell’atmosfera. La stessa cosa si verifica nell’unità 3.
Nel frattempo gli operatori della Tepco riescono a portare nell’edificio dei generatori diesel mobili che pompano acqua nel circuito primario e raffreddano il nocciolo. Ma non basta; si decide di prendere l’acqua del mare e di iniettarla all’interno del core utilizzando un sistema antincendio ausiliario.
Nell’unità 2 invece, non si sa bene il perché, l’idrogeno esplode ancor prima di confluire nel sottotetto, nel sistema di controllo della pressione. Una grande quantità di acqua altamente contaminata viene rilasciata all’interno dell’edificio secondario e, anche se in misura minore, all’esterno.
La vera sorpresa arriva però alle 6 del mattino del 15 marzo dall’unità 4, uno dei reattori a riposo al momento dell’incidente, quindi, si sperava, fuori pericolo d’esplosione. Prima del sisma, il nocciolo di questo reattore era stato trasferito nella piscina di raffreddamento interna al contenimento secondario, dove il combustibile utilizzato aspettava di essere sostituito da nuove pile. Forse a causa dell’assenza di elettricità, il raffreddamento del materiale stoccato contenuto nella piscina non segue la sua strada. L’acqua della piscina evapora e il nocciolo fonde. Stavolta non all’interno del contenitore primario, ma nel secondario, tra la prima e la seconda barriera del reattore, che non è a tenuta: come ammetterà la Areva, la società francese costruttrice di impianti nucleari, la fusione avviene all’«aria fresca». Stesso problema si verifica alle 8.34 locali del 16 marzo nella piscina di stoccaggio del reattore 3 di Fukushima Dai-ichi.
La dinamica di questi incidenti stenterà a essere chiarita: l’unica certezza è l’abbondante rilascio di materiale radioattivo direttamente nell’atmosfera. Ma anche su questo «abbondante» le fonti ufficiali tardano, e probabilmente tarderanno per anni, nel dare una stima veritiera.
Nelle esplosioni trecento lavoratori hanno assorbito dosi di radiazioni superiori a 100 millisievert. Nessuno raggiunge il limite di 250 millisievert fissato dalle autorità giapponesi per gli interventi di emergenza, ma l’International Commission on Radiological Protection (Icrp), l’organismo di studi internazionale che fornisce i valori di radioprotezione a governi e istituzioni politiche, definisce raccomandazioni differenti.
Il limite di sicurezza per la salute è legato, infatti, non solo alle quantità di radiazioni assorbite dal corpo, ma anche al tempo di esposizione alle radiazioni. L’Icrp indica questo limite come un millisievert l’anno, valore esteso a 20 millisievert l’anno per lavoratori seguiti con particolari misure mediche di sicurezza. Oltre questi valori non si parla più di probabilità di riportare danni, ma di certezza. In altre parole, i lavoratori di Fukushima hanno assorbito in pochi giorni più di cinque volte le dosi massime raccomandate dall’Icrp in un anno. Tre di loro, nel tentativo di riparare i cavi nell’edificio turbina, hanno assorbito agli arti inferiori una dose stimata tra i 2 e 3 sievert.
In un primo momento l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea) ha parlato di un incidente con conseguenze ampie: livello 5 secondo la Ines (International Nuclear Event Scale), la scala per indicare la gravità degli incidenti nucleari. Ma uno studio di Greenpeace pubblicato alla fine di marzo rivelerà che la quantità di elementi radioattivi iodio-131 e cesio-137 rilasciati nei giorni immediatamente successivi al sisma era già tale da poter parlare del livello massimo di gravità, il 7. Proprio un mese dopo il sisma, l’11 aprile, la Iaea e la Tepco hanno dovuto confermare questi dati. Il disastro è pari a quello che nel 1986 colpì Černobyl’, il più grave finora della lunga lista di incidenti del nucleare civile.
L’onda d’urto nucleare
Questo è quanto ci è dato sapere a un mese dall’incidente di Fukushima. La cronaca appena riportata è stata, infatti, ricostruita sulla base delle fonti istituzionali aggiornate al 12 aprile 2011.2 Intanto 170mila persone sono state sfollate nella zona a venti chilometri intorno alla centrale.
Le misure effettuate un mese dopo l’incidente a ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. 1. Da Kyoto a Fukushima
  3. 2. Pozzanghere e ghiacciai
  4. 3. Messaggi dall’atmosfera
  5. 4. La tratta del carbonio
  6. 5. Il futuro gaio
  7. Note
  8. Bibliografia