L'altrove in camera oscura
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Fotografi e fotografie in Sardegna negli anni Cinquanta e Sessanta

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Fotografi e fotografie in Sardegna negli anni Cinquanta e Sessanta

About this book

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta la Sardegna si trova al centro di processi e vicende di cronaca – la lotta alla malaria, il Piano di Rinascita, il banditismo, le servitù militari, per citare i fatti più noti – che la pongono di fronte a questioni di definizione della propria identità, oggetto di analisi e dibattito in pubblicazioni destinate a un vasto numero di lettori. Il tema è qui considerato dal punto di vista storico-culturale della rappresentazione fotografica in alcune monografie e riviste: un dialogo fra testi e immagini attorno agli stereotipi e alle peculiarità, alle rappresentazioni statiche o mutevoli di un'isola al crocevia di un'epoca di trasformazione.

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Information

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Alcuni autori e i loro viaggi

Indagare la storia della Sardegna attraverso le fotografie scattate negli anni del Piano di Rinascita vuol dire innanzitutto interrogarsi sul senso dello sguardo fotografico nella costruzione dell’identità e sulla realtà da cui la rappresentazione è creata e che, contemporaneamente, genera. Come affermato da Susan Sontag, infatti «le realtà che si possono trasmettere in un momento dissociato, per quanto significanti e decisive, hanno un rapporto assai limitato con la comprensione»[1].Lo scopo dello storico culturale, in tal senso, è osservare tutto ciò che questo rapporto implica e, in questo caso specifico, analizzare queste rappresentazioni dissociate ai fini di comprendere quali schemi fornissero e quali interpretazioni generassero di un mondo in via di mutamento come quello sardo degli anni Cinquanta e Sessanta.
I protagonisti di questa narrazione posano il loro sguardo su un orizzonte che non gli appartiene: sono italiani (Patellani, Bavagnoli, De Biasi etc.), europei (Machlin, Suchintsky etc.) e se sono sardi, o sardi diventeranno per adozione, non lo sono per formazione (Pinna, Volta). La meditazione fotografica sull’isola giungeva quindi all’opinione pubblica attraverso l’occhio di osservatori esterni, con tutto ciò che questo comporta, nel bene e nel male, in termini di formazione di una rappresentazione collettiva, in un momento fondamentale per la storia della Sardegna, gli anni del lungo secondo dopoguerra sardo.

Federico Patellani

Nel 1943 Federico Patellani pubblicava il saggio-manifesto della propria carriera, Il giornalista nuova formula[2], incluso in una raccolta intitolata Fotografia, edita dal gruppo editoriale Domus.
Patellani, nonostante la giovane età, possedeva già allora un passato remoto da avvocato, un passato prossimo da pittore amatoriale e un presente da collaboratore (fotografie e articoli) per la rivista «Tempo». La sua visione della fotografia non era certamente quella di un giornalista convenzionale, né quella puramente artistica di un pittore mancato. Come intuibile dal titolo del suo breve saggio, egli cercava di cogliere le potenzialità del nuovo mezzo riflettendo sull’apporto che la fotografia poteva dare alla cronaca: «I giornalisti – si sa – non hanno mai goduto la fama di persone dedite alla più pura verità, anzi, perciò i lettori pensano che ad essere più aderente al vero è ciò che è documentato fotograficamente. E i lettori hanno ragione»[3].
Il fotoreporter riteneva insomma che la fotografia porti con sé una dose di verità intrinseca, ignota al giornalismo classico, quindi funzionale a un metodo di indagine che abbia come scopo primario la documentazione e solo secondariamente la narrazione. Ciò non vuol dire che Patellani negasse un valore estetico alla propria professione di fotoreporter (più volte ebbe modo raccontare confronti con il proprio editore, Alberto Mondadori, che gli suggeriva la «foto utile» più che la «foto bella»)[4] ma è sicuramente indicativo del fatto che anche un reporter smaliziato e curioso di approfondire le basi teoriche del mestiere non avesse ancora affinato il concetto (per strumenti, cultura etc.) dell’impossibilità di una rappresentazione obiettiva della realtà, brillantemente elaborato successivamente dalla già nominata Sontag e da Roland Barthes[5], per citare solo i più noti. Patellani infatti, come si è visto, parlava di visione «truccata» assumendo come punto fermo che ove non ci fosse trucco, non ci fosse neppure difetto nella rappresentazione obiettiva.
Un punto di vista differente (e certamente meno argomentato nelle sue basi teoriche) rispetto a quello espresso pochi anni prima da Walter Benjamin nel saggio L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica, nel quale il filosofo tedesco affermava che «l’intero ambito dell’autenticità sfugge alla riproducibilità tecnica e, naturalmente, non soltanto a quella tecnica»[6].
Per comprendere quale fosse l’efficacia pratica della visione teorica di Patellani, si è considerato un campione consistente dell’opera del fotografo in Sardegna, ovvero i principali reportage da lui pubblicati negli anni Cinquanta e Sessanta per il settimanale «Tempo».

La grande inchiesta del 1950

Nel 1950, portando dunque con sé l’idea che la fotografia dovesse essere bella, ma al contempo dovesse rappresentare la realtà ed essere arricchita da opportuni testi di accompagnamento, Patellani fece da apripista ai viaggi fotogiornalistici nella Sardegna del secondo dopoguerra. Il frutto della sua permanenza nell’isola fu la pubblicazione, da parte del settimanale «Tempo», di quattro servizi fotogiornalistici, o meglio, secondo un neologismo coniato in redazione, di quattro fototesti.
Come dice la parola stessa, questi ultimi erano testi informativi in cui il rapporto fra parola scritta e immagine era ripensato in maniera che i due linguaggi concorressero in egual misura a creare il racconto giornalistico e la fotografia non fosse supporto opzionale alle parole ma fonte con pari dignità[7]. L’inchiesta sarda fu suddivisa in quattro puntate:
Inchiesta in Sardegna/1 Il dramma di Carbonia[8]
Inchiesta in Sardegna/2 Liandru bandito dal bel nome[9]
Inchiesta in Sardegna/3 Così si vive e si muore in Sardegna[10]
Inchiesta in Sardegna/4 I pastori ancora re dei nuraghi[11]
I servizi, autonomi ma collegabili fra loro nell’ambientazione e nel taglio, erano corredati da fotografie acquisite dall’autore; immagini mai banali, accompagnate dai testi di Patellani, narratore dal linguaggio asciutto ma anche professionista di fotoreportage che possono essere meglio compresi seguendo le vicende della rivista.
Era risaputo che l’editore Alberto Mondadori, pur pubblicando un periodico dall’alto taglio le...

Table of contents

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Prefazione L’immagine di un’isola nella fotografia del lungo dopoguerra: sguardi, protagonisti, attualità di Raffaele Cattedra
  6. Introduzione
  7. Alcuni autori e i loro viaggi
  8. Monografie sulla Sardegna
  9. Una centralità periferica, fra tradizione e modernizzazione
  10. Elenco fotografie
  11. Bibliografia
  12. Risorse internet
  13. Audiovisivi