La psicoanalisi come pratica linguistica di emancipazione individuale e collettiva
da Freud ad Apel via Kant e Marx
Michele Borrelli
UniversitĂ della Calabria
Abstract
Il saggio discute la riflessione freudiana sullâinconscio nel doppio senso di rimozione individuale e rimozione sociale, rapportando il disagio della singola psiche al disagio della collettivitĂ e facendolo dipendere da questâultimo. Le crisi esistenziali si situano sul piano della psicologia individuale, ma questo è sempre anche determinato da quello della psicologia culturale in generale, per cui lâelaborazione critica dellâinconscio deve avvenire su tutti e due i piani. La psicoanalisi si dimostra come modello capace di corrispondere a entrambi i piani di elaborazione, cioè come pratica linguistica di emancipazione individuale e collettiva, ovverosia come processo individuale e di auto-ermeneutica e processo di ermeneutica sociale (Karl-Otto Apel) in generale.
Parole chiave: psicologia individuale, psicologia culturale, emancipazione individuale, emancipazione collettiva, ermeneutica sociale.
The psychoanalysis as linguistic practice of individual and collective emancipation from Freud to Apel
The essay discusses the freudian reflection on the unconscious in the double sense of individual removal and social removal, comparing the discontent of the individual psyche to the discontent of the collectivity and making it depend on this last.
The existential crises placed on the plan of the individual psychology, but this last is always determined even by that cultural psychology in general, for which the critical elaboration of the unconscious must happen on both the plans.
The psychoanalysis shows it is a model able to correspond to both the planes of elaboration, i.e. as linguistic practice of individual and collective emancipation, i.e. as individual process and self-hermeneutic and process of social hermeneutics (Karl-Otto Apel) in general.
Keywords: individual psychology, cultural psychology, individual emancipation, emancipation collective, social hermeneutics.
In quale prospettiva è possibile, oggi ancora, una riflessione sullâinconscio che tenga fermi i presupposti freudiani della rimozione e gli eventuali passaggi verso il conscio, allâinterno della coscienza del singolo, ma che non rinunci allâambito ampio, e forse piĂš essenziale, di ciò che si potrebbe definire rimozione sociale o, nei termini di Marx, falsa coscienza (falsches Bewuβtsein)? (Marx/Engels, 1969 [1845-46]). Il disagio necessita di unâindagine sia sul piano strettamente psichico (del singolo) che sul piano culturale (della societĂ ), in quanto è la crisi di questâultima (causa) a generare, il piĂš delle volte, le crisi esistenziali (gli effetti) e non viceversa. Sono in crisi i fondamenti del modello occidentale di civiltĂ : lâidea di onnipotenza della tecnica e il continuo progresso a essa legato. Il fallimento di questa idea, di un progetto generale entro il quale le generazioni potevano e possono ritrovarsi come parte di un tutto, ha dato il via a un individualismo sfrenato che impedisce il passaggio dalla libido narcisistica (dal sĂŠ) alla libido oggettuale (allâaltro) (Benasayag, Schmit 2003, trad. it. 2014, pp. 40-41; cfr. anche Galimberti, 2013, p. 28). Eppure, oggi, pare non meno fondamentale pensare alla dialettica tra ipseitĂ e collettivitĂ o, in senso piĂš generale, tra egoitĂ e cultura, se è vero â e qui si ritiene che sia vero â che siamo di fronte a un contesto che dobbiamo definire non solo di psicologia individuale ma di psicologia culturale (Bruner, 2015, p. 49; vedi soprattutto Bruner 1996, trad. it. 2001).
In questo senso, i disagi e le crisi esistenziali si collocano sul piano di quel processo ampio tra singolo e societĂ e questâultima, nonostante le resistenze dei singoli, spinge sempre piĂš al passaggio dallâIo al Noi. Passaggio in cui il singolo si vede nella necessitĂ di dover difendere unâidentitĂ messa a rischio dai cambiamenti continui che si avverano nel contesto globale della societĂ .
Diversamente dalla rimozione individuale, la rimozione sociale è legata alla societĂ nella sua totalitĂ di strutture di potere e di agire umano e di coscienza collettiva in esse espressi. Se non discordiamo in via di principio sullâipotesi che sia possibile e necessario estendere â riservandoci fino a che punto â i presupposti freudiani allâambito della rimozione sociale, a quel disagio che Freud definiva disagio della civiltĂ (1929-30, trad. it. 1978, pp. 555-630), ovverosia se si ritiene possibile presupporre un a priori sociale in cui la stessa societĂ â con tutti i suoi membri â sia soggetto e oggetto (vittima) al contempo, come fa rilevare Adorno (1966, trad. it. 1970; 1964, trad. it. 1989; 1962, trad. it. 1975), di una rimozione auto-procurata, è evidente allora che ci si trova di fronte a una doppia problematica per quel che riguarda la domanda di fondo freudiana su come giungere alla conoscenza dellâinconscio.
Da un lato dovrebbe trattarsi dellâelaborazione dellâinconscio in riferimento al singolo soggetto, dallâaltro dellâelaborazione dellâinconscio internamente alla totalitĂ del sociale di cui il soggetto è membro. Il âpazienteâ, in questo caso, non è solo lâuno o lâaltro singolo individuo, ma la societĂ nella sua totalitĂ . Anche la società è âmalataâ o può ammalarsi e, in una societĂ malata, anche i suoi membri sono malati. Le nevrosi abitano sia la psiche del singolo che la psiche della collettivitĂ . In caso contrario, come si pensa di poter spiegare che nel cuore dellâEuropa è stato possibile lo sterminio di massa che va sotto il nome di olocausto? Lâolocausto non è stato un âfenomenoâ, âmarginaleâ, allâinterno delle tante strutture di potere di una Germania nazista; lâolocausto, piuttosto, è stato un fine e un mezzo in cui, in ultima analisi, hanno finito per confluire tanto le strutture del potere politico quanto le strutture del potere economico e la stessa cultura in generale di una parte dellâOccidente. Quanti principi dellâoscurantismo sono stati necessari, ripresi dal buio piĂš profondo dei pregiudizi della storia, per rimuovere nel cuore dellâEuropa sia i principi dellâumanesimo illuministico che i principi dellâumanesimo delle origini (Borrelli, 2013) e avviare lâindustria della distruzione? Dovâera la ragione illuministica, dove Dio, come ha fatto rilevare H. Jonas? (1968, 1987, trad. it. 1989).
Ă indubbio, allora, che, parlare di rimozione, è ormai un fatto acquisito, per cui la presupposizione freudiana dellâinconscio può ritenersi non solo necessaria e legittima, come egli sottolineava, ma indiscutibilmente fondata. In questo senso, oggi, non si tratta piĂš di dover giustificare il concetto di inconscio ai fini della ricerca âscientificaâ (Freud 1915, trad. it. 2012, pp. 83-87), (sul termine ci sarebbe molto da dire), ma di tentare, al contempo, di estenderlo al rapporto singolo-societĂ o individuo-totalitĂ e ripensarlo in chiave anche socio-politica e socio-economica oltre che antropologica e psicoanalitica, se non addirittura antropologico-psicoanalitica, come qui si vorrebbe proporre. Il rapporto individuo-totalitĂ o singolo-società è un piano di ricerca diverso rispetto allâapproccio di unâanalisi dellâinconscio nei limiti ristretti degli atti psichici della coscienza del singolo. Dâaltra parte, dobbiamo osare unâipotesi ampia del genere proprio per misurare quale possa essere, oggi ancora, il peso dâattualitĂ e, quindi, la rilevanza sociale delle domande di Freud. Si tratta delle domande relative alle âidee che ci vengono in testaâ, sul âda doveâ queste domande provengano e perchĂŠ giungiamo a determinate âconclusioni intellettualiâ (Freud 1915, trad. it. 2012, p. 83). Sappiamo che per Freud è centrale il conflitto tra i dati di realtĂ e la libido, gli impulsi, per mettere in moto i fantasmi del sogno, della nevrosi e anche delle sublimazioni. Sul piano piĂš strettamente sociale, vale il presupposto che i fantasmi sono interpretati come quelle ideologie o visioni che reggono la psiche collettiva, per cui le domande di Freud non sono solo riferibili allâinterioritĂ del singolo individuo, piuttosto si estendono al rapporto Io individuale - Io sociale. Questo rapporto sposta, però, il problema dellâidentitĂ dal piano soggettivo al piano intersoggettivo, in quanto è chiamata in causa la stessa comprensione da cui, in ultima analisi, dipenderĂ il nostro modo di comprenderci e di spiegarci il mondo e le âidee che ci vengono in testaâ (Ibidem). Secondo Freud, la coscienza rende ciascuno di noi consapevole solo del proprio stato mentale (Ibidem, p. 85). Quel solo suona quasi restrittivo e di poca importanza, quando, invece, rappresenta una pretesa forse anche al di fuori delle nostre capacitĂ , se è vero che oggi, nella complessitĂ degli intrecci globali di potere sociale, nemmeno possiamo dare per scontato di essere completamente consapevoli del nostro stato mentale. Le idee che ci vengono in testa, da che cosa sono generate? Sono idee nostre o sono idee suggerite dai mille condizionamenti, anche e soprattutto inconsci, ai quali la nostra coscienza è sottoposta dalle strutture di un potere spesso anche invisibile? Troviamo la spiegazione a queste domande nella rimozione, nellâinconscio o pre-conscio del singolo Io? Il teorico dellâermeneutica filosofica Hans-Georg Gadamer si è posto un interrogativo simile, non partendo da presupposti psicoanalitici, ma da una riflessione filosofica sul problema della comprensione (Gadamer, 1948). Lâinterrogativo riguardava non le idee che ci vengono in testa, ma qualcosa di molto simile: lâorigine della nostra visione del mondo (Weltansch...