Karl-Otto Apel. Vita e Pensiero. Leben und Denken
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Questo volume complessivo, unico, dedicato alla Vita e al Pensiero di Karl-Otto Apel, raccoglie tutti i contributi usciti nei due numeri speciali di “Topologik” (numero 24/2019 e numero 26/2020) dedicati ad Apel (uno dei Maestri più importanti del pensiero filosofico contemporaneo). L’edizione, in volume unico, ha dato la possibilità di arricchire il testo con altre due collaborazioni (quella di Peter Naumann e Amos Nascimento). Il volume mantiene la struttura di una suddivisione in due sezioni: sezione Vita e sezione Pensiero. La prima sezione (Vita) raccoglie contributi che sono testimonianza di incontri, discussioni, riflessioni comuni con Karl-Otto Apel. L’aspetto teorico-filosofico e l’aspetto personale ridanno la freschezza e la profondità di queste testimonianze. Quanti hanno conosciuto e sono diventati anche amici di Apel hanno vissuto il logos filosofico nella sua ampiezza riflessiva in simbiosi con un uomo che, a parere di Habermas (l’altro Gigante, colonna portante della filosofia contemporanea), incorpora la stessa filosofia. Hanno vissuto la forza discorsiva di una personalità che ha fatto del dialogo la fonte instancabile della ricerca intersoggettiva. Vita e Pensiero non sono due sezioni separate e separabili, sono piuttosto la messa in evidenza che il filosofare vero si costituisce nell’unità, appunto, di Vita e Pensiero: nel vivere la filosofia.
La seconda sezione (Pensiero) ? Molti sono, nel frattempo, gli studi internazionali sul pensiero di Karl-Otto Apel. La raccolta dei contributi e delle riflessioni che qui presentiamo è un esempio mondiale della vitalità e fruttuosità del pensiero di Karl-Otto Apel. Studiosi diversi, da angolazioni e prospettive tutt’altro che identiche, si confrontano criticamente con la pragmatica trascendentale di Apel, sia come proposta di possibilità di fondazione teoretica sia come piattaforma applicativa ai contesti reali della vita umana. Questo volume unitario presenta e rappresenta un dialogo filosofico serrato, ricco di riflessioni aggiuntive e alternative, a testimonianza delle motivazioni profonde che Karl-Otto Apel, con la sua trasformazione trascendentalpragmatica della filosofia occidentale, ha saputo suscitare mondialmente.
L’etica del discorso, nella sua forma, qui, riflessiva, pragmatica, trascendentale, ermeneutica, semiotica, non è solo un modo nuovo e originale di concepire la filosofia dell’Occidente, nella sua trasformazione in terzo paradigma della filosofia prima; l’etica del discorso è, anche e per lo più, un pensare filosofico radicale di riappropriazione dei propri presupposti (anche linguistici) fin nelle loro radici normative (performative), se non emancipative, per una pragmatica etica che reclama, per un verso, fondamento (discorsivo) e universalità, possibilmente (intersoggettiva), per altro verso, capacità di applicazione nei contesti anche dell’economia (globalizzata), del diritto dei Popoli e delle Culture. La filosofia, così concepita, non è ovviamente solo critica al concetto, piuttosto una discorsività in cerca di significato, comprensione, senso che coinvolga la prassi attraverso un dialogo esteso a tutti i popoli.

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Pensiero / denken

La psicoanalisi come pratica linguistica di emancipazione individuale e collettiva
da Freud ad Apel via Kant e Marx[1]

Michele Borrelli

UniversitĂ  della Calabria
Abstract
Il saggio discute la riflessione freudiana sull’inconscio nel doppio senso di rimozione individuale e rimozione sociale, rapportando il disagio della singola psiche al disagio della collettività e facendolo dipendere da quest’ultimo. Le crisi esistenziali si situano sul piano della psicologia individuale, ma questo è sempre anche determinato da quello della psicologia culturale in generale, per cui l’elaborazione critica dell’inconscio deve avvenire su tutti e due i piani. La psicoanalisi si dimostra come modello capace di corrispondere a entrambi i piani di elaborazione, cioè come pratica linguistica di emancipazione individuale e collettiva, ovverosia come processo individuale e di auto-ermeneutica e processo di ermeneutica sociale (Karl-Otto Apel) in generale.
Parole chiave: psicologia individuale, psicologia culturale, emancipazione individuale, emancipazione collettiva, ermeneutica sociale.
The psychoanalysis as linguistic practice of individual and collective emancipation from Freud to Apel
The essay discusses the freudian reflection on the unconscious in the double sense of individual removal and social removal, comparing the discontent of the individual psyche to the discontent of the collectivity and making it depend on this last.
The existential crises placed on the plan of the individual psychology, but this last is always determined even by that cultural psychology in general, for which the critical elaboration of the unconscious must happen on both the plans.
The psychoanalysis shows it is a model able to correspond to both the planes of elaboration, i.e. as linguistic practice of individual and collective emancipation, i.e. as individual process and self-hermeneutic and process of social hermeneutics (Karl-Otto Apel) in general.
Keywords: individual psychology, cultural psychology, individual emancipation, emancipation collective, social hermeneutics.
In quale prospettiva è possibile, oggi ancora, una riflessione sull’inconscio che tenga fermi i presupposti freudiani della rimozione e gli eventuali passaggi verso il conscio, all’interno della coscienza del singolo, ma che non rinunci all’ambito ampio, e forse più essenziale, di ciò che si potrebbe definire rimozione sociale o, nei termini di Marx, falsa coscienza (falsches Bewuβtsein)? (Marx/Engels, 1969 [1845-46]). Il disagio necessita di un’indagine sia sul piano strettamente psichico (del singolo) che sul piano culturale (della società), in quanto è la crisi di quest’ultima (causa) a generare, il più delle volte, le crisi esistenziali (gli effetti) e non viceversa. Sono in crisi i fondamenti del modello occidentale di civiltà: l’idea di onnipotenza della tecnica e il continuo progresso a essa legato. Il fallimento di questa idea, di un progetto generale entro il quale le generazioni potevano e possono ritrovarsi come parte di un tutto, ha dato il via a un individualismo sfrenato che impedisce il passaggio dalla libido narcisistica (dal sé) alla libido oggettuale (all’altro) (Benasayag, Schmit 2003, trad. it. 2014, pp. 40-41; cfr. anche Galimberti, 2013, p. 28). Eppure, oggi, pare non meno fondamentale pensare alla dialettica tra ipseità e collettività o, in senso più generale, tra egoità e cultura, se è vero – e qui si ritiene che sia vero – che siamo di fronte a un contesto che dobbiamo definire non solo di psicologia individuale ma di psicologia culturale (Bruner, 2015, p. 49; vedi soprattutto Bruner 1996, trad. it. 2001).
In questo senso, i disagi e le crisi esistenziali si collocano sul piano di quel processo ampio tra singolo e società e quest’ultima, nonostante le resistenze dei singoli, spinge sempre più al passaggio dall’Io al Noi. Passaggio in cui il singolo si vede nella necessità di dover difendere un’identità messa a rischio dai cambiamenti continui che si avverano nel contesto globale della società.
Diversamente dalla rimozione individuale, la rimozione sociale è legata alla società nella sua totalità di strutture di potere e di agire umano e di coscienza collettiva in esse espressi. Se non discordiamo in via di principio sull’ipotesi che sia possibile e necessario estendere – riservandoci fino a che punto – i presupposti freudiani all’ambito della rimozione sociale, a quel disagio che Freud definiva disagio della civiltà (1929-30, trad. it. 1978, pp. 555-630), ovverosia se si ritiene possibile presupporre un a priori sociale in cui la stessa società – con tutti i suoi membri – sia soggetto e oggetto (vittima) al contempo, come fa rilevare Adorno (1966, trad. it. 1970; 1964, trad. it. 1989; 1962, trad. it. 1975), di una rimozione auto-procurata, è evidente allora che ci si trova di fronte a una doppia problematica per quel che riguarda la domanda di fondo freudiana su come giungere alla conoscenza dell’inconscio.
Da un lato dovrebbe trattarsi dell’elaborazione dell’inconscio in riferimento al singolo soggetto, dall’altro dell’elaborazione dell’inconscio internamente alla totalità del sociale di cui il soggetto è membro. Il “paziente”, in questo caso, non è solo l’uno o l’altro singolo individuo, ma la società nella sua totalità[2]. Anche la società è “malata” o può ammalarsi e, in una società malata, anche i suoi membri sono malati. Le nevrosi abitano sia la psiche del singolo che la psiche della collettività. In caso contrario, come si pensa di poter spiegare che nel cuore dell’Europa è stato possibile lo sterminio di massa che va sotto il nome di olocausto? L’olocausto non è stato un “fenomeno”, “marginale”, all’interno delle tante strutture di potere di una Germania nazista; l’olocausto, piuttosto, è stato un fine e un mezzo in cui, in ultima analisi, hanno finito per confluire tanto le strutture del potere politico quanto le strutture del potere economico e la stessa cultura in generale di una parte dell’Occidente. Quanti principi dell’oscurantismo sono stati necessari, ripresi dal buio più profondo dei pregiudizi della storia, per rimuovere nel cuore dell’Europa sia i principi dell’umanesimo illuministico che i principi dell’umanesimo delle origini (Borrelli, 2013) e avviare l’industria della distruzione? Dov’era la ragione illuministica, dove Dio, come ha fatto rilevare H. Jonas? (1968, 1987, trad. it. 1989).
È indubbio, allora, che, parlare di rimozione, è ormai un fatto acquisito, per cui la presupposizione freudiana dell’inconscio può ritenersi non solo necessaria e legittima, come egli sottolineava, ma indiscutibilmente fondata. In questo senso, oggi, non si tratta più di dover giustificare il concetto di inconscio ai fini della ricerca “scientifica” (Freud 1915, trad. it. 2012, pp. 83-87), (sul termine ci sarebbe molto da dire), ma di tentare, al contempo, di estenderlo al rapporto singolo-società o individuo-totalità e ripensarlo in chiave anche socio-politica e socio-economica oltre che antropologica e psicoanalitica, se non addirittura antropologico-psicoanalitica, come qui si vorrebbe proporre. Il rapporto individuo-totalità o singolo-società è un piano di ricerca diverso rispetto all’approccio di un’analisi dell’inconscio nei limiti ristretti degli atti psichici della coscienza del singolo. D’altra parte, dobbiamo osare un’ipotesi ampia del genere proprio per misurare quale possa essere, oggi ancora, il peso d’attualità e, quindi, la rilevanza sociale delle domande di Freud. Si tratta delle domande relative alle “idee che ci vengono in testa”, sul “da dove” queste domande provengano e perché giungiamo a determinate “conclusioni intellettuali” (Freud 1915, trad. it. 2012, p. 83). Sappiamo che per Freud è centrale il conflitto tra i dati di realtà e la libido, gli impulsi, per mettere in moto i fantasmi del sogno, della nevrosi e anche delle sublimazioni. Sul piano più strettamente sociale, vale il presupposto che i fantasmi sono interpretati come quelle ideologie o visioni che reggono la psiche collettiva, per cui le domande di Freud non sono solo riferibili all’interiorità del singolo individuo, piuttosto si estendono al rapporto Io individuale - Io sociale. Questo rapporto sposta, però, il problema dell’identità dal piano soggettivo al piano intersoggettivo, in quanto è chiamata in causa la stessa comprensione da cui, in ultima analisi, dipenderà il nostro modo di comprenderci e di spiegarci il mondo e le “idee che ci vengono in testa” (Ibidem). Secondo Freud, la coscienza rende ciascuno di noi consapevole solo del proprio stato mentale (Ibidem, p. 85). Quel solo suona quasi restrittivo e di poca importanza, quando, invece, rappresenta una pretesa forse anche al di fuori delle nostre capacità, se è vero che oggi, nella complessità degli intrecci globali di potere sociale, nemmeno possiamo dare per scontato di essere completamente consapevoli del nostro stato mentale. Le idee che ci vengono in testa, da che cosa sono generate? Sono idee nostre o sono idee suggerite dai mille condizionamenti, anche e soprattutto inconsci, ai quali la nostra coscienza è sottoposta dalle strutture di un potere spesso anche invisibile? Troviamo la spiegazione a queste domande nella rimozione, nell’inconscio o pre-conscio del singolo Io? Il teorico dell’ermeneutica filosofica Hans-Georg Gadamer si è posto un interrogativo simile, non partendo da presupposti psicoanalitici, ma da una riflessione filosofica sul problema della comprensione (Gadamer, 1948). L’interrogativo riguardava non le idee che ci vengono in testa, ma qualcosa di molto simile: l’origine della nostra visione del mondo (Weltansch...

Table of contents

  1. Premessa
  2. La sfida tedesca al pensiero filosofico.
  3. Vita / Leben
  4. Pensiero / denken
  5. Appendice / Anhang