La barbarie di Berlino
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La barbarie di Berlino

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La tragedia della Prima guerra mondiale manifesta secondo Chesterton l'eterna tentazione al cuore del «male europeo moderno», il rifiuto cioè dell'umanesimo del mondo classico e della civiltà cristiana e la resa ad un'oscura barbarie fatta di inganno, tradimento e sopraffazione. In questo quadro, l'aggressivo militarismo della Prussia diventa il simbolo di uno «spirito di egoismo malato» che minaccia la sopravvivenza stessa delle nazioni e degli individui e l'abdicazione da quei principi, come il senso dell'onore e il rispetto della parola data, che ne hanno garantito la convivenza per secoli. «Ecco in soldoni ciò per cui combattiamo», scrive Chesterton, «combattiamo per salvare l'Europa da un avvenire tedesco; crediamo che esso sarebbe più angusto, più spiacevole, meno saggio, meno capace di libertà e di divertimento rispetto a qualunque periodo peggiore del passato europeo». Gli scritti che presentiamo in questa nuova edizione italiana, La barbarie di Berlino e le Lettere ad un vecchio garibaldino, risentono del clima propagandistico del tempo e, come ben documenta Martino Cervo nella sua Nota di lettura, ne sono certamente originati. Tuttavia, si avvicinano anche alla nostra sensibilità contemporanea quando individuano, a monte della filosofia prussiana coeva, una forza metafisica che induce i nuovi barbari ad agire con «l'obiettivo terribilmente serio di distruggere alcune idee che il mondo — secondo loro — ha sorpassato, ma senza le quali — secondo noi — il mondo perirà». Questa minaccia, ci suggerisce Chesterton intravvedendo profeticamente i barlumi dell'orrore nazista, non cesserà con le vittorie militari sui campi di battaglia e non potrà forse mai svanire del tutto perché i barbari, che «ci offrono stupidi intrighi, stupide spiegazioni e persino stupide giustificazioni […], non mancano di trovare gente abbastanza stupida da ubbidire loro».

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Information

Introduzione.
I termini della questione

A meno che non siamo tutti pazzi, anche dietro la faccenda più sconcertante c’è una storia. D’altro canto, se fossimo tutti pazzi non esisterebbe neppure la pazzia. Se incendio una casa, è vero che posso illuminare le debolezze di molte altre persone oltre alle mie. Può essere che il padrone di casa sia bruciato perché era ubriaco; può darsi che la padrona di casa sia bruciata perché era avara, e sia morta mentre litigava sul costo di una scala antincendio. Cionondimeno, resta ancor più vero che entrambi sono bruciati perché ho dato fuoco io alla loro casa. Questo è il punto: e i semplici fatti della storia della guerra che si è scatenata in Europa sono altrettanto facili da raccontare.
Prima di approfondire le vicende che rendono questa guerra la guerra più sincera della storia dell’umanità, è altrettanto facile rispondere alla domanda sul perché l’Inghilterra ci sia finita dentro: è come rispondere alla domanda sul motivo per cui un uomo sia caduto da una carbonaia, o sul perché abbia mancato un appuntamento. I fatti non sono tutta la verità. Ma i fatti sono fatti, e in questo caso i fatti sono pochi e semplici. La Prussia, la Francia e l’Inghilterra avevano, tutte, promesso di non invadere il Belgio. La Prussia si era prefissa di invadere il Belgio, perché era il modo più sicuro per invadere la Francia. Ma la Prussia aveva promesso che, qualora avesse in effetti invaso il Belgio venendo meno alla sua prima promessa, all’effrazione non avrebbe fatto seguire il furto. In altre parole, ci venne offerta allo stesso tempo una promessa in cui credere per il futuro e una dichiarazione di spergiuro per il presente. Chi sia interessato alle origini dell’uomo potrebbe far riferimento a un vecchio scrittore inglese vittoriano, il quale, nell’ultimo e più contenuto dei suoi saggi storici[1], si occupò di Federico il Grande, fondatore dell’immutata politica prussiana. Dopo aver raccontato come Federico avesse rotto la parola data a Maria Teresa, l’autore spiega come lo stesso sovrano avesse cercato di ricomporre la situazione con una promessa che era un insulto. «Se solo gli avesse lasciato avere nient’altro che la Slesia, disse egli, avrebbe preso le sue parti contro qualunque potere avesse mai tentato di privarla di altri domini; come se non fosse comunque costretto a farlo, o come se la sua nuova promessa potesse avere un valore maggiore di quella vecchia». Il passaggio citato è opera di Macaulay ma, se fosse riferito ai fatti contemporanei, avrei potuto benissimo averlo scritto io.
Per quanto riguarda l’origine immediata, logica e legale, dell’interesse inglese non ci può essere alcun reale dibattito. Ci sono cose talmente semplici da potersi dimostrare con schemi e diagrammi, come faceva Euclide. Si potrebbe compilare una sorta di calendario comico di ciò che sarebbe successo a un diplomatico inglese se questi fosse stato messo a tacere di volta in volta dalla diplomazia prussiana. Supponiamo di buttarlo giù a mo’ di diario.
24 luglio: La Germania invade il Belgio.
25 luglio: L’Inghilterra entra in guerra.
26 luglio: La Germania promette di non annettere il Belgio.
27 luglio: L’Inghilterra si ritira dalla guerra.
28 luglio: La Germania annette il Belgio e l’Inghilterra entra in guerra.
29 luglio: La Germania promette di non annettere la Francia e l’Inghilterra si ritira dalla guerra.
30 luglio: La Germania annette la Francia e l’Inghilterra dichiara guerra.
31 luglio: La Germania promette di non annettere l’Inghilterra.
1° agosto: L’Inghilterra si ritira dalla guerra. La Germania invade l’Inghilterra.
Per quanto tempo uno sarebbe disposto a proseguire questa specie di gioco, o a mantenere la pace a questo prezzo illimitato? Per quanto tempo dobbiamo scegliere una strada in cui le promesse sono tutte feticci davanti a noi e dietro di noi ci sono solo cocci? No, sulla base dei nudi fatti dei negoziati finali, così come raccontati da qualunque diplomatico in qualunque documento, non ci sono dubbi sulla storia. E nessun dubbio su chi, in essa, sia il cattivo.
Questi sono gli ultimi fatti, i fatti che riguardano l’Inghilterra. Ed è egualmente facile enunciare i primi fatti: quelli che riguardano l’Europa. Il principe che di fatto comandava in Austria venne ucciso da certe persone che il governo austriaco riteneva essere cospiratori mandati dalla Serbia. Il governo austriaco iniziò ad accumulare armi e soldati senza dire una parola né alla Serbia – di cui sospettava – né all’Italia, di cui era alleata. Dai documenti si direbbe che l’Austria abbia tenuto all’oscuro tutti, tranne la Prussia. Probabilmente è più vicino alla verità sostenere che la Prussia abbia tenuto all’oscuro tutti, compresa l’Austria. Ma tutto questo è ciò che chiamiamo opinione, credenza, convinzione, senso comune: e non stiamo parlando di questo. Il fatto oggettivo è che l’Austria ha chiesto alla Serbia di sottoporre i suoi ufficiali agli ordini di quelli austriaci; e ha chiesto alla Serbia di sottomettersi a questo comando in 48 ore. In altre parole, al sovrano della Serbia è stato praticamente detto di spogliarsi non solo degli allori di due grandi campagne belliche, ma anche della legittima corona del suo Paese, e di farlo in un lasso di tempo in cui a nessun cittadino rispettabile verrebbe chiesto di liquidare il conto dell’albergo. La Serbia ha chiesto tempo per un arbitrato: cioè, in sostanza, la pace. Ma la Russia aveva già cominciato la mobilitazione; e la Prussia, supponendo che la Serbia avrebbe potuto ricevere aiuto, ha dichiarato guerra.
Dei due possibili esiti di questa vicenda – l’ultimatum alla Serbia o l’ultimatum al Belgio – chiunque ne abbia l’inclinazione potrà parlare come se tutto fosse relativo. Se qualcuno chiedesse perché lo zar dovrebbe correre in auto della Serbia, sarebbe facile chiedergli il motivo per cui il Kaiser dovrebbe correre in aiuto dell’Austria. Se qualcuno osservasse che la Francia attaccherebbe i tedeschi, sarebbe sufficiente rispondere che i tedeschi hanno realmente attaccato la Francia. Rimangono, tuttavia, due attitudini che vanno considerate, o forse per meglio dire due tesi che possono essere valutate e contrastate meglio alla luce di questo insieme di fatti. Prima di tutto, c’è una curiosa e nebulosa specie di argomento, molto influenzato dai retori professionali della Prussia, spediti all’estero per istruire e correggere i pensieri degli americani o degli scandinavi. Esso consiste nell’abbandonarsi a gran moti d’incredulità e scorno quando si parla di qualunque responsabilità della Russia nei confronti della Serbia, o di qualunque responsabilità dell’Inghilterra nei confronti del Belgio; e nel suggerire che, a prescindere da qualsiasi trattato o frontiera, la Russia sia comunque pronta a massacrare tedeschi, quanto l’Inghilterra a depredare colonie. In questo caso, come in molti altri, credo che i professori sparsi in tutta la pianura del Baltico difettino di lucidità e non siano in possesso della facoltà di distinguere le idee. Ovviamente è piuttosto chiaro che l’Inghilterra ha degli interessi materiali da difendere, e che probabilmente coglierà l’opportunità di difenderli; o, in altri termini, ovviamente l’Inghilterra, come tutti, si sentirebbe più a suo agio se il potere della Prussia diminuisse.
Il punto è che non abbiamo fatto ciò che hanno fatto i tedeschi. Non abbiamo invaso l’Olanda per assicurarci un vantaggio navale e commerciale; e per quanto dicano che avremmo voluto farlo a causa della nostra avidità, o temuto di farlo a causa della nostra codardia, resta vero che non l’abbiamo fatto. Non vedo come si possa risolvere qualunque controversia trascurando questo principio di semplice buonsenso. Si può stipulare un contratto tra due parti solamente se c’è un vantaggio materiale per ciascuna; tuttavia, il vantaggio morale è generalmente considerato appannaggio della parte che si attiene al contratto stesso. Di certo non può essere disonesto essere onesti, sia o meno l’onestà la scelta più conveniente. Immaginiamo pure un dedalo il più complesso possibile di secondi fini: comunque, chi sta ai patti per denaro non può essere peggiore di colui che rompe i patti per denaro. Si noti che questo test definitivo si può applicare tanto alla Serbia quanto al Belgio e alla Gran Bretagna. I serbi possono non essere un popolo particolarmente pacifico, ma nel caso in questione desideravano certamente la pace. Si può scegliere di pensare che i serbi siano un popolo di briganti nati, ma in questa circostanza è sicuramente l’Austria che sta cercando di razziare. Allo stesso modo, si può riassumere la storia degli inglesi definendoli perfidi; e si può essere intimamente certi che il signor Asquith[2] si sia votato fin dall’infanzia alla rovina dell’Impero tedesco, e che egli sia un Annibale e un odiatore di aquile. Ma anche una volta ammesso tutto ciò, non ha senso ritenere perfido un uomo poiché mantiene la parola data. È assurdo lamentarsi dell’improvviso tradimento di un uomo d’affari perché questi si presenta puntuale al suo appuntamento, o del colpo gobbo che un debitore rifila al suo creditore saldandogli i debiti.
Da ultimo, c’è un’attitudine, non sconosciuta in questa crisi, contro la quale vorrei particolarmente protestare. Vorrei indirizzare la mia protesta soprattutto contro quegli amanti e quei propugnatori della pace che, con straordinaria ristrettezza di vedute, hanno di tanto in tanto assecondato tale attitudine. Mi riferisco al fastidio per quei dettagli preliminari su chi abbia fatto questo o quello, e se ciò fosse o meno giusto. Essi paiono soddisfatti semplicemente affermando che una enorme calamità, chiamata guerra, è stata iniziata da qualcuno, o da tutti, e dovrebbe essere conclusa da qualcuno, o da tutti. A questa gente, il presente capitolo sui fatti precisi apparirà non solo arido (e deve di necessità essere la parte più arida del lavoro) ma sostanzialmente inutile e sterile. Desidero dire a costoro che si sbagliano: che si sbagliano a proposito di tutti i princìpi della giustizia umana e della continuità storica. Ma che sono specialmente e sommamente in errore sui loro stessi princìpi in materia di arbitrati e pace internazionale.
Questi sinceri e magnanimi amanti della pace ci ripetono sempre che i cittadini non risolvono più le loro vertenze tramite la violenza privata, e che le Nazioni pertanto non dovrebbero più risolvere le proprie tramite violenza pubblica. Ci ripetono anche che non esistono più i duelli, e dunque non abbiamo più necessità di far guerre. In breve, fondano continuamente le loro proposte di pace sul fatto che un comune cittadino non si vendica più con un’ascia. Ma perché ha smesso di farlo? Se colpisce il vicino alla testa con un coltello da cucina, noi che facciamo? Ci teniamo tutti per mano, come bambini che cantano il girotondo, e diciamo: «Siamo tutti responsabili per questo, ma speriamo che non succeda più. Speriamo nel giorno felice in cui smetteremo di tagliarci la testa, e in cui nessuno taglierà più nulla nei secoli dei secoli»? Diciamo forse: «Quel che è stato è stato, perché preoccuparsi di tutti i noiosi dettagli con cui la vicenda è iniziata? Chi può dire per quali sinistri motivi l’uomo si trovava lì, a portata di accetta?». No. Manteniamo la pace nella vita privata ricostruendo i fatti di una lite, e interrogandoci su chi meriti una punizione. Approfondiamo i noiosi dettagli; indaghiamo le origini; soprattutto, cerchiamo di capire chi abbia colpito per primo. Insomma, facciamo quello che fin qui ho fatto io in maniera molto concisa.
Ciò detto, è del tutto vero che dietro questi fatti stanno delle verità. Verità terribili, di natura spirituale. Attenendosi ai semplici fatti, la potenza tedesca ha avuto torto nei confronti della Serbia, torto nei confronti della Russia, torto nei confronti del Belgio, torto nei confronti dell’Inghilterra e torto nei confronti dell’Italia. Ma c’era una ragione per questo torto diffuso in lungo e in largo; e di quella ragione fondamentale, che ha mosso mezzo mondo a contrastarla, parlerò oltre, perché è qualcosa di troppo onnipresente per essere dimostrato, e troppo indiscutibile per aver bisogno di dettagli. Ed è nientemeno che rintracciare, dopo oltre un secolo di recriminazioni e spiegazioni sbagliate, il male europeo moderno. Non è altro che trovare la sorgente da cui il veleno è sgorgato su tutte le Nazioni della terra.

1 Chesterton allude qui a t.b. macaulay, Life of Frederick the Great, The Useful Knowledge Publishing Company, New York 1882. L’opera è contenuta nel più recente id., Complete Works of Thomas Babington Macaulay, Delphi Classics, Hastings 2016. Il barone Babington Macaulay (1800-1859) fu uno storico e politico inglese, che ricoprì anche la carica di Secretary at War.
2 Herbe...

Table of contents

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Collana
  4. Frontespizio
  5. Colophon
  6. Nota di lettura di Martino Cervo
  7. La barbarie di Berlino
  8. Introduzione. I termini della questione
  9. Lettere ad un vecchio garibaldino
  10. L’opuscolo interventista di GKC di Roberto Prisco