La storia
SOLO CON LA MIA COSCIENZA
Il peso è a sé stesso impedimento
a posseder la sua vita e non dipende più
da altro che da sé stesso in ciò che non
gli è dato di soddisfarsi.
Il peso non può mai esser persuaso.
Carlo Michelstaedter
Il ballo dell’amore
Quando lo sguardo di Franz incrocia la pupilla di Franziska, la storia non è più la stessa storia. L’ora della dannazione incombe anche fra quelle terre «sperdute» dell’Alto Inn, ma la speranza di un radicamento nell’amore riapre i giochi della redenzione. Perché senza l’amore tutto è morto. «Anche se si costruissero molte cose buone – scrive Franz in quegli anni –, senza l’amore sarebbero tutte morte».
Non sappiamo come Franz sia arrivato al ballo d’autunno del 1935 organizzato al Gasthaus Zur Reib di Ach nel Comune di Hochburg. Molto probabilmente in moto. Ha 28 anni e una gran voglia di divertirsi. Il duro lavoro in Stiria e la vita alla fattoria lo hanno fortemente segnato e un po’ di svago gli serve per alleggerirsi dalle incombenze di casa. La locanda è un palazzo giallo di due piani dove ancora oggi è possibile dormire e mangiare i prodotti tipici della cucina austriaca. Franz conosce qualche persona del posto, ma non aveva mai visto Franziska, che da due anni lavora nell’albergo occupandosi della stalla e della cucina (per arrotondare un po’ la paga fa anche servizio nella pista di bocce lì vicino).
Si erano sfiorati un anno prima ad Altötting in occasione della cerimonia per la canonizzazione di Konrad von Parzham, il bracciante agricolo, nato nel 1818, entrato nel Terz’ordine francescano e poi come laico nel convento dei cappuccini di Laufen in Baviera, incaricato della portineria del santuario mariano. Morì il 21 aprile del 1894. Un uomo umile, innamorato di Dio e del prossimo, soprattutto dei più poveri, dei diseredati, dei perseguitati, degli abbandonati. Una figura che diventa, proprio in quei furibondi anni di ascesa del nazionalsocialismo, un simbolo diametralmente opposto al pensiero dell’uomo forte, del superuomo incardinato nello spirito del regime, tanto da essere inviso agli apparati del partito, che cercano in tutti i modi di squalificare le virtù di Konrad, accusato di essere stato un fannullone, un contadino che ha abbandonato il duro lavoro dei campi per ritirarsi nella vita agiata di un convento. Le alte gerarchie non sopportano l’elevazione agli altari di quel «contadino insignificante» che voleva bene alle razze inferiori. Temono che la figura del nuovo santo possa ispirare il malcontento dei cristiani e far germogliare la resistenza al potere nell’ambito della chiesa tedesca.
Franziska è giovane e bella. È snella, alta, con gli occhi castano chiaro e i capelli ben curati, mossi e con la riga in parte. Dai lobi pendono due orecchini e ha una grazia tutta particolare. Anche se piuttosto riservata e non appariscente, è impossibile non notarla.
Franz balla fin quasi a consumare le scarpe, poi beve birra, guarda la ragazza, cerca l’occasione propizia. A un certo punto prende l’iniziativa e la ferma. Anche lei è attratta dal suo pretendente. I due cominciano a chiacchierare, a conoscersi, si danno appuntamento. Ma la prima cosa che Franziska ha bisogno di sapere dal futuro compagno e marito è molto semplice: «Tu, caro Franz, vai in chiesa?». La risposta è un sorriso.
Nei sette mesi di fidanzamento Franz insegue Franziska alla ricerca di un senso religioso della vita. Non riescono a vedersi ogni giorno perché lui è costretto a lavorare tantissimo nella fattoria, con la manodopera ridotta al lumicino per via della malattia della sorella adottiva Aloisia e per la situazione della madre, anche lei malata. Tuttavia appena può corre a trovarla per fare una passeggiata, discutere di problemi personali ma anche della situazione politica, immaginare il futuro e progettare il matrimonio.
Vanno di fretta, corrono. Sono due anime gemelle. Franziska va in chiesa quasi tutti i giorni, Franz cerca di starle dietro. Quando può legge il vangelo, chiede consigli ai sacerdoti. In tempi rapidissimi i due fidanzati decidono la data del matrimonio. Spiazzano tutti e si dissociano totalmente dalla tradizione di quei piccoli paesi che scandiscono gli eventi intorno ai matrimoni e ai funerali. In genere i matrimoni sono avvenimenti festosi, che coinvolgono l’intera comunità con la sposa al centro della cerimonia, il pranzo di nozze con tanti invitati e l’attesa degli amici che ne parlano per settimane. Franz e Franziska concordano per una celebrazione sobria e defilata, al punto di convincere il parroco a farla alle 6.30 del mattino. Anche il giorno è stato scelto con cura: 9 aprile 1936, giovedì santo. Non organizzano banchetto nuziale e nemmeno per i vestiti hanno intenzione di spendere. Franziska indossa un abito leggero, nero con una maglietta di lino bianca. Un velo trasparente le copre la testa mentre dal collo pende una bella collana. Franz porta una camicia bianca, una cravatta con alcune righe di varie tonalità di grigio e un completo scuro. Dal taschino della giacca esce un mazzetto di fiori.
Preferiscono investire tutto quello che hanno in un viaggio di nozze a Roma, che costa una cifra di ben 200 scellini, l’equivalente di sei mesi di lavoro. Prenotano due posti su un pullman di pellegrini che parte da Vienna e passa da Sankt Radegund subito dopo la messa, ossia alle 7.30. Quello stesso giorno, fra l’altro, viene celebrato il funerale di Aloisia, che Franz è costretto a disertare, e anche questo balza all’occhio della comunità.
Finita la celebrazione, i neosposi salutano tutti in gran fretta, firmano i documenti civili dell’avvenuta unione e fanno le foto di rito tenendo in mano un bouquet di fiori bianchi. Sono felici. Ricevono in regalo dal sacerdote una copia della Bibbia e un messalino, che diventeranno una compagnia fedele per Franz lungo tutto il tragitto verso Roma.
Salgono sul pullman già pieno di pellegrini, tanto che sono costretti a occupare posti separati fino a Innsbruck nonostante le rimostranze di Franz che arriva a minacciare il responsabile del mezzo con un pugno: «Avevamo prenotato due posti vicini», dice stizzito. «Ci siamo appena sposati e mi ero premunito che si viaggiasse l’uno accanto all’altro. O questi due posti saltano fuori con le buone, o salteranno fuori con le cattive».
Durante il viaggio si immerge nella lettura della Bibbia. Franziska si sente spesso ripetere una frase: «Non avrei mai potuto immaginare che essere sposati potesse essere così bello».
Franz ha un carattere sanguigno, impulsivo, reattivo, e quando la pazienza supera il limite arriva anche a menare le mani. Per la prima volta avverte sensazioni forti. Si sente vivo, pieno di energie, allegro, sicuro, sereno. Ha voglia di giocare, di sollevare Franziska in aria per proiettarla in un tempo leggero, libero dalle angustie del quotidiano e dal peso di una storia fatta di grida minacciose, di subalternità coatte, di richiami all’obbedienza cieca a dittatori che fondano il loro potere sulla guerra, sulla persecuzione, sull’eliminazione di ogni dissenso interno. Lui ha già sentito le voci. Parlano dalla notte dei tempi. Raccontano la fine di tutto. Descrivono l’evolversi degli eventi al di là del confine e quello che dicono fa accapponare la pelle. Si vocifera che a un centinaio di chilometri da Sankt Radegund, in una fabbrica di munizioni in disuso nel paesino di Prittlbach, vicino a Dachau, sia stato aperto da un mese un campo di concentramento per oppositori politici ed ebrei. C’è anche il Blocco dei preti, e dicono che ve ne siano internati un bel po’, addirittura duecento. Ha letto con orrore alcune frasi di una predica del vescovo di Münster, Clemens August Graf von Galen, che qualche tempo prima aveva pubblicamente denunciato lo scandalo della politica di eutanasia coatta messa in atto dal regime.
Mentre il pullman si fa largo fra le polverose strade della Pianura padana, Franz legge il sogno di Isaia: «Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri”. Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore».
Luce e oblio. Franz alza gli occhi e guarda fuori dal finestrino. Franziska ha la testa appoggiata alla sua spalla. Dorme. Lui pensa alle due immagini che si porta dentro, totalmente stridenti l’una rispetto all’altra. La visione del Dio nonviolento, che trasforma le spade in vomeri, le lance in falci, e la visione della storia che fa esattamente il contrario: incalza il contadino perché abbandoni l’aratro e la falce per imbracciare armi da combattimento così da inseguire, nella totale obbedienza distruttiva, il dio pagano della guerra per la vittoria sulle genti. Da una parte il Dio della fede autentica, dall’altra l’idolo acclamato da una massa terrorizzata e soggiogata. In mezzo, uno sparuto gruppo di persone che cerca, come può, di mantenere saldi i principi fondamentali della fede e della coscienza.
Proprio in quei giorni del 1936 un padre di famiglia di Bolzano, presidente dei giovani dell’Azione cattolica di lingua tedesca, cercava di aprire gli occhi ai suoi ragazzi sulla deriva idolatrica del potere. In un discorso di formazione dei dirigenti dell’associazione, Josef Mayr-Nusser esprime chiaramente le sue preoccupazioni: «Ci tocca oggi assistere a un culto del leader (Führer) che rasenta l’idolatria. Tanto più può stupirci questa cieca fiducia nei leader se consideriamo che viviamo in un’epoca piena delle più straordinarie realizzazioni dello spirito umano in tutti i campi della scienza e della tecnica; in un’epoca piena di scetticismo in cui il singolo non vale niente, solo la massa, il grande numero ha senso».
A Roma da Pio XI
Il pullman di pellegrini attraversa silenzioso gli Appennini. L’arrivo a Roma è previsto in serata. Franz tiene la mano di Franziska. La bacia. Ammirano la bellezza delle montagne, i prati che cominciano a fiorire e le colline che rendono più dolce e armonioso il paesaggio fra la Toscana e il Lazio. Il sole comincia a scaldare. Il cielo è azzurro. Gabbiani volano all’orizzonte: il mare non deve essere poi così distante. Entrambi non stanno nella pelle al solo pensiero di poter visitare San Pietro e di assistere a un’udienza del papa. Hanno letto, si sono informati. Pio XI (Ambrogio Damiano Achille Ratti) è un uomo colto (una laurea in filosofia, una in diritto canonico e una in teologia, ma con incursioni anche nelle materie scientifiche e letterarie) e audace. Ha un passato d’alpinista. Nel 1890 ha aperto addirittura una nuova via sul Monte Bianco. Ma ciò che preme di più a Franz è capire quale sia la posizione della chiesa nei confronti del fascismo e del nazismo. Ha bisogno di sapere da che parte stare, come difendere sé stesso e la sua integrità morale dinanzi alle provocazioni del potere. Cerca testimoni del vangelo, guide che possano orientarlo negli anni torbidi del disorientamento.
Ma anche la chiesa di Roma è costretta ad abbassare la testa e mediare con i regimi. Pio XI è una specie di sovrano assoluto nel neonato Stato della Città del Vaticano, emanazione dei Patti Lateranensi sottoscritti con il regime fascista l’11 febbraio del 1929. Il potere temporale assume nuovo slancio in quel tempo di mediazioni, di accordi diplomatici e di nazionalismi dirompenti. Il papa si muove sul filo del rasoio. Da una parte legge la figura di Mussolini come quella di «un uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare», dall’altra bolla il fascismo come «statolatria pagana».
Nel 1936 – tre anni dopo la stipula di un concordato con il Reich tedesco – Ratti comincia a prendere coscienza del carattere anticristiano del nazismo e denuncia in varie occasioni gli atti di vera e propria «guerra santa» che Hitler sta muovendo in Europa. Già nel 1933 aveva ricevuto una lettera sofferta di Edith Stein in cui la monaca, che verrà poi deportata e uccisa ad Auschwitz il 9 agosto del 1942, metteva a nudo le preoccupazioni di molti cristiani tedeschi. «Da settimane – scriveva Edith Stein nella sua missiva – siamo spettatori, in Germania, di avvenimenti che comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo. Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli ebrei. Ora che hanno ottenuto il potere e hanno armato i loro seguaci – tra i quali ci sono dei noti elementi criminali –, raccolgono il frutto dell’odio seminato […]. Noi tutti, che guardiamo all’attuale situazione tedesca come figli fedeli della chiesa, temiamo il peggio per l’immagine mondiale della chiesa stessa, se il silenzio si prolunga ulteriormente. Siamo anche convinti che questo silenzio non può alla lunga ottenere la pace dall’attuale governo tedesco. La guerra contro il cattolicesimo si svolge in sordina e con sistemi meno brutali che contro il giudaismo, ma non meno sistematicamente. Non passerà molto tempo perché nessun cattolico possa più avere un impiego a meno che non si sottometta senza condizioni al nuovo corso. Ai piedi di Vostra Santità, chiedendo la benedizione apostolica».
Con il passare degli anni le denunce dei cristiani tedeschi affollano sempre più la cancelleria vaticana e Pio XI comincia a pensare a un’enciclica destinata proprio alla situazione in Germania, un testo forte di accusa contro la politica neopagana e anticristiana del regime nazista. L’enciclica uscirà il 10 marzo del 1937, cioè quasi un anno dopo la visita di Franz e Franziska a Roma, e già dal titolo esprime le paure e le angustie della Santa Sede. Mit brennender Sorge («Con viva ansia») diventerà un testo di riferimento per tutti: cristiani non conformi alla massa, abituati a vivere gli insegnamenti di fraternità e di uguaglianza che il vangelo ha espresso in quella rivoluzione che è l’esperienza di fede. L’enciclica affronta un argomento caro a Franz: «Non si può considerare come credente in Dio colui che usa il nome di Dio retoricamente, ma solo colui che unisce a questa venerata parola una vera e degna nozione di Dio. […] Chi, con indeterminatezza panteistica, identifica Dio con l’universo, materializzando Dio nel mondo e deificando il mondo in Dio, non appartiene ai veri credenti. Né è tale chi, seguendo una sedicente concezione precristiana dell’antico germanesimo, pone in luogo del Dio personale il fato tetro e impersonale, rinnegando la sapienza divina e la sua provvidenza […]. Un simile uomo non può pretendere di essere annoverato fra i veri credenti».
Fino a che punto possiamo dirci cristiani?, comincia a chiedersi Franz durante la vacanza romana. Ne accenna a sua moglie subito dopo l’udienza col papa. L’uomo di fede che legge il vangelo delle Beatitudini o la parabola del Buon Samaritano può allo stesso modo obbedire all’ordine di uccidere, distinguere il mondo in razze superiori e inferiori, decidere chi debba vivere e chi, invece, sia destinato a morire, a essere carne da macello per le ambizioni farn...