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Di nuovo in piedi, costruttori di pace!
Arene di pace: storia di un'utopia
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Di nuovo in piedi, costruttori di pace!
Arene di pace: storia di un'utopia
About this book
«La storia dell'umanità è un lungo viaggio dall'animalità alla santità. Un cammino fatto di accelerazioni, battute d'arresto, arretramenti. Ogni nuovo venuto ha la libertà di scegliere che ruolo vuole giocare: se quello di chi frena o quello di chi spinge. Questo libro racconta la storia del popolo che spinge e non si lascia intimidire se nel mondo si continuano a spendere enormità in armamenti, se la legge del profitto condanna miliardi di persone ad una vita indegna, se l'avidità della finanza ditrugge intere economie, se il mito della crescita sta portando il pianeta al collasso. Noi restiamo in piedi per dire e testimoniare che cambiare si può. Perché sappiamo che alla fine la verità trionferà». Francesco Gesualdi
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Information
1.
IL CONTESTO CULTURALE E STORICO
IL CONTESTO CULTURALE E STORICO
La svolta
Nell’aprire il primo convegno nazionale della rivista Testimonianze, il 14 novembre 1981, il direttore Ludovico Grassi citò Sandro Pertini, da due anni e mezzo presidente della Repubblica Italiana. Il vecchio partigiano, testimone di due terribili guerre mondiali, nel discorso di insediamento alla più alta carica dello stato aveva pronunciato parole di grande effetto: «L’Italia, a mio avviso, dev’essere nel mondo portatrice di pace: si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgente di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra».1 Secondo Grassi, l’affermazione sugli arsenali da svuotare e sui granai da riempire si poteva interpretare come il rovesciamento del detto tradizionale si vis pacem para bellum, frutto di una saggezza «tributaria di secolari arroganze e carica di complicità delittuose».2 Per chi ama la pace, contro chi prepara e organizza la guerra, occorre affermare: «Se vuoi la pace, organizza la pace».
Il convegno si tenne nel momento in cui in Europa era in corso una vasta mobilitazione per fermare la corsa agli armamenti. Nella seconda metà degli anni Settanta era entrata in crisi la distensione tra Est e Ovest. L’Europa divenne teatro di una nuova massiccia corsa agli armamenti. Da una parte l’Urss decise di installare i nuovi missili balistici a testata nucleare SS20, dall’altra la Nato gli altrettanto micidiali Pershing II e Cruise. Di questi ultimi, l’Italia si dichiarò disponibile a ospitarne 112 e di collocarli a Comiso, in provincia di Ragusa. La scelta suscitò una forte opposizione da parte di pacifisti e ambientalisti, ma anche l’opinione pubblica si mobilitò. Il 24 ottobre 1981 si tenne a Roma una grande manifestazione, cui parteciparono per la prima volta centinaia di migliaia di persone, e che segnò una svolta nel movimento per la pace in Italia.3 Esso non poteva più essere considerato espressione di piccole minoranze.4 La nuova corsa agli armamenti non nasceva solo da una strategia militare; aveva alle spalle una cultura – addirittura un’ideologia – nient’affatto nuova, e il livello di potenziale distruttività raggiunto dagli arsenali richiedeva un deciso cambiamento.
È appunto questo il compito che si pose il convegno di Testimonianze. Con le sue parole – come sottolineava Grassi, il direttore della rivista – Pertini si collocava proprio in questa prospettiva.
Era iniziata una svolta «culturale» di grande portata, che metteva in discussione un’ideologia plurimillenaria, riassunta nel motto si vis pacem para bellum, su cui si era retta tutta la storia, dagli antichi imperi alla «santa romana repubblica» medievale, fino ai nostri giorni. La «dottrina della deterrenza» su cui si è basato «l’equilibrio del terrore» fino al crollo dell’Unione Sovietica, la corsa agli armamenti, le «guerre preventive» combattute nel Golfo sotto la guida degli Usa nel 19915 e nel 2003,6 i conflitti tuttora aperti nel mondo, a partire da quello afghano, ne costituiscono i frutti contemporanei più drammatici.
L’ideologia consiste nel ritenere che il mondo sia diviso in amici e nemici, e che questi ultimi vadano contrastati con la forza: minacciandone l’uso o ricorrendovi apertamente se necessario. È la forza, quindi la violenza, che difende la pace e che può anche modificare la situazione, costringendo chi ti è nemico – perché sconfitto, o anche solo per paura o per interesse – a più miti consigli, fino a diventare perfino tuo alleato, sia pure in subordine. La storia è sempre andata così, fino ai giorni nostri.
In Italia è stato Aldo Capitini il primo a contestare tale ideologia. Rifacendosi alla nonviolenza di Gandhi, ma anche al messaggio cristiano, sostenne che i mezzi non sono indifferenti rispetto ai fini, e che, pertanto, non tutti sono utilizzabili. I mezzi devono essere coerenti con i fini: «Nella grossa questione del rapporto tra il mezzo e il fine, la nonviolenza porta il suo contributo in quanto indica che il fine dell’amore non può realizzarsi che attraverso l’amore, il fine dell’onestà con mezzi onesti, il fine della pace non attraverso la vecchia legge di effetto tanto instabile “se vuoi la pace prepara la guerra”, ma attraverso un’altra legge: “Durante la pace prepara la pace”».7 Capitini, per chiarire l’idea, citando Gandhi usa un’immagine molto bella: «Il mezzo può essere paragonato ad un seme, il fine ad un albero; e tra il mezzo e il fine vi è appunto la stessa inviolabile relazione che vi è tra il seme e l’albero».8
Non è cosa facile liberarsi di quell’ideologia, e in effetti ne siamo ancora in larga misura prigionieri. Anche la dottrina e la prassi cristiana ne sono state dominate. La concezione del nemico come soggetto da scoraggiare o convertire – e quindi non sempre necessariamente da distruggere – ne ha ispirato per diciassette secoli dottrina, teologia, pastorale, comportamenti concreti. Entro questo orizzonte, si è considerata la guerra un fatto buono (con le teorie della «guerra giusta» o, addirittura, in funzione delle crociate, «santa»),9 si sono organizzate l’Inquisizione, la caccia alle streghe, l’eliminazione dei «diversi», degli eretici, e di chiunque non la pensasse in modo ortodosso: la violenza è stata legittimata. Ancora nell’enciclica Populorum progressio di Paolo VI – peraltro molto importante e attuale per diversi aspetti – si sostiene la teoria di san Tommaso riguardo alla legittimità dell’uccisione del tiranno, quindi della violenza.
Questo orizzonte culturale ed etico ha coinvolto un po’ tutti.
Si può quindi comprendere la grande importanza che ha avuto, ed ha tuttora, la Pacem in terris di Giovanni XXIII; per la prima volta, la guerra come tale è stata ufficialmente condannata in un documento pontificio: «Alienum est a ratione, bellum».10 La guerra, comunque la si giustifichi, è al di fuori della ragione, quindi folle.
Con papa Giovanni il distacco della chiesa cattolica dalla teologia tradizionale, che considerava a certe condizioni giusta la guerra, è diventato netto e irreversibile. Nell’enciclica, indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà, la pace è vista come fru...
Table of contents
- Prima Parte «IN PIEDI, COSTRUTTORI DI PACE!»
- Spese folli
- Seconda Parte UN FERMENTO DI VITA PER TUTTI
- 1.IL CONTESTO CULTURALE E STORICO
- 2.IL MOVIMENTO PER LA PACE NEGLI ANNI SETTANTA E OTTANTA
- 3.BEATI I COSTRUTTORI DI PACE
- Arena di Pace e Disarmo APPELLO