Parte III
GLI YANOMAMI
E LA MISSIONE CATRIMANI
NASCITA DELLA MISSIONE CATRIMANI
La scelta preferenziale degli indigeni
di Corrado Dalmonego
Nel 1948 i missionari della Consolata arrivarono nella regione amazzonica allâepoca chiamata «Territorio federale del Rio Branco» (lâattuale Roraima). Nel 1965 raggiunsero i territori abitati dagli Yanomami e fondarono la Missione Catrimani. Con uno scopo nuovo: porre fine alla pratica del «vai-e-vieni» (desobriga) e optare per una presenza stabile. Alla luce di una prospettiva «rivoluzionaria»: dimenticare gli atteggiamenti etnocentrici e discriminatori e impegnarsi per il rispetto della diversitĂ e la difesa dei territori indigeni.
La fondazione della Missione Catrimani (1965) presso le comunitĂ di indigeni yanomami rappresentĂČ, da un certo punto di vista, una continuitĂ nel lavoro dei missionari della Consolata accanto ai popoli nativi in Roraima, nellâAmazzonia brasiliana: un impegno missionario ereditato dai religiosi che li avevano preceduti in quel territorio. Da un altro punto di vista, la fondazione rappresentĂČ un gesto di rottura, dovuto al convincimento di un piccolo gruppo di missionari â in primis padre Giovanni Calleri â che tentarono di sostituire la pratica della desobriga (visita sporadica per lâistruzione catechetica e lâamministrazione dei sacramenti) con un nuovo metodo missionario che concretizzava la «scelta preferenziale degli indigeni» e prevedeva la presenza stabile presso le loro comunitĂ .
Quella scelta fu il risultato dellâidea di una «nuova evangelizzazione» da sperimentare in una realtĂ che, a causa dellâisolamento, permetteva di fare unâesperienza pioniera nella prelatura di Roraima.
Una «vera missione» per i missionari della Consolata in Brasile
I missionari della Consolata, membri di un istituto religioso fondato nel 1901 a Torino, approdarono in Brasile nel 1937. Fra le finalitĂ dellâistituto vi sono «lâannuncio della Buona Notizia ai popoli non ancora evangelizzati» e «la collaborazione temporanea con le Chiese parzialmente evangelizzate».
Lâistituto decise di inviare i primi missionari in Brasile allo scopo di cercare risorse umane e sostegno finanziario per il raggiungimento degli obiettivi della congregazione, pensando in modo preminente alle missioni che stavano muovendo i primi passi nel continente africano.
Sin dai primi anni di presenza in Brasile, tuttavia, sorse lâidea di assumere la sfida di un territorio di «prima evangelizzazione» in questo paese sudamericano. Allo stesso modo pensavano, nel loro contesto, anche i missionari della Consolata che lavoravano in Colombia e Argentina. Passata la tragedia della Seconda guerra mondiale, esistendo un certo numero di confratelli a disposizione per nuovi incarichi â a causa dellâespulsione dei missionari italiani dai paesi sotto il controllo inglese e francese â e riconosciuta lâimportanza di assumere un «territorio di vera missione» entro i confini del Brasile, questa ricerca fu intensificata.
I superiori dellâistituto, che risiedevano a Torino, e i responsabili del gruppo dei missionari in Brasile iniziarono le pratiche presso Propaganda Fide, la Congregazione concistoriale (oggi Congregazione per i vescovi) e il nunzio apostolico per realizzare un sogno che consisteva nellâassunzione di un impegno apostolico â un territorio di «missione vera», come si esprimevano nelle loro lettere â che giustificasse le opere intraprese nel Sud del Brasile (seminari, parrocchie e scuole) e offrisse ai nuovi membri brasiliani dellâistituto un campo di azione nella loro terra.
Lâora delle scelte
Tra il 1946 e il 1948 furono prese in considerazione due possibilitĂ . La prima consisteva nellâassumere la prelatura di Rio Branco â fino ad allora affidata ai monaci benedettini â, che il priore, arciabate Placido Stabb, desiderava consegnare a unâaltra congregazione religiosa, adducendo la mancanza di personale e la non corrispondenza della missione agli scopi specifici dellâOrdine. La seconda era di accogliere lâapparente offerta della prelatura di JataĂ (Stato di GoiĂĄs), affidata alle cure pastorali dei sacerdoti agostiniani della provincia spagnola del Santissimo Nome di GesĂč. Questâultima sembrava essere una proposta molto concreta, trattata nei dialoghi tra padre Bisio, superiore delegato del gruppo dei missionari della Consolata in Brasile, e il nunzio apostolico in Brasile. Una breve descrizione della sua persona si trova anche in questo lavoro.
Nel 1946, dalla loro sede in Italia i superiori religiosi valutavano le diverse possibilitĂ a partire dalle informazioni che ricevevano e richiesero a padre Chiomio â stimato fra i missionari per i suoi studi etnologici e cartografici â la stesura di una relazione che descrivesse la situazione delle prelature di JataĂ e Rio Branco, per raccogliere elementi che aiutassero a scegliere il nuovo campo di missione. Di tale relazione Ăš interessante evidenziare lâanalisi della realtĂ e alcuni atteggiamenti che, seppur consigliati facendo riferimento al lavoro con le popolazioni indigene che vivevano nello Stato di GoiĂĄs, potevano essere facilmente applicati anche al contesto del Rio Branco.
I missionari tentavano di suggerire i principi che avrebbero dovuto orientare lâopera di evangelizzazione, azzardando improponibili confronti tra gli indigeni e le popolazioni africane presso le quali avevano precedenti esperienze di evangelizzazione. Nonostante questi limiti, Ăš interessante evidenziare due criteri suggeriti ai missionari che avrebbero intrapreso la nuova missione: la prudenza e lo spirito di adattamento, nei riguardi del lavoro giĂ svolto da altri e a causa del contesto sconosciuto che li attendeva.
La relazione, sebbene segnata da una prospettiva etnocentrica, descrive brevemente il contesto di violenza subita dalle comunitĂ indigene, il cui territorio era stato invaso, e che erano ormai circondate e costrette a fuggire per difendersi e conservare la propria indipendenza Lâautore scrive che i nativi «certamente avranno una lunga serie di fatti consumati in loro danno da gente senza scrupoli» e prosegue indicando una proposta di condotta ai missionari. Questi avrebbero dovuto farsi distinguere, agli occhi dei nativi, dagli altri componenti della societĂ nazionale dedicandosi alla caritĂ , che si sarebbe tradotta in assistenza medica, lavoro e istruzione. Questi mezzi per lâapostolato avrebbero richiesto lo studio della lingua, della cultura e dei costumi, che dovevano essere rispettati, esercitando la tolleranza nel caso di elementi che potevano essere giudicati come negativi.
Allâinizio del 1947, la preferenza dei superiori si orientava sulla prelatura di JataĂ, ma nuovi fatti e, probabilmente, gli effetti di unâimprudenza diplomatica nel trattare questioni burocratiche, impedirono la concretizzazione di quella scelta. Mentre le procedure burocratiche avanzavano lentamente, un gruppo di sette missionari, guidati da mons. Giuseppe Nepote Fus - che era stato amministratore apostolico di Meru (Kenya) ma aveva dovuto abbandonare il paese africano â, sbarcĂČ al porto di Santos (litorale di SĂŁo Paulo) nel luglio del 1947 per assumere un nuovo fronte di missione. La destinazione finale, tuttavia, non era ancora stata definita. Ci vollero molta pazienza, sforzi diplomatici e la rinnovata offerta della prelatura di Rio Branco perchĂ© la destinazione del gruppo prendesse forma, causando un sollievo generalizzato.
Lâarrivo dei missionari e il «malumore» dei Benedettini
Il 14 giugno 1948, il primo gruppo di sette missionari della Consolata arrivĂČ nellâallora Ter...