IL PRIMATO DELLA CONTEMPLAZIONE
Questo scritto nacque con l’intento di rispondere alla confutazione che padre John Fearon aveva fatto dell’analisi «superficiale» del tomismo elaborata da Merton nell’articolo che precede questo. Nel testo, pubblicato dalla rivista trimestrale dei domenicani della provincia di Chicago, Cross and Crown, Merton non fa riferimento diretto a Fearon (scoraggiato al proposito anche dal suo abate James Fox), ma di fatto cerca di rispondere alle critiche di Fearon facendole proprie e spiegando meglio la distinzione tomista fra vita contemplativa e attiva. La vita contemplativa fatta di obbedienza, rinuncia, ritiro, preghiera, intelletto, sforzo e abbandono, è un dono della grazia: «ll deserto non è per tutti. Alcuni di noi devono restare nelle città. Quelli che lo fanno, in obbedienza allo Spirito di Dio, constateranno che la loro santità non ne risentirà in alcun modo, e scopriranno che anche nella vita attiva può e deve esserci un elemento di contemplazione».
La vita cristiana è un continuo sforzo di raggiungere la beatitudine mediante l’unione con Dio, un’unione d’amore in cui Dio viene visto faccia a faccia, come realmente è. Tutto il resto, ogni interesse diverso da quest’unica passione divorante per Dio, è secondario. Dio stesso è il fine per cui siamo stati creati, e altre realtà, altre preoccupazioni, possono essere considerate importanti soltanto nella misura in cui ci aiutano ad arrivare all’unione con lui. Quando smettono di portarci più vicino a Dio, diventano dannose. Occorre quindi respingerle, o altrimenti la nostra vita spirituale ben presto ristagnerà, perché la corrente viva della carità avrà cessato di trasportarci verso il nostro unico fine.
Gesù lo ha detto con chiarezza ai suoi discepoli, la notte prima della sua crocifissione. Ha detto loro che la vita eterna è conoscere l’unico vero Dio e Gesù Cristo, che egli ha inviato (cfr. Gv 17,3). Ha detto loro che a questa conoscenza si perviene con l’amore, con l’obbedienza alla sua volontà, con la sottomissione alla guida del Paraclito, lo Spirito d’amore, che procede dal Padre e dal Figlio. Questo Spirito d’amore li avrebbe inevitabilmente separati dal mondo per unirli al Verbo. Perché lo Spirito Santo sarebbe venuto a dimostrare al mondo la sua colpa «riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio» (cfr. Gv 16,8). Dal momento che nessun uomo può servire due padroni, doveva per forza di cose esserci una inconciliabile spaccatura tra il mondo e Cristo. I discepoli di Cristo, che tramite lui possono giungere all’unione con il Padre nell’amore e nella conoscenza, devono seguire le sue orme, portando la croce. Questo esige da loro lo Spirito Santo, come pegno della loro figliolanza divina: «Perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio» (Rm 8,13-14). Perciò tutti coloro che obbediscono allo Spirito Santo e compiono la volontà di Cristo verranno riempiti dello «Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi» (Gv 14,17). Così san Paolo può riassumere la vocazione cristiana: «Illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo, affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata […] la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore» (Ef 3,9-11). E l’Apostolo aggiunge:
Per questo io piego le ginocchia davanti al Padre […] perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito. Che il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio. (Ef 3,14-19)
Il termine «contemplazione» non si trova, nella nostra accezione moderna, né nei vangeli né in san Paolo. Purtuttavia, non c’è ideale contemplativo più elevato dell’ideale di san Giovanni o di san Paolo. Essere attirati dallo Spirito Santo all’unione con il Verbo, Cristo Gesù, e, in virtù di questa adozione divina, partecipare delle infinite ricchezze di vita, visione e amore racchiuse nella Santa Trinità: questo è l’ideale cristiano. Nella sua perfezione, nella visione beatifica, è una vita di contemplazione al più alto grado. Tutta la vita cristiana è strutturata in vista di questa contemplazione di Dio in Dio. La contemplazione è la ragione della nostra esistenza.
Tra i mezzi che Dio ha stabilito a tal fine, c’è la predicazione. La predicazione riveste un ruolo essenziale nell’economia cristiana. Come il Padre ha mandato Cristo, così Cristo manda i suoi discepoli nel mondo (cfr. Gv 17,18) per predicare a tutte le genti (cfr. Mt 28,19). Tuttavia, la predicazione rimane un mezzo per un fine. Il fine è sempre l’unione delle anime con Dio, l’unione della chiesa con Dio nella visione e nell’amore.
Un grande poeta moderno, Paul Claudel, esprime in modo semplice ed efficace questa fondamentale verità quando dice: «Il gran bisogno dell’uomo moderno è la preghiera, la vita interiore, la ripresa ad ogni costo delle relazioni con Dio. Moriamo tutti di fame e di sete». E, anticipando le obiezioni dei molti che ritengono che una profonda vita interiore di preghiera sia qualcosa a cui possono osare di aspirare solo pochi santi, prosegue:
Abbiamo il diritto e il dovere di profittare dei santi, di non lasciarli soli, di utilizzare le loro esplorazioni e le loro scoperte, [...] Per penetrare nella vita interiore, non possiamo restare con lo sguardo a terra. Non dobbiamo perder di vista la stella.
Che cosa insegna san Tommaso riguardo alla perfezione cristiana? Nient’altro che ciò che abbiamo appena esposto per sommi capi. Ogni essere è perfetto nella misura in cui realizza il fine per cui è stato creato. Ma il fine per cui l’uomo è stato creato è l’unione con Dio, mediante la carità. Quindi la perfezione cristiana si misura sulla carità. Più amiamo Dio, più intimamente siamo uniti a lui e maggiormente perfette sono le nostre vite. La perfezione dell’uomo è una completa e perfetta unione di tutte le sue capacità e di tutto il suo essere con Dio: totaliter Deo inhaereat. Siamo santi quando non viviamo più per noi stessi ma soltanto per Dio.
Per aiutare gli uomini a giungere a questa unione stretta con Dio, la chiesa ha istituito uno stato esteriore di perfezione, caratterizzato dalla solenne e pubblica consacrazione al perseguimento di tale unione. Questo stato di perfezione è quello che chiamiamo lo stato religioso. Entrando nei monasteri e nei conventi, gli uomini e le donne cercano di esporsi più da vicino all’influenza dello Spirito Santo, ritirandosi dal mondo e dalle sue legittime soddisfazioni al fine di darsi più liberamente e più completamente all’unica cosa cosa che conta veramente: la ricerca di Dio. In tal modo, si sforzano di raggiungere la maggior perfezione che si possa ottenere in questa vita – una perfezione che non è assoluta,...