Ho imparato dagli ultimi
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La mia vita, le mie speranze

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Ho imparato dagli ultimi

La mia vita, le mie speranze

About this book

Da giovane venne ammesso «con riserva» in seminario: il suo sogno era diventare medico. Oggi è uno dei cardinali più noti al mondo. Mentre studiava teologia negli Stati Uniti si manteneva battendo a macchina le tesi dei suoi compagni. Ora è considerato uno dei porporati più stimati da papa Francesco. Il suo curriculum vitae parla di vari incarichi di prestigio in Vaticano, ma per lui tutto questo è solo servizio: «Mi stupisco ogni volta che mi chiamano "Eminenza". Per me io resto sempre padre Chito, un semplice prete per i poveri».Conoscere Luis Antonio Tagle genera continue sorprese. I suoi incontri e pronunciamenti testimoniano una vicinanza radicalmente evangelica agli emarginati, ai più disprezzati, agli esclusi. Che per questo cardinale d'Asia sono stati e sono tuttora maestri di vita. Dall'infanzia a Manila all'impegno come prete di periferia e teologo stimato da Joseph Ratzinger. Dalle prese di posizione di vescovo vicino a chi soffre al confronto con le grandi questioni del nostro tempo (la globalizzazione, l'ecologia, il dialogo con le altre fedi…): in queste pagine Tagle offre la sua lucida visione del mondo e del cristianesimo. E delinea uno stile di presenza cristiana per il nostro tempo: «La Chiesa non può essere sempre nostalgica dei "bei giorni passati". Deve trovare i modi per proclamare che il Vangelo è adatto per questo mondo, non per quello di un'altra epoca».

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Information

1

FIGLIO DEL POPOLO
«Mi stupisco ogni volta che una guardia svizzera in Vaticano mi chiama “Eminenza”. Io, cardinale? Per me io resto sempre padre Chito, un semplice prete per i poveri, chiamato dal Signore per servire».
Non è falsa modestia, quella del «baby-cardinale» Tagle (per alcuni anni è stato il secondo porporato più giovane del Sacro Collegio). È realmente un atteggiamento naturale del vescovo Chito (abbreviazione di Luisito; egli stesso usa questo nomignolo nel suo account Twitter) quello di mettersi a disposizione dell’altro nella massima semplicità, senza formalismi di sorta. Uno stile che affonda le sue radici nella sua storia personale, di uomo cresciuto in una famiglia del popolo, molto semplice e profondamente religiosa.
Oggi il cardinale Tagle è un personaggio di caratura internazionale, guida la Chiesa in una delle metropoli più popolose del mondo, è teologo di notorietà internazionale (ha studiato negli Usa e in Italia, ha ottenuto lauree e dottorati honoris causa in varie parti del globo) ed è conferenziere apprezzato e richiesto in diversi Paesi, dal Forum di Davos al Sinodo dei vescovi. Ma da piccolo è cresciuto in un ambiente profondamente intriso di una fede popolare semplice, fatta di preghiere tradizionali, di devozione alla Madonna… Un tratto ineliminabile della sua storia, che ha segnato pure il suo stile pastorale.
Non si capisce infatti la personalità di Tagle se non partendo, come detto, dalle radici familiari e culturali di quest’uomo, strettamente connesse con l’identità filippina, a sua volta segnata da un forte radicamento popolare del cristianesimo, insieme a uno spiccato senso della famiglia e dell’accoglienza.
Oggi Tagle è da molti considerato uno dei cardinali più vicini allo stile e al magistero di papa Bergoglio, come i sopracitati incarichi assegnatigli da Francesco fanno capire. Non stupisce che ciò accada: si nota in lui, tanto nel modo di fare come nelle parole, la medesima semplicità e affabilità nei rapporti con le persone che abbiamo imparato ad apprezzare nel papa argentino.

***


Ci racconti qualcosa dei suoi genitori e della famiglia…
La famiglia di mia mamma era originaria della zona di Dagupan, nella provincia di Pangasinan, nel nord dell’isola di Luzon. Mia madre, Milagros Gokim, ha antenati cinesi. Suo padre, da ragazzo, venne dalla Cina con uno zio per affari, ma poi rimase nelle Filippine, qui si sposò e non tornò più in Cina. Mia nonna materna, a sua volta, era di sangue misto filippino-cinese.
La famiglia d’origine di mia mamma era numerosa, con nove figli. Mio nonno lavorava per un’azienda di sigari, mia nonna si prendeva cura della casa. Erano grandi lavoratori.
La famiglia di mio padre era originaria di Imus, cittadina nella provincia di Cavite, situata a 25 chilometri a sud di Manila. Mio papà, Manuel senior, perse suo padre da piccolo, durante l’occupazione giapponese, a causa dello scoppio di una bomba. Anche mio padre rimase ferito. Ancor oggi ha in corpo alcuni frammenti di quell’ordigno. Mia nonna paterna portò avanti la famiglia di mio padre, con cinque figli, ovvero quattro figlie e un figlio, mio padre. Di mestiere faceva la cuoca in un ristorante con sua sorella. Mia nonna lavorava molto intensamente in quanto era da sola. Spesso, a causa delle sue responsabilità nel ristorante, era assente dai pasti in famiglia. In seguito fu colpita da un tumore allo stomaco a causa del quale morì all’età di 69 anni.
Papà e mamma erano persone normali e semplici. Entrambi lavoravano in banca, alla Equitable Bank: si sono conosciuti sul posto di lavoro. Si sono sposati il 26 agosto del 1956. Io sono nato un anno dopo, il 21 giugno del 1957, in un ospedale di Manila. Ma come famiglia abbiamo sempre vissuto a Imus. Un anno dopo di me nacque mia sorella Irma, che però morì pochi minuti dopo la nascita. Mio fratello Manuel junior è nato nel 1962. Da alcuni anni abita negli Stati Uniti. Dopo di lui mia madre ebbe una quarta gravidanza che però non arrivò a termine.
Come era abitudine in diverse famiglie filippine in quel tempo, la famiglia di mio padre viveva nella nostra stessa casa: c’erano la mia bisnonna paterna, che morì a 93 anni, la mia nonna paterna, i fratelli di mio padre (solo la sua sorella più grande si era sposata e aveva avuto tre figli) e cinque cugini. Vivendo tutti insieme, abbiamo imparato come essere disciplinati nell’uso del tempo e dello spazio, come condividere le cose e come sacrificarci per il bene comune.


Pensa sia rimasto qualcosa di «cinese» in lei, a partire dalle sue origini e dalla sua storia familiare?
Credo che alcuni tratti cinesi siano passati in me, anche se mio nonno ha trascorso la maggior parte della sua vita nelle Filippine. Ricordo alcune pratiche che egli osservava, come mettere un po’ di cibo e alcuni bastoncini di incenso davanti alla fotografia della madre morta per onorarne la memoria, oppure usare petardi e fuochi d’artificio per accogliere il nuovo anno, oppure, ancora, offrire molto cibo durante i pasti in famiglia. Secondo l’usanza cinese si può e si deve controllare le spese su altre cose, ma non sul cibo! A parte queste abitudini, dal nonno cinese abbiamo imparato il rispetto per gli anziani e la lealtà alla famiglia, la semplicità di vita che significa focalizzarsi sull’essenziale, il valore dell’educazione e un lavoro compiuto in maniera etica basandosi sulla motivazione, sulla diligenza e sulla fedeltà. Quando avevo nove anni, mio nonno mi chiese di imparare il cinese, dal momento che nessuno dei suoi nipoti lo parlava. Per un’estate intera andai a lezione privata da una donna cinese, imparando sia il mandarino che il Fukien. I miei compagni di corso erano più giovani di me, così io ero più avanti di loro durante le lezioni. Ma non avevo possibilità di praticare il cinese a casa o nelle normali lezioni di scuola, quindi smisi di andare a lezione. Ora rimpiango di non aver continuato a imparare la lingua cinese.


Dove è andato a scuola?
I miei genitori mi mandarono a studiare in una scuola retta dai Missionari di Scheut, originari del Belgio, i membri della congregazione del Cuore immacolato di Maria nella città di Parañaque, a circa 15 chilometri dalla nostra casa. Erano preti molto semplici, avevano uno stile di vita davvero umile. Si concentravano sulle cose importanti per l’educazione cristiana dei giovani. Non volevano che spendessimo molti soldi, ci dicevano di risparmiare il denaro per le nostre famiglie. Così noi non compravamo i libri scolastici, ma ci venivano prestati gratuitamente dalla scuola: ogni studente doveva avere cura dei propri libri, perché alla fine li avrebbe dovuti restituire; chi li avesse conservati con cura, non li avrebbe pagati. Questo stile insegnatomi dai padri di Scheut mi è stato molto utile per capire il significato del «custodire», anche in riferimento alla questione dell’ecologia: l’uomo è incaricato di custodire una cosa che non possiede, ma che deve passare in eredità ad altri.
Nei missionari belgi noi alunni vedevamo tanta semplicità, una povertà messa in pratica, l’attenzione ai poveri e una chiara visione delle priorità della vita. Non ci concedevano distrazioni; ci abituarono a guardare alla strada dritta davanti a noi. Di un missionario belga mi ricordo in modo particolare: parlo di padre Paul Foulon, mio insegnante e anche preside della scuola. Era molto severo, ma anche un uomo saggio. Da piccoli avevamo paura di lui, persino la sua ombra ci incuteva soggezione; eppure crescendo abbiamo verificato quanto amasse i suoi studenti. Ora si è ritirato in Belgio ma siamo ancora in contatto.


Quali, tra gli insegnamenti che ha ricevuto da piccolo dai suoi genitori, considera ancor oggi più significativi?
I miei nonni e i miei genitori mi hanno instillato uno spirito di dedizione, insegnandomi a lavorare sodo: «Quando fai qualcosa, falla bene» era uno dei loro motti. Un’altra loro affermazione che ricordo è questa: «Sii un buon vicino per gli altri… E quando c’è gente che ti chiede qualcosa, se puoi, aiutala!». Soprattutto, però, i miei genitori mi hanno insegnato la fede. Avevano sofferto molto durante la guerra. Come detto, il mio nonno paterno morì per l’esplosione di una bomba, nel 1944. Lasciò mia nonna a occuparsi di mio papà e delle altre quattro figlie. Mio padre, che all’epoca aveva 14 anni, rimase ferito. Mia nonna lavorava molto duramente in un piccolo ristorante di proprietà di sua sorella per poter mandare i figli a scuola.
La famiglia di mia mamma si era trasferita da un’altra parte perché cercavano un posto più sicuro: infatti suo papà, in quanto cinese, non era ben visto dalle autorità giapponesi di allora. Tuttavia – grazie alla loro fede in Dio e all’aiuto vicendevole – riuscirono a sopravvivere. Quando eravamo piccoli, ci raccontavano molte storie sulla guerra e io ero assai sorpreso del fatto che fossero stati capaci di cavarsela in tempi così difficili. So, per esperienza personale, che la fede e l’aiuto reciproco possono rendere forti le persone: l’ho imparato da loro. Complessivamente, posso dire che l’itinerario della mia fede è stato un cammino normale, grazie alla famiglia, ai contatti con i preti della parrocchia e ai missionari della scuola.


Com’è stata la sua educazione religiosa?
Ho respirato la fede anzitutto in famiglia. I miei genitori erano molto impegnati nella Chiesa. Sono stato educato a valori semplici: la fede, la famiglia, l’amore per la Chiesa. Da mia mamma ho imparato a pregare, recitando le preghiere semplici della tradizione cristiana: il Padre Nostro, l’Ave Maria, il rosario… A tre anni conoscevo le preghiere principali ed ero in grado di recitare il rosario da solo.
Nel nostro vicinato esisteva una tradizione: la statua della Madonna di Fatima veniva portata da una casa all’altra, restava in una casa per una settimana e quella famiglia doveva recitare il rosario; alla fine della settimana, la statua passava in un’altra famiglia. Mi ricordo che le famiglie invitavano sempre me a guidare la preghiera, sebbene fossi molto piccolo. A me la cosa piaceva, perché così uscivo di casa ed entravo nelle abitazioni degli altri. Inoltre, dopo il rosario le famiglie mi davano la merenda, un pezzo di torta o un dolce, e questo naturalmente mi faceva un grande piacere.
Crescendo, via via, i miei familiari mi hanno mostrato come diventare parte attiva della comunità cristiana. La nostra presenza nella vita della comunità si basava principalmente sulla partecipazione alla Messa domenicale e alle solennità, cui prendevamo parte regolarmente. Mio papà era membro dei Cavalieri di Colombo1 mentre mia mamma faceva parte della Lega delle Donne cattoliche.2 Entrambe queste organizzazioni promuovevano delle iniziative di carità a favore dei poveri.


Nella sua infanzia e adolescenza c’è stata qualche figura religiosa che l’ha particolarmente colpita?
Nella nostra parrocchia «Nuestra Señora del Pilar» a Imus, quando ero ragazzo – avevo 13 o 14 anni – c’era un giovane prete, si chiamava padre Redentor Corpuz. La nostra casa si...

Table of contents

  1. INTRODUZIONE
  2. 1 FIGLIO DEL POPOLO
  3. 2 UN MEDICO IN MENO, UN PRETE IN PIÙ
  4. 3 PRETE PER IMPARARE DAI POVERI
  5. 4 LA TEOLOGIA, IL SECONDO AMORE
  6. 5 MANILA, FILIPPINE
  7. 6 L’ASIA DI OGGI E DI DOMANI
  8. 7 L’ECOLOGIA E LA «VENDETTA» DELLA LAUDATO SI’
  9. A MO’ DI CONCLUSIONE. TAGLE VISTO DA VICINO
  10. INDICE DEI NOMI
  11. NOTA BIBLIOGRAFICA