NELLE CARCERI DI MAO
Diario di un vescovo
Una nomina travagliata
Un giorno, all’incirca nel novembre del 1950, mi fu recapitata una raccomandata proveniente da Nanchino (Nanjing) e indirizzata alla «Chiesa cattolica, via Suen Man, 25, città di Shiqi, distretto di Zhongshan, provincia del Guangdong». La lettera era intestata a Domenico Tong. Firmai la ricevuta pensando: «Dev’essere una lettera per me, erroneamente indirizzata a Domenico Tong».
Aprii la busta. La lettera proveniva dall’internunzio apostolico, monsignor Antonio Riberi, che a quel tempo era a Nanchino. All’estremità superiore della lettera erano stampate in rosso le parole «Secretum Sancti Officii» (Segreto del Sant’Ufficio). Il testo diceva: «Papa Pio XII ha deciso di nominare Domenico Tang amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Canton (Guangzhou) coi diritti e i doveri di un vescovo residenziale. Spero che lei voglia assecondare il desiderio del Santo Padre accettando con generosità l’incarico offertole, soprattutto tenuto conto delle attuali e speciali circostanze venutesi a creare in seguito all’occupazione della Cina da parte dei comunisti».
Dopo aver letto la lettera, non soltanto rimasi sorpreso per il suo arrivo improvviso, ma immediatamente fui preso dalla paura: era una responsabilità veramente grave.
Il giorno seguente mi recai a Macao per incontrarmi col mio superiore, il padre gesuita Anacleto Dias. Gli spiegai il motivo della mia venuta e gli mostrai la lettera. Dopo averla letta, mi disse: «La Santa Sede ha bussato alla tua porta soltanto ora. Il papa ha già fatto la stessa proposta ad alcuni sacerdoti, ma loro hanno rifiutato; ora la fa a te. Ora sei tu che ci devi riflettere e prendere una decisione!».
I miei pensieri in proposito erano contrastanti: da un lato, ero riluttante ad accettare la nomina, perché noi gesuiti di solito non diventiamo vescovi; ma d’altro lato mi ricordai del fatto che molti vescovi stranieri erano stati allontanati dalla Cina continentale dal «governo del popolo» e che non c’era nessun vescovo cinese nella Cina meridionale. Se anch’io avessi rifiutato di diventare vescovo, molto probabilmente non ci sarebbero stati più vescovi nella Cina meridionale; e questa non sarebbe stata una grande perdita per la Chiesa? Per questi motivi mi era difficile prendere una decisione, così dissi che volevo prima vedere padre Elia Marcal, che era il superiore gesuita di Zhaoqing e anche il vicario generale per quella parte della diocesi di Macao.
Tuttavia, padre Dias aggiunse: «Prima che la Santa Sede chiedesse il tuo consenso, si erano già fatte delle indagini a Roma e si era ottenuta l’approvazione del padre generale, il quale è al corrente della vicenda ed è d’accordo su tutto». Continuò poi dicendo: «Cerca di esaminare seriamente e davanti a Dio quale decisione prendere. Scrivi una lettera a monsignor Riberi per comunicargli che intendi ritirarti in solitudine per meditare sulla questione e che, dopo aver debitamente riflettuto, gli manderai una risposta ufficiale».
Mentre uscivo dalla camera di padre Dias pensai fra me e me: «Devo chiedere consiglio a un altro sacerdote anziano e sentire la sua opinione in proposito, prima di decidere».
Andai subito nella camera di padre Vincenzo Leung Wai-to. Dopo aver letto la lettera, padre Leung disse: «Nella situazione attuale, che si presenta tanto difficile, sarà duro essere vescovo di Canton. Monsignor Antonio Fourquet ha tentato di far nominare vescovo il gesuita Pietro Chan, ma ha poi accantonato l’idea. In seguito, ha consacrato vescovo Bonaventura Yeung Fuk-tseuk, ma non gli ha mai dato alcun potere. Alla morte di monsignor Yeung la Santa Sede chiese a padre Tsoi e ad altri di diventare vescovo di Canton, ma loro non vollero accettare. Adesso lo chiedono a te. Penso sia una bella occasione che un vescovo cinese possa prendere la responsabilità della diocesi. Non perderla». Con queste parole, padre Leung mi spinse ad accettare.
Il mio cuore era ansioso. Tornai a Shiqi per un ritiro di otto giorni, per capire quale fosse la volontà di Dio. Non appena mi fui inginocchiato davanti al santissimo Sacramento, mi sentii commosso fino alle lacrime. Pensai che in quel preciso momento storico, sotto il governo dei comunisti, la situazione era decisamente brutta e le circostanze estremamente difficili. La diocesi copriva una vasta area, che comprendeva quindici distretti. I rapporti erano tesi: sacerdoti e suore non si erano armoniosamente integrati con la popolazione locale. La diocesi era povera. Tuttavia, essendo un gesuita, pensavo che avrei proprio dovuto sottomettermi alla volontà del papa. Considerai anche i bisogni della Chiesa del tempo. Dopo un violento conflitto interiore, presi una decisione definitiva: accettare la nomina papale.
Finito il ritiro, scrissi, in latino, una lettera di risposta a monsignor Riberi. In essa erano riportati i seguenti contenuti: «Caro monsignor Riberi, ho accolto la decisione di papa Pio XII di nominarmi amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Canton con rispetto e gratitudine. Tuttavia, sapendo che il territorio di quella diocesi è esteso e fittamente popolato, e che io mi sento estraneo in una diocesi i cui abitanti sottostanno ora a un regime comunista, mi è molto difficile accettare tale incarico. Ma so di essere un gesuita, e devo pertanto sentire il dovere di sottomettermi di buon grado al volere del papa. Per questo motivo ho deciso di accettare la nomina papale, che mi vuole amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Canton e vescovo titolare di Elatea. Con tutta sincerità chiedo di cuore allo Spirito Santo di assistermi e di farmi adempiere degnamente questo incarico. E chiedo a lei di pregare per me».
Tornai a Macao e mi incontrai con padre Dias. Mi chiese della mia nomina a vescovo e io gli risposi che avevo deciso di accettare la proposta del papa.
In seguito, tramite padre Leung, mi giunse improvvisamente un espresso inviatomi dal visitatore, il padre gesuita Paolo O’Brien, in cui mi chiedeva di recarmi immediatamente a Macao per incontrarlo. A quel tempo, egli viveva e lavorava a Hong Kong ed era venuto a Macao appositamente per parlarmi. Mi disse: «Mi è giunta voce che stai per diventare vescovo di Canton, è vero?». Io risposi: «Sì». Continuò: «È meglio, per il tuo bene, non accettare. La diocesi di Canton è molto povera e la situazione è complicata: non potrai fare nulla. È meglio rifiutare». Gli risposi che ormai avevo accettato, avevo dato il mio consenso, e che non potevo tirarmi indietro proprio adesso. «Perché non me ne hai parlato prima?», mi chiese. «Perché era un segreto del Sant’Ufficio», ribattei. Continuò: «Ah, siamo già a questi livelli. Mi era giunta voce della questione da parte di monsignor Riberi quando arrivai a Nanchino, ma non pensavo che fosse già tutto stabilito. Adesso, dal momento che è già tutto predisposto, non resta più nulla da dire in proposito».
Gli chiesi di pregare per me e me ne tornai immediatamente a Shiqi.
Ero diventato piuttosto irrequieto. Dopo pochi giorni, mi fu recapitata una lettera di monsignor Riberi, in cui si diceva: «So che lei ha accettato la nomina papale. Parta immediatamente per Canton senza dirlo a nessuno. Si stabilisca nella casa dei gesuiti situata al n. 225 di via Yuet Sau Pak. Se il superiore le chiedesse il motivo della sua presenza a Canton, risponda semplicemente che le massime autorità le hanno chiesto di svolgere un incarico nella zona. Aspetti in via Yuet Sau Pak l’arrivo della bolla papale».
Sbrigai tutte le faccende diocesane lasciate in sospeso nel distretto di Zhongshan. A quel tempo ero vicario foraneo di Zhongshan, parroco di Shiqi, direttore della scuola elementare Po Ling e responsabile della scuola materna Pui Ki.
Affidai la parrocchia di Shiqi a padre Matteo Tse Hau-pei, che sarebbe poi morto in un campo di lavoro nella provincia del Qinghai.
Tse Yu-choh divenne direttore della scuola elementare Po Ling (sarebbe poi morto in prigione soffocato dai bastoncini), mentre Kwong Sz-ying si prese la responsabilità della scuola materna Pui Ki. Fu proprio in quel periodo che venne arrestato padre Simone Wong Lai-sau del villaggio di Xiaolin.
Temendo di essere a mia volta arrestato, trovai delle scuse per recarmi a Canton per un breve periodo e, senza salutare nessuno, raggiunsi in segreto la mia nuova residenza per attendervi la nomina.
Quando arrivai a Canton, la notte del 30 dicembre 1950, nella zona di via Yuet Sau Pak era stata tolta l’elettricità . Presi un risciò per raggiungere il posto. La polizia mi fermò e mi chiese perché mi stessi recando a Canton. Li ingannai con quattro frottole, raccontando che lavoravo in una scuola e che i libri che avevo con me erano unicamente per uso privato.
Giunto a Canton, mi diressi immediatamente da monsignor Gustave Deswazière, il quale era già al corrente di tutto. Disse che mi avrebbe fatto sapere dell’arrivo della bolla papale. In seguito, discutemmo un po’ circa i problemi dei sacerdoti diocesani e di tante altre faccende, di carattere finanziario e di altro genere, legate alla diocesi.
Circa un mese dopo il mio arrivo a Canton, monsignor Deswazière mi consegnò la bolla della nomina. Mi disse di spostare immediatamente il mio domicilio da via Yuet Sau Pak al vescovado di Shek Shat.
Effettuato lo spostamento di domicilio, mi trasferii a Shek Shat.
La consacrazione a vescovo
All’inizio volevamo celebrare la cerimonia di consacrazione a Shanghai, dal momento che vi risiedeva un discreto numero di vescovi, fra i quali mons. Ignazio Gong Pinmei, mons. Simone Zhu Kaimin e mons. Giacomo Walsh. Tuttavia, temevamo che il governo comunista mi avrebbe poi impedito di tornare a Canton. Per questo motivo, padre O’Meara scrisse da Canton al superiore gesuita di Hong Kong affinché richiedesse a Roma una dispensa, in modo che la cerimonia potesse essere officiata anche da un singolo vescovo. Mandammo anche un espresso a Nanchino a monsignor Riberi, chiedendogli lo stesso permesso. Nel medesimo giorno giunse a Canton il consenso di entrambi.
Il 15 febbraio 1951 il governo chiuse i confini della provincia del Guangdong. Coloro che avessero avuto intenzione di recarsi a Hong Kong e a Macao avrebbero dovuto inoltrare la richiesta di appositi permessi. Temevamo che il governo comunista intendesse incarcerare o espellere dal Paese monsignor Deswazière. I sacerdoti di Canton mi esortarono a farmi consacrare il più presto possibile. Pertanto, si portarono a termine in breve tempo i preparativi per la cerimonia, che venne celebrata il 13 anziché il 19 febbraio.
Quel giorno, la cerimonia di consacrazione fu tenuta nella cappella situata al primo piano della residenza vescovile da monsignor Deswazière. Suoi concelebranti furono il vicario generale della diocesi di Canton, padre Andrea Chan Yik-san, e padre Gioacchino ...