Bordo del mistero
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Bordo del mistero

Aver fede nel tempo dell'incertezza

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Bordo del mistero

Aver fede nel tempo dell'incertezza

About this book

Il cristianesimo è una faccenda che riguarda essenzialmente la gioia, la felicità di vivere sotto lo sguardo di un Dio che esiste in quanto bontà.E invece, quando si parla di Chiesa, in molti si immaginano «uomini anziani vestiti in modo strano che dicono alla gente come si deve comportare a letto», come annota, con il suo tipico humour britannico, Timothy Radcliffe.Per tale ragione è stato scritto questo libro: per spiegare che nei nostri giorni incerti, segnati dalla paura del terrorismo, dalla sfiducia verso il futuro, da una crisi economica che sembra scartare intere popolazioni, l'annuncio del Vangelo può risuonare, come duemila anni fa, in tutta la sua freschezza. Perché la vicenda di Gesù ha a che fare con le nostre aspirazioni più profonde: il desiderio di essere amati, il sogno di felicità che ci rende inquieti.Incontrando i cristiani in Iraq, testimoni di speranza dentro le violenze dell'Isis, dialogando con i dubbi e gli slanci dei giovani di Londra, confrontandosi con l'attuale stagnazione dell'economia, attingendo al carisma di Domenico, «il santo che amava bere e fare chiasso», Radcliffe ci accompagna alla scoperta di una fede che è sempre una sorpresa, una finestra sul mistero per il quale siamo stati creati. E che ci attende per farci sentire a casa.

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Information

I - CERCARE LA SPERANZA
NELL’ANGOSCIA
SEDERSI ACCANTO E OFFRIRSI
Abbiamo bisogno gli uni degli altri per tener viva la nostra speranza nel domani. Oggi ci troviamo in mezzo a una crisi economica tale, che significa per moltissimi di noi una ridotta prospettiva di lavoro nell’immediato futuro. E quel che è peggio è che abbiamo davanti l’incubo di una devastante crisi ecologica che potrebbe letteralmente uccidere milioni di persone, ma ci manca la volontà politica di affrontarla, come ha ricordato al mondo lo stesso papa Francesco nell’enciclica Laudato si’.6 Che ne sarà del nostro pianeta quando i giovani di oggi avranno la mia età? Molti evitano di affrontare la domanda e preferiscono mangiare, bere e divertirsi, quasi fingendo che il futuro non arrivi mai. Ecco, questa è una forma di disperazione.
Di fronte a simili sfide le generazioni devono darsi speranza reciprocamente. Le persone più anziane devono offrire speranza a quelle più giovani credendo nel futuro. E i giovani devono offrirne ai più vecchi, perché rappresentano il loro futuro. Io amo la parola fiducioso.7 Viene dal latino confido, che significa «credere insieme».
Vorrei parlare di un mio giovane amico, chiamiamolo John. La sua è la storia di una persona che ha ricevuto e ha dato speranza. John venne cacciato da scuola perché faceva uso di droga. Ben presto il mondo intorno a lui crollò. Era disperato. I suoi genitori decisero di mandarlo in vacanza per tirarlo su di morale. Sua madre andò in un’agenzia turistica per comprare i biglietti del viaggio e, quando tornò indietro, trovò una folla di persone radunate nella strada. In mezzo, vi era suo figlio. John si era buttato dal settimo piano.
La madre mi telefonò a Oxford dall’ospedale di Londra per chiedermi di pregare, visto che a suo figlio non restava molto da vivere. Mi offrii di andare da loro e lei rispose che era inutile, dal momento che John sarebbe morto nel giro di un’ora. Però io ci andai comunque: sapevo che lei aveva bisogno di qualcuno al suo fianco. Quando arrivai, John era ancora vivo. Il dottore mi disse che la sua temperatura corporea stava lentamente scendendo. Aggiunse che quando fosse arrivata a un certo livello, lui probabilmente sarebbe morto nel giro di una ventina di minuti. Presi la mano di John e gli dissi che stavamo pregando per lui. Si era rotto ogni osso del corpo, gli era scoppiato un polmone e gli si era spezzato lo stomaco, ma lui fece comunque un segno con la mano. E alla fine scrisse, con una grafia molto aggraziata: «Anch’io posso pregare».
Quindi accadde qualcosa di straordinario. La temperatura ricominciò a salire. John riuscì a sopravvivere. Ci vollero sei mesi prima che potesse ricominciare a camminare. Trascorse la maggior parte del tempo con addosso leggere bende di seta, mentre il suo corpo stava guarendo. Alla fine, si ristabilì. Si sposò l’anno seguente. Oggi è un artista di successo. In seguito, pregammo insieme. Quando gli dissi che stavamo pregando per lui, lui iniziò a vivere, e quando ci disse che anche lui stava pregando, noi iniziammo a sperare. Ma qual era la base della nostra speranza? Come possiamo credere che Dio ci darà un futuro quando non riusciamo a immaginarlo, quando non riusciamo a trovare un lavoro o abbiamo fallito la relazione con la persona che più amiamo?
Vorrei condividere un’altra esperienza, che ho vissuto in Ruanda, all’inizio dei disordini in quel Paese. Fu uno dei momenti più importanti della mia vita e ha trasformato la mia comprensione di che cosa significhi sperare.
Dovevamo arrivare in automobile nella zona nord del Paese per visitare le nostre suore che lì si stavano prendendo cura dei profughi. L’ambasciatore belga ci raggiunse e ci avvisò che la violenza cominciava a sconvolgere il Paese: per questo motivo avremmo dovuto restare a casa. Ma noi eravamo giovani e pazzi; così andammo verso i posti di blocco, che erano stati allestiti per fermare chiunque stesse lasciando la capitale. E ci trovammo in mezzo al caos. Fu un giorno terribile, perché dovemmo uscire dalla macchina per affrontare gruppi di ribelli e soldati che impugnavano pistole e brandivano machete. Pensai che non saremmo sopravvissuti fino a sera. Il peggio fu quando visitammo un ospedale pieno di bambini mutilati da mine anti-uomo. Ricordo un bimbo che aveva perso entrambe le gambe, un braccio e un occhio; suo padre era seduto al suo fianco e piangeva. Andai fuori dalla stanza e cominciai a piangere anch’io. Allora un altro bambino, con una gamba sola, saltellò vicino a me per consolarmi. Non aveva nemmeno una gruccia cui appoggiarsi.
Quindi andammo a visitare le suore. Sapevo che la gente si aspettava che io pronunciassi qualche parola, ma cosa potevo dire? Avevo attraversato più sofferenza in quel giorno che in tutta la mia vita precedente. Ricordai allora che Gesù ci aveva lasciato qualcosa da compiere in sua memoria. Potevamo ricordare la notte prima della sua morte, il momento più buio di tutta la storia umana. Uno dei suoi amici lo aveva tradito e il suo prediletto Pietro stava per rinnegarlo. E la maggior parte degli altri sarebbero fuggiti.
Quando tutto sembrava perduto, senza alcun futuro, egli compì quel gesto straordinario. Mentre stava cenando con i suoi amici, prese il pane e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi». Quando l’unico futuro sembrava essere la croce, egli fece quell’atto pazzo, generoso e pieno di amore. Questa è la base della nostra speranza. Ogni volta che ci riuniamo come comunità per l’eucaristia, noi torniamo a quel momento buio e a quell’inaspettato dono di futuro. L’Ultima Cena sembrava la fine, il pasto conclusivo; fu invece l’inizio, la prima eucaristia.
Gesù compì due azioni straordinarie. Prima di tutto diede ai discepoli spazio e tempo. Egli era appunto con loro. E, in secondo luogo, diede loro sé stesso. Ogni amorevole speranza, ogni amore fiducioso ha bisogno di entrambi questi aspetti, il dono dello spazio e il dono di sé. Questo è quel che noi, persone più anziane, diamo ai giovani e quello che i giovani possono offrirci. Prendiamoci cura gli uni degli altri. Gesù offrì ai suoi discepoli spazio e tempo. Se io avessi saputo che i soldati sarebbero ben presto venuti per arrestarmi, e che sarei stato rinnegato dai miei amici ai quali avevo dato tutto, sarei stato in una condizione di panico totale, e anche molto arrabbiato. Ma Gesù ha mostrato la sua speranza stando con tranquillità in mezzo a loro, condividendo un pasto, le sue ultime parole, parlando con loro. L’«adesso» è l’unico momento che esiste. Adesso è quando inizia il futuro.
Dio ci ama offrendoci spazio. Egli dice: «Sia la luce», e la luce è. Egli la fa essere. In un certo senso l’amore di Dio non è evidente. Un giorno Bertrand Russell affermò che se, dopo morto, avesse scoperto che Dio esiste, gli avrebbe detto: «Avresti dovuto rendere la tua esistenza più ovvia». Ma Dio non ci sopraffà. Ci lascia respirare.
La cosa più bella che si può dare ad altri quando li si ama non è altro che lo spazio per essere, parlare o stare in silenzio, quanto ne hanno bisogno. Il nostro mondo frenetico e frettoloso è pieno di incontri e progetti, per raggiungere obiettivi e scopi. Quando ami veramente qualcuno, non ti siedi davanti a lui con una lista di obiettivi da raggiungere. Non gli sottoponi un formulario da compilare. Ti siedi accanto a chi ami senza alcuno scopo, solo per parlare e ascoltare.
Ascoltare veramente un’altra persona è una delle arti più straordinarie e delle discipline più difficili. Quando ero Maestro dell’Ordine domenicano ebbi l’eccezionale privilegio di incontrare ognuno dei fratelli, da solo, per circa mezz’ora. Si trattava di un’attività faticosa, perché noi domenicani siamo migliaia. Una volta, alla fine di una lunga giornata in Messico, stavo con un frate, un mio vecchio amico, ma non vedevo l’ora che la conversazione finisse, così mi sarei potuto coricare per riposare. Egli mi disse: «Timothy, è la terza volta che guardi l’orologio». Imparai la lezione. Da allora in poi tengo sempre l’orologio indietro.
Alcune volte abbiamo paura di stare con le persone solo perché non sappiamo cosa hanno da dire o dove ci porterà la conversazione. Una volta, quand’ero un giovane e inesperto cappellano, una bellissima studentessa venne a confessarsi sulla sua vita sessuale alquanto bizzarra e, in effetti, non riuscivo a seguirla in situazioni che non avevo mai considerato neppure possibili. Ero così terrorizzato da quello che avrei potuto dire al termine della sua confessione, che smisi di ascoltarla. Così, alla fine, quando lei tacque, non trovai niente da dire. Ma quando si ascolta veramente, con tutto il cuore e la mente, quel che c’è da dire viene suggerito!
Jean Vanier, il fondatore delle Comunità dell’Arca, racconta che è stato proprio il prendersi cura delle persone con disabilità che gli ha insegnato ad amare le persone lasciando che esse si affermino per come sono. Cita l’esempio di un giovane chiamato Eric, che aveva tremendi problemi di disabilità fisica. Jean dice che quando lavava Eric nel suo bagno, faceva in modo che il ragazzo prendesse tutto il tempo che gli serviva. Non forzava la mano. Eric aveva sempre difficoltà a fare la pipì. Un giorno che ci riuscì, la sua comunità stappò una bottiglia di champagne per festeggiare!
Allo ...

Table of contents

  1. PRESENTAZIONE
  2. LA CHIESA HA QUALCOSADA DIRE AL MONDO?
  3. I - CERCARE LA SPERANZANELL’ANGOSCIA
  4. II - TROVARE LA GIOIA NELLO SMARRIMENTO
  5. NOTA REDAZIONALE
  6. NOTA ICONOGRAFICA
  7. INDICE DEI NOMI