Dare un volto all'amore
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Confessioni di un autore

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Dare un volto all'amore

Confessioni di un autore

About this book

In che modo vivere il cristianesimo? Per Michael Lonsdale, attore di fama internazionale, la domanda ha una risposta semplice: come amici di Gesù. Stare alla sua presenza ricolma di gioia e pace i giorni di questo attore ottantenne, noto anche per aver recitato in «Uomini di Dio», lo splendido film sui sette monaci uccisi in Algeria. Con disarmante genuinità Lonsdale racconta la propria esperienza cristiana, facendoci gustare la bellezza di una vita dedicata all'arte, una delle vie per incontrare l'Assoluto.

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Information

L’autore
Michael Lonsdale è un attore francese di cinema e teatro. Ha girato film con alcuni dei più grandi registi del ‘900 fra cui Orson Welles, François Truffaut, Costa-Gavras, Jean-Jacques Annaud. Il ruolo di frère Luc in Uomini di Dio gli è valso il premio César, l’«Oscar» di Francia.
Collana «Testimoni»
Compact
1. Michael Lonsdale, Dare un volto all’amore. Confessioni di un attore
MICHAEL LONSDALE
DARE UN VOLTO ALL’AMORE
Confessioni di un attore
Prefazione di Dario Edoardo Viganò
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Titolo originale: Michael Lonsdale, Jésus, J’y crois, Editions Bayard - France © 2013
Traduzione dal francese di Lorenzo Fazzini
In copertina: Michael Lonsdale
Per l’immagine di copertina, l’editore rimane a disposizione degli aventi diritto che non è stato possibile reperire.
Copertina di Mariangela Tentori
© EMI, 2015, per l’edizione italiana
Via di Corticella, 179/4 – 40128 Bologna
Tel. 051/32.60.27 – Fax 051.32.75.52
www.emi.it
ISBN 978-88-307-2291-0
Disponibile anche in edizione cartacea: ISBN 978-88-307-2194-4
PREFAZIONE
di Dario Edoardo Viganò
Direttore del Centro Televisivo Vaticano
Il racconto di Michael Lonsdale rivela una semplicità disarmante e un’efficacia altrettanto forte. Con questo libro il celebre attore francese ha deciso di schiudere ai lettori il proprio rapporto con la fede.
Classe 1931, dopo aver trascorso parte dell’infanzia a Londra, Lonsdale si è trasferito in Marocco prima di stabilirsi definitivamente a Parigi. Numerose sono le opere cinematografiche cui ha preso parte e che costellano la sua lunga e versatile carriera d’attore: Il processo (Le procès, 1962) di Orson Welles, La sposa in nero (La mariée était en noir, 1967) e Baci rubati (Baisers volés, 1968) di François Truffaut, Il fantasma della libertà (Le fantôme de la liberté, 1974) di Luis Buñuel, L’affare della sezione speciale (Section spécial, 1975) di Costa-Gavras, Il nome della rosa (1986) di Jean-Jacques Annaud (tratto dal romanzo di Umberto Eco), Quel che resta del giorno (The Remains of the Day, 1993) di James Ivory, Ronin (1998) di John Frankenheimer, Munich (2005) di Steven Spielberg, Uomini di Dio (Des hommes et des dieux, 2010) di Xavier Beauvois e Il villaggio di cartone (2011) di Ermanno Olmi.
Cinema, trama e ordito di narrazioni, tra le cui pieghe si colgono guadagni, denunce, prospettive feconde di riflessione, in grado di schiudere un percorso di osservazione e di riflessione sulla vita dell’uomo e sulla sua esistenza. Fin dalle sue origini il cinema è stato contraddistinto da una vera e propria forza mitopoietica, dalla facoltà di assegnare alla materia e ai protagonisti del suo raccontare per immagini una dimensione in tutti i sensi ingigantita e dalla capacità di riorientare in direzioni nuove e diverse non solo i gusti dei suoi spettatori, ma i loro modelli culturali, i loro valori eccetera. Ecco dunque che se il dispositivo testuale cinematografico è, proprio come ogni altro tipo di testo, anche un esercizio di discernimento, responsabilità e libertà, esso, più di ogni altro tipo di testo, sa parlare in termini convincenti e coinvolgenti di umanità in senso ampio.
Il cinema che non si è ritirato di fronte alla possibilità di misurarsi con le grandi questioni dell’esistenza, con i grandi interrogativi; al contrario, muovendo in questa direzione ha sfidato sé stesso e, in un confronto tanto impari quanto ineludibile, ha saputo sfidare l’assoluto cui di volta in volta si è trovato di fronte. Dare immagine a ciò che non si vede, nel senso più ampio possibile, e ancora, cercare Dio nelle pieghe del visibile, misurarsi con la sua presenza o con la sua assordante mancanza: questo assoluto che ci circonda, e che il cinema più grande ha sempre cercato, è un altrove, un muovere fuori di sé che l’immagine cinematografica porta scritto nella sua stessa essenza, nel fuori campo che la delimita e ce la restituisce come tale. Lo sguardo del cinema è per essenza uno sguardo estroverso, un guardare che tiene sempre con sé, vivo ai bordi dell’immagine, quello che non si vede. Da questo livello linguistico primario fino alle più articolate architetture semantiche, il testo cinematografico ci mostra i propri confini e si (ci) spinge a oltrepassarli.
Il cinema ha a che fare con la storia perché ne trattiene, in meandri carsici, i segreti nello scorrere del tempo, così come ha a che fare con il mistero, perché esso, costituito da battiti di luce, richiama, non a caso, gli angeli. Gli angeli caratterizzati dal movimento e dalla velocità di volare; angeli di un doppio movimento, quello della spola tra Dio e l’uomo; angeli che rivelano e insieme indicano un orizzonte. Penso in particolare agli angeli lontani dall’iconografia tradizionale, quelli a cui ci ha introdotto Wim Wenders che sono crocevia tra Bibbia e poesia, quella di Rainer Maria Rilke e di Paul Klee. Angeli che sono «un indice puntato verso Dio, un indice puntato verso il mistero, il mistero di Dio».1
È questa l’esperienza di lettura di questo libro, testo che domanda di sostare nelle parole di un uomo sinceramente toccato dalla fede: il dialogo che Lonsdale instaura con il lettore si snoda tra arte, cinema, fede e amore, con una verità e una semplicità di fondo che scaldano il cuore e trasmettono tutta la serenità di un’anima in pace con Dio e con il mondo. Il percorso di vita e di fede che Lonsdale racconta è solo apparentemente anomalo: dal primo incontro con Gesù in un libro illustrato per bambini (The Life of Jesus) nella primissima infanzia, al litigio con un uomo in Marocco che voleva buttare tutti i santini della propria abitazione ereditata; dagli incontri in gioventù a Parigi con padre Raymond Régamey, suo futuro confessore e padre spirituale, e con Denise Robert, una donna cieca piena di fede che gli comunicò la profondità del messaggio d’amore cristiano, fino alla decisione di farsi battezzare a 22 anni, quasi uomo ma proprio per questo pienamente consapevole di una scelta fondamentale di vita.
Leggendo più in profondità le parole di Lonsdale l’impressione più forte che se ne ricava non è quella di un tortuoso percorso di fede attraverso tre nazioni e due continenti, incontri mistici e dolorose confessioni (come il racconto del periodo in cui subì cinque lutti ravvicinati nel tempo e dovette lentamente recuperare la voglia e soprattutto la gioia di continuare a vivere) di un uomo che, non essendo stato battezzato da piccolo, ha deciso di abbracciare il cristianesimo in età quasi adulta.
Si tratta del percorso e della crisi (nel senso etimologico della parola, che in greco antico vuol dire «separare» e «decidere») di fede che ognuno di noi affronta lungo tutta la durata della propria vita: se riuscissimo a raccontarla con la sincerità di Lonsdale, tutti potremmo scoprire la ricchezza della ricerca del sacro che attiene così intimamente al nostro essere uomini e donne.
L’attore anglo-francese è consapevole di questo. Ha fatto la sua scelta, ha deciso di credere in Cristo, ma l’enorme curiosità verso gli altri non gli ha impedito di ampliare la propria ricerca spirituale verso tante altre espressioni del senso del sacro nell’umanità: «Vi sono buddhisti meravigliosi – scrive proprio in apertura del volume –, indù impressionanti per la saggezza, maestri sufi… Ho provato grande felicità nel metter mano a testi di Lao-Tse e di Confucio. Anche nelle religioni primitive come quelle dei Maya o degli Aztechi l’umanità aspira a questo incontro con il divino, pronta, talvolta, ai gesti più forti: salire su una grande piramide, aprire il petto di un uomo per estrarne il cuore ed elevarlo verso il sole [] L’uomo non cessa di cercare, prosegue la sua incessante indagine spirituale». La grande differenza dell’essere cristiani, per Lonsdale, è un’altra: «Tutto questo non è incontrare un Dio di amore. Ecco la follia dei cristiani: credere in quel Dio di amore che Gesù ci ha rivelato».
Il Dio d’amore che l’attore ha incontrato è lo stesso che ha illuminato la vita e anche la tragica morte di frère Luc, uno dei monaci del monastero di Notre Dame de l’Atlas a Tibhirine, in Algeria, assassinati nel 1996, un religioso che Michael Lonsdale ha interpretato con sensibilità e dedizione nel film Uomini di Dio (Des hommes et des dieux, 2010) di Xavier Beauvais. È la drammatica vicenda di sette monaci trappisti uccisi barbaramente perché testimoni luminosi del Vangelo nelle pieghe della tormentata Algeria; una testimonianza preziosa di fede, ma anche presenza caritatevole e significativa per la popolazione di fede musulmana. I monaci di Tibhirine erano soglia di incontro culturale e interreligioso, operosa e feconda presenza per tutti. La notte del 26 marzo 1996 il monastero venne assaltato da una frangia terrorista e i monaci vennero rapiti e uccisi con ferocia. «In un momento – ricorda Enzo Bianchi – in cui molti pensano all’islam come nemico, il gesto di chi si lascia sgozzare (come l’Agnello sgozzato dell’Apocalisse) amando il proprio carnefice, è l’estremo rifiuto della logica dell’inimicizia, è l’unico atto che può porre fine alla catena delle rivalse e delle vendette. È il caso serio del cristianesimo, il suo nocciolo duro: è la croce!».2
È forse proprio qui, in questo film, Uomini di Dio, interpretando padre Luc, che la carriera artistica di Lonsdale e la sua traiettoria di cristiano si incontrano e si sublimano: «Il mestiere dell’attore – spiega nel capitolo intitolato «Frère Luc» – è un lavoro di tramite: io devo sforzarmi di trasmettere la bellezza, faccio sentire le parole di un altro [] Interpretare il personaggio di frère Luc nel film è stato un dono, una gioia magnifica. Non ho avuto l’impressione di recitare; ero lui, frère Luc. Non conoscevo molto della sua vita: non volevo imitarlo, ma cercare semplicemente di donarmi agli altri come quest’uomo libero ha potuto fare fino alla fine. Era impressionante dare voce a una figura così essenziale, così vera, così vicina alla santità. Ora che ho passato gli 80 anni, frère Luc resta uno dei più bei ruoli che ho mai recitato nella mia carriera: un essere di pura generosità, una delle più belle traiettorie della fede che ho conosciuto».
Non si può fare altro che ringraziare Michael Lonsdale per aver riletto, nella filigrana del suo lavoro artistico, i movimenti del proprio cuore arreso al fascino di una luminosa testimonianza d’amore cristiano.
1 G. Ravasi, Gli angeli nella Bibbia, in E. Alberione - L. Pozzoli - G. Ravasi - P. Sequeri, Gli angeli nella Bibbia, nella teologia, nella letteratura, Paoline, Milano 2002, p. 46.
2 In C. de Chergé, Più forti dell’odio, Edizioni Qiqajon, Magnano 2010, p. 10.
GESÙ
Gesù è il cuore della luce, la sorgente di ogni respiro umano. Per me quest’uomo è la verità che non può mentire. Ho letto numerosi grandi testi spirituali, mi sono interessato a differenti religioni e saggezze, quella musulmana, quella buddhista o quella proveniente dall’India… Vi sono cose molto belle nelle Upanishad, nel buddhismo e senza dubbio in quei filosofi che ho fatto fatica a leggere. Con Cristo ho trovato la sola religione dove prima di tutto la questione è l’amore. Per me non esiste nulla di più forte delle parole di Gesù.
L’uomo cerca Dio. Vi sono buddhisti meravigliosi, indù impressionanti per la saggezza, maestri sufi… Ho provato grande felicità nel metter mano a testi di Lao-Tse e di Confucio. Anche nelle religioni primitive come quelle dei Maya o degli Aztechi l’umanità aspira a questo incontro con il divino, pronta, talvolta, ai gesti più forti: salire su una grande piramide, aprire il petto di un uomo per estrarne il cuore ed elevarlo verso il sole. Questa pratica oscura è già una ricerca di Dio. Ancora oggi, in numerose religioni, bisogna implorare, percuotersi la schiena, soffrire. L’uomo non cessa di cercare, prosegue la sua incessante indagine spirituale. Ma questo non è incontrare un Dio di amore. Ecco la follia dei cristiani: credere in quel Dio di amore che Gesù ci ha rivelato.
Quello che di più vero ho letto durante la mia vita è il Vangelo. La parola di Gesù è la più giusta, quella che maggiormente suscita vita. È sorgente di bontà e generosità tra gli esseri umani. E questa generosità, questa cura degli altri prima che di sé stessi, mi tocca profondamente. Ho una fede resistente come il ferro in questo dono di sé ereditato da Gesù. Spesso vado a fare passeggiate con la mia piccola Bibbia nello zainetto: posso leggerla in qualsiasi momento, ovunque, in metropolitana, in viaggio… Ci sono come sprofondato dentro: ascolto Cristo, non ho bisogno di nient’altro.
Sì, ho trovato Dio. Come posso parlarne? Non possiamo nominarlo, Dio, non possiamo dirne nulla. Ciò che egli dice di sé stesso sta in due parole: «Io sono». Un po’ corto… Chi è dunque Dio? Egli è! Tanto vale dire che noi non ne sappiamo nulla: se lo conoscessimo veramente, non potremmo sopravvivergli! Non posso conoscere la potenza di Dio, la sua inimmaginabile forza cosmica. La sua eternità mi supera, Dio mi è inaccessibile, e io non so neppure come fare per dargli un nome. «Io sono colui che sono»: è questa la rivelazione che egli fa a Mosè durante l’episodio del roveto ardente nella Bibbia (Es 3,14). Mistero insondabile che noi condividiamo con il popolo ebraico, il quale proibisce a sé stesso perfino di pronunciare il nome di Yahweh.
E dopo è venuto Gesù. Cristo ci ha detto: «Non potete andare a Dio senza passare da me». Quest’uomo, Gesù, ci conduce a Dio. Egli è a nostra misura. Quest’uomo è qualcosa di più: non è Dio, ma Cristo, che è Dio. Che follia, questo mistero della Trinità che ci fa incontrare Dio che è contemporaneamente Dio, Cristo e Spirito Santo…
INFANZIA
Gesù è entrato con grande dolcezza nella mia vita. Ero piccolo. Mio padre, un protestante inglese, lo «frequentava» ma non aveva nessuna pratica religiosa. Quanto a mia mamma, era cattolica e la sua famiglia si era stabilita in Algeria. Ma aveva conosciuto la chiesa solo perché costretta e obbligata fin dalla più tenera età, un fatto che non l’ha aiutata a conoscere il vero volto di Gesù. Da adolescente fu messa in un collegio di suore in Inghilterra. Da quel che ho potuto sapere non era una tipa molto docile e il suo comportamento le causò diversi rimproveri e punizioni. Sul suo conto le suore pronunciavano sentenze definitive e spaventose: «Sarai male-
detta, andrai all’inferno e brucerai!». E non appena ebbe la possibilità di scappare da quell’ambiente, se ne andò. Ma non ha mai rinnegato Cristo. Anche se i miei genitori avevano deciso di non battezzarmi – cosa rara a quei tempi –, è stata mia mamma la prima a parlarmi di Gesù. Un giorno mi regalò un piccolo libro illustrato:
The Life of Jesus. Sulla copertina compariva un signore simpatico, barbuto, che parlava ai bambini. Me ne interessai, sprizzava simpatia. Gesù… Ho cercato quel piccolo libro qualche giorno fa. Non so pi...

Table of contents

  1. PREFAZIONE
  2. GESÙ
  3. INFANZIA
  4. PARIGI
  5. BATTESIMO
  6. DIO SALVA
  7. FEDE D’ARTISTA
  8. FRÈRE LUC
  9. BELLEZZA
  10. PREGHIERA
  11. CHIESA
  12. PAROLA
  13. PADRE NOSTRO
  14. RISURREZIONE