Prima Parte
DENTRO E FUORI LA SCUOLA
ERRARE: VOCE ERETICA DEL VERBO CREARE
Eretici erranti
Quando Gianni Rodari si rivolge ai genitori e agli insegnanti, nella sua introduzione al Libro degli errori (il testo ormai epico di storie e filastrocche basate sugli errori), prende atto che spesso le sue «filastrocche dedicate agli accenti sbagliati, ai “quori” malati e alle “zeta” abbandonate, sono state accolte perfino nelle grammatiche». E continua Rodari: «Questo vuol dire, dopotutto, che l’idea di giocare con gli errori non era del tutto eretica».
Siamo nel 1964. Nove anni dopo, nel 1973, lo stesso Rodari esce con Grammatica della fantasia e non manca di dedicare un capitolo all’errore, all’«errore creativo». Qui snocciola una serie di esempi in cui dimostra, a proposito dell’arte di inventare storie, che «in ogni errore giace la possibilità di una storia».
Il capitolo si conclude con un’affermazione emblematica: «Sbagliando s’impara, è un vecchio proverbio. Il nuovo potrebbe essere dire che sbagliando s’inventa».
Non a caso fra gli errori che storicamente hanno creato invenzioni troviamo la Nutella, la Coca-Cola, lo champagne Dom Pérignon, il Gorgonzola… e, pare, persino la stessa pizza. E poi i tanti errori di Einstein o la scoperta di rimedi farmaceutici, come vaccini o penicillina. A Parigi c’è stato anche un festival interamente dedicato all’Errore. E scopro che a Torino si è tenuto «Smart Mistakes», un grande festival per ampliare la mente, affinare le capacità analitiche e ispirare la creatività. Per parlare di «errori intelligenti, mutazioni, fallimenti, disfunzionalità, discrepanze, incidenti, varianti impreviste, scoperte occasionali, estetiche dell’errore, scarto dalla massa, fallimenti progettuali, progetti irrealizzati, disastri, sbagli, imperfezioni, disturbi, appropriazioni, effetti collaterali, lapsus e flop».
Negli anni Sessanta, il maestro Federico Moroni, autore di Arte per gioco (un vero e proprio resoconto su trent’anni di esperienza di didattica dell’arte), ci invitava a non usare gomma e matita… e a lasciare che anche una goccia di inchiostro, caduta inavvertitamente dal pennino, divenga il primo elemento artistico per un nuovo inaspettato disegno.
Errore didattico
Personalmente ne sono più che mai convinto. L’errore è uno strumento didattico fondamentale. Ultimamente, in occasione degli esami finali della scuola secondaria di I grado, nello spiegare agli esaminandi che non potevano usare i cosiddetti bianchetti (pena il possibile invalidamento della prova) per coprire eventuali parole scritte male, ricordavo anche quanto sia importante, visivamente, memorizzare la parola sbagliata… proprio per ricordare che quella è «errata». Questo non accade con il computer, dove il semplice ctrl+z (la combinazione di tasti control-zeta) permette di cancellare per sempre ogni errore grammaticale di ortografia.
Ma la cosa che più mi interessa è – per l’appunto – l’errore come risposta creativa, come nuova opportunità che la mente e la mano dell’uomo utilizzano per dare nuove risposte, per cercare nuove soluzioni. D’altronde la regola principale della ricerca scientifica è racchiusa in quelle due parole che sono «per prova ed errore».
IL RISVEGLIO DELLA BELLA SCRITTURA
Resto sempre emozionato, quando nella mia città natia, Cesena, mi è permesso di entrare nella prima biblioteca civica italiana, la Biblioteca Malatestiana. Qui è possibile ammirare i meravigliosi codici miniati, realizzati in pieno Medioevo, da esperti amanuensi. Resto sempre esterrefatto quando mi trovo a dover visionare le ormai classiche «tesine» degli studenti in occasione degli esami di stato. Un puro esercizio di «copia e incolla» con l’aiuto della stampante di un computer. Come direbbe Ernst Friedrich Schumacher nel suo Piccolo è bello, si è andati progressivamente alla soppressione di una «tecnologia intermedia»: quella dello «scrivere a mano»! Ne avevo parlato, isolato e tacciato per retrogrado, più di vent’anni fa, quando affermavo: «Dopo che per decenni lo strumento fondamentale dello scrivere a scuola è stata la cannetta con il pennino (il corredo prevedeva poi la carta assorbente, il nettapenne e a volte l’osso di seppia per lucidare il pennino e la matita), a metà degli anni Sessanta abbiamo assistito alla rivoluzione della penna a sfera». E fra le controindicazioni segnalavo «la perdita della bella scrittura».
La penna stilografica e il corsivo
Poi, pian piano, si è aperto un dibattito. Nel 2006 il preside di una scuola di Edimburgo impone ai suoi alunni, dai 9 anni in su, l’uso della penna stilografica. Il preside anglosassone non ha dubbi: «Imparare a scrivere con una stilografica non solo aiuta ad avere una migliore calligrafia, ma ha anche il significativo vantaggio di aumentare l’autostima degli alunni». In seguito, nel 2009, interviene Umberto Eco in un confronto giornalistico iniziato su Repubblica, a proposito della calligrafia, da Maria Novella De Luca e Stefano Bartezzaghi, dal titolo «Addio alla scrittura». Eco sostiene esattamente le mie tesi di vent’anni prima:
Sapere scrivere bene e in fretta alla tastiera educa alla rapidità del pensiero […] l’arte della calligrafia educa al controllo della mano e al coordinamento tra polso e cervello. Bartezzaghi ricorda che la scrittura a mano vuole che si componga la frase mentalmente prima di scriverla, ma in ogni caso la scrittura a mano, con la resistenza della penna e della carta, impone un rallentamento riflessivo. […] Sarebbe auspicabile che le mamme inviassero i bambini a scuola di bella calligrafia, impegnandoli in gare e tornei, e non solo per la loro educazione al bello ma anche per il loro benessere psicomotorio.
La scrittura ritorna a scuola
Ora il salto è stato fatto. E questa volta entrano in gioco veri professionisti. Sono i calligrafi dell’Associazione Calligrafica Italiana. Dopo alcuni mesi di dibattito, a cui anch’io ho contribuito, è stato lanciato un vero e proprio progetto rivolto alla scuola italiana, dal titolo «La calligrafia ritorna a scuola». L’Associazione Calligrafica Italiana (Aci), infatti, constatando i sempre più frequenti casi di disgrafia e a fronte del rischio reale che i bambini perdano la facoltà di scrivere bene e in maniera leggibile, desidera affrontare il tema del corretto apprendimento della scrittura formando degli esperti che possano intervenire nella scuola. E sono loro stessi ad affermare:
La nostra conoscenza della storia della scrittura, e la competenza nelle tecniche di scrittura e nelle forme delle lettere, ci danno la fiducia per svolgere un ruolo nella definizione dei modelli più adatti alla scrittura dei bambini. Si intende sviluppare un’ipotesi di lavoro (basata sul corsivo ma con l’abbandono dello stampato minuscolo) per organizzare laboratori di calligrafia nelle scuole dell’infanzia e primaria indirizzati sia al corpo insegnante che ai bambini stessi. L’obiettivo è sia insegnare una pedagogia della scrittura (come si scrive) che indicare come si insegna a scrivere (valutazione, correzione, motivazione). Obiettivo finale è mantenere nella scuola la cultura della scrittura manuale.
Per iniziare questo progetto, l’Aci propone un «Corso di aggiornamento per l’insegnamento della calligrafia nella scuola primaria» della durata di 7 lezioni. Una vera e propria svolta epocale, per la scuola italiana.
COPIARE, INFINITO DEL VERBO
«IMPARARE INSIEME»
Scagli la prima pietra chi non ha mai copiato!
Copiare è un verbo che nel mondo della scuola ha due significati che potremmo definire antitetici. Ri-copiare un brano sul proprio quaderno, ri-copiare l’esercizio… e poi eseguire un dettato: tutti esercizi di copiatura che hanno avuto fino ad ora un profondo significato «positivo». Ma c’è anche un aspetto che in qualche modo colloca il copiare come elemento negativo del mondo scolastico: «Hai copiato!!», «Mi raccomando, non copiate…», «Vi metto distanti, così non potete copiare…». Sono frasi tipiche che gli insegnanti pronunciano durante un’esercitazione, un compito in classe o lo svolgimento di un’attività individuale. Ora, io credo che siano poche le persone che, nel corso della propria carriera scolastica, non abbiano fatto l’esperienza di «copiare». E ci sono persone che, avendo poi raggiunto posizioni professionalmente del tutto invidiabili, hanno ammesso, magari anni dopo, di aver copiato tante volte da uno o più compagni di classe. Insomma, il copiare fa parte dell’esperienza scolastica. Ma non solo. Pensiamo ai grandi artisti e alle loro scuole. Di molte grandi produzioni artistiche antiche tuttora si dice «è di scuola…» e poi si cita il maestro. ...