Cercatori di bellezza
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Cercatori di bellezza

Leggere la Parola con i giovani. Alla ricerca di cammini di Vita

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Cercatori di bellezza

Leggere la Parola con i giovani. Alla ricerca di cammini di Vita

About this book

Catechesi in chiave missionaria su brani del Nuovo Testamento. Sono nate in gruppi di preghiera giovanili ed hanno per leitmotiv la vocazione a una vita in pienezza. La finalità è accompagnare i giovani in un cammino lungo il quale «scrivere una contro-storia di giustizia e di bellezza» in un mondo che sembra diventato cieco al futuro.

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Information

IL POVERO COME FRATELLO
Dal Vangelo secondo Matteo (25,31-46)
Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti gli angeli, prenderà posto sul suo trono glorioso. E tutte le nazioni saranno riunite davanti a lui ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: «Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il Regno che v’è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi». Allora i giusti gli risponderanno: «Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?». E il re risponderà loro: «In verità vi dico che ogni volta che lo avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: «Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! Perché ebbi fame e non mi deste da mangiare; ebbi sete e non mi deste da bere; fui straniero e non m’accoglieste; nudo e non mi vestiste; malato e in prigione, e non mi visitaste». Allora anche questi gli risponderanno, dicendo: «Signore, quando ti abbiamo visto aver fame, o sete, o essere straniero, o nudo, o ammalato, o in prigione, e non ti abbiamo assistito?». Allora risponderà loro: «In verità vi dico che ogni volta che non l’avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me». Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna.
Il «Figlio dell’uomo» giudica la storia
Questo brano di Matteo è tradizionalmente noto come la parabola del «Giudizio finale». Non tutti sono d’accordo su tale definizione, ma senza dubbio qui Gesù dà un «giudizio». Domandiamoci dunque:
− Chi è il giudice, o chi sono i giudici?
− Chi sono i giudicati?
− In base a quale criterio si giudica?
In questo passo il giudice è il «Figlio dell’uomo», i giudicati sono le nazioni e gi individui. «Figlio dell’uomo» è un’espressione semita che nella Bibbia fu usata per la prima volta nel libro di Ezechiele. È il titolo con cui Dio si rivolge al profeta deportato a Babilonia, e significa «colui che è nato da umani», colui che vuole continuare ad essere umano così come ci ha concepiti il nostro Creatore: l’uomo che vuole realizzare pienamente la sua umanità e che si rifiuta di trasformarsi in «figlio del lupo» o «figlio della tigre».
Inoltre, nell’ottica di Gesù «il Figlio dell’uomo deve soffrire molto [] ed essere ucciso» (Mc 8,32), perché rappresenta quella parte dell’umanità che si oppone al processo di disumanizzazione e che perciò è perseguitata e crocifissa dal Potere disumanizzante.
In altre parole, il Figlio dell’uomo è l’uomo che non si arrende nel vedere calpestata la propria umanità e che perciò provoca la reazione dei potenti e degli oppressori.
In un mondo dominato dalla violenza, il Figlio dell’uomo – cioè chi vuole continuare ad essere umano – è inevitabilmente crocifisso e oppresso. Come commenta Jon Sobrino, «Dio non affida la funzione del giudicare a un uomo qualsiasi, ma a colui che è veramente umano. Questi è colui che può giudicare non arbitrariamente e da fuori, ma a partire da ciò che è veramente umano. L’apparizione di ciò che è veramente umano produce sempre salvezza. Solo ciò che è umano può salvare l’umanità. Il Figlio dell’uomo può essere giudice per il fatto di essere umano e per il fatto di essere vittima. Solo la vittima può giudicare che cosa è umano. E generalmente il povero è un giudice benevolo».56
Anche don Albino Bizzotto sottolinea che solo la vittima può giudicare con cognizione di causa: «La guerra non la conosce chi spara o chi dà l’ordine di sparare: la guerra la conosce nel quotidiano solo chi riceve le pallottole. E vista dalla parte di chi riceve le pallottole, la guerra è l’interruzione violenta e sistematica dei più elementari diritti umani: dal diritto alla vita al diritto alla convivenza, alla salute, al lavoro, alla casa ecc. La guerra del Golfo noi l’abbiamo vissuta dalla parte dei piloti che schiacciavano un pulsante davanti a uno schermo illuminato, come se stessero facendo un videogame. Non è questa la guerra: la guerra è quello che è successo sotto quel pulsante: sotto quel videogame sono morte 250.000 persone. E allora, se vediamo la guerra dalla parte delle vittime, dalla parte di chi la subisce, dobbiamo dire questo: posso anche essere un buon padre di famiglia, ma se vado su un aereo, sgancio una bomba e uccido anche un solo innocente, sono un criminale. Vista da “sotto l’aereo” la guerra è un massacro di innocenti. Di fronte al dolore e all’assassinio di donne, uomini e bambini innocenti, non c’è disquisizione politica che tenga: la guerra è sempre un crimine».57 Insomma, è la vittima che ha la visione vera delle cose, e in quanto tale può giudicare la storia umana – la politica, l’economia, la religione ecc. – con oggettività, cioè secondo i criteri di Dio. Il Dio che giudica è il Figlio dell’uomo crocifisso, e il criterio con cui ci giudicherà sarà la qualità umana della nostra vita: Gesù vorrà vedere, innanzi tutto, se abbiamo realizzato o no la nostra umanità. E questo criterio vale sia per gli individui che per le nazioni e i popoli.
Benedetti e maledetti
«Andate via, maledetti…». Non è che Gesù voglia maledirci. Sta semplicemente facendo una constatazione: una vita disumana – vissuta dalla parte dell’oppressore o comunque in un atteggiamento di indifferenza e insensibilità – è «maledetta» nel senso che è una vita infelice, non realizzata, una vita senza senso. Chi sceglie questo tipo di vita si autocondanna. Chi invece decide di realizzare la propria umanità è benedetto: una vita umana oggettivamente benedetta è una vita che vale la pena vivere.
Una caratteristica fondamentale di una vita pienamente umana è il saper separare e distinguere. Oggi vogliono farci credere che è tutto lo stesso, che va bene tutto: corrompere o non corrompere, prostituirsi o non prostituirsi, bombardare o non bombardare, dire oggi una cosa e domani il contrario, lasciare un partito e il giorno dopo ritornarci chiedendo in cambio una poltrona di ministro ecc. Come cristiani sembra che sia indifferente essere a favore o essere contro il nucleare, a favore o contro la salute della gente, a favore o contro la privatizzazione dell’acqua e degli altri beni comuni: vanno bene entrambe le cose… Sembra che come cristiani non abbiamo niente da dire in proposito: non distinguiamo fra bene e male, va bene tutto. Invece il Figlio dell’uomo distingue e separa: da una parte i «maledetti» e dall’altra i «benedetti».
Qualcuno potrebbe meravigliarsi che Gesù consideri «maledette» persone che, in fondo, non hanno fatto niente di male: non hanno ucciso nessuno, non hanno rubato né affamato né denudato nessuno; semplicemente si sono limitate a non vestire chi era già nudo, a non nutrire chi era già affamato; insomma, si sono limitate a «non fare», a «non agire». Ma Gesù le condanna proprio ...

Table of contents

  1. INTRODUZIONE
  2. ESSERE FIGLI AMATI
  3. VITA PIENA: PASTORE O MERCENARIO?
  4. L’UMANITÀ NUOVA NASCE «SOTTO LA TAVOLA»
  5. LA PASSIONE PER LA GIUSTIZIA
  6. UN DIO SENZA FISSA DIMORA
  7. UN’UMANITÀ PIENA DI GRAZIA
  8. LA RELAZIONE D’INTIMITÀ COME FONTE D’IMPEGNO
  9. IL POVERO COME FRATELLO