Claret Antonio Maria
eBook - ePub

Claret Antonio Maria

Claret Antonio Maria

  1. 144 pages
  2. English
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Claret Antonio Maria

Claret Antonio Maria

About this book

Il 24 ottobre del 1870, di mattina, muore in Francia, rifugiato nel monastero di Fontfroide, Antonio Maria Claret. Ha 62 anni e 10 mesi, consumati in una passione per la vita degli uomini. Una passione che nasce dall'essere stato discepolo di Gesù con tutta la dedizione della vita.Operaio tessile, prete, missionario come gli apostoli, animatore di iniziative di bene, fondatore di gruppi di donne e uomini al servizio della misericordia, arcivescovo nell'isola di Cuba, editore e scrittore, confessore presso la corte di Spagna, padre del Concilio Vaticano I, perseguitato.Una vita segnata dal camminare tra gli uomini perché potessero realizzare una vita degna e cosciente.Ha lasciato alle sue figlie e figli un'eredità di fuoco e vento dello Spirito, e la cordialità di Maria.«Fu un missionario e un pastore che seppe molto di periferie geografiche ed esistenziali, e che – per dirla con un'espressione popolare di papa Francesco – aveva addosso "l'odore delle pecore"» Gonzalo Fernández Sanz

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Claret Antonio Maria by Alberto Guasco in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Theology & Religion & Religion. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Publisher
EMI
Year
2021
eBook ISBN
9788830724983



ARCIVESCOVO DI CUBA (1851-1856)
All’inizio dell’agosto 1849, Claret riceve dal vescovo di Vic, Luciano Casadevall, una comunicazione che segna un’ulteriore svolta nella sua vita. Il già delegato apostolico e ora nunzio in Spagna Giovanni Brunelli e il (più volte) ministro di Grazia e Giustizia Lorenzo Arrazola (1795-1873) lo hanno infatti informato che, per ordine reale, mosén Antonio è stato nominato nuovo arcivescovo di Santiago di Cuba.
Inizialmente, il santo rifiuta. Lo fa il 12 agosto 1849 in una lettera indirizzata a Brunelli, in cui si ritrovano sia ragioni di schietta umiltà sia ragioni legate al processo di costituzione della congregazione missionaria a cui il santo ha dato vita non più d’un mese prima:
Vostra eccellenza non ha idea del dispiacere che mi ha procurato questa nomina; per due motivi: il primo è che non mi piacciono gli onori e non me ne ritengo degno, il secondo perché mi distrugge tutti i piani apostolici […] Vedendo la grande mancanza di predicatori apostolici del vangelo nel nostro territorio spagnolo, il grande desiderio del popolo di ascoltare la parola di Dio, e le molte richieste che mi si fanno da tutte le parti di Spagna per andare a predicare il vangelo, mi hanno convinto a riunire e addestrare un certo numero di compagni per poter fare con altri ciò che non posso fare da solo.
Tuttavia, nonostante la fortissima autocoscienza del santo («In questo modo mi lego a una sola diocesi quando il mio spirito è per tutto il mondo») e i suoi tentativi di trovare un compromesso («Mi pare più opportuno nominare qualcun altro; se poi è necessario che vada laggiù con altri compagni, per una stagione di missioni, andremo»), a metà settembre gli interlocutori tornano alla carica. Di nuovo Claret oppone un rifiuto. È soltanto a due mesi dalla prima richiesta, dopo aver consultato il proprio padre spirituale, aver riflettuto a lungo sull’eventualità e aver evidentemente ricevuto più d’una pressione (dallo stesso nunzio e dal vescovo Casadevall, che gli comanda d’accettare per obbedienza), che mosén Antonio assente alla nomina. Lo scrive in due lettere distinte, entrambe datate 4 ottobre 1849, indirizzate da Vic rispettivamente a Brunelli e ad Arrazola. Al primo comunica che «dopo molta preghiera, ho risolto con il mio direttore spirituale che era volontà di Dio che accettassi la nomina ad arcivescovo di Cuba». Al secondo confessa invece «la sorpresa» della nomina reale, la sua intenzione di «non accettare» e al contrario la sua accettazione «dopo molti giorni di preghiera» e di confronto con Brunelli, Casadevall e il padre spirituale Pedro Bach (1796-1866).
Giusto un anno dopo (un anno speso a predicare, a prepararsi al nuovo incarico, e ad organizzare le opere apostoliche appena messe in piedi), il 6 ottobre 1850, a Vic, Antonio Claret è consacrato vescovo assumendo come secondo nome quello di Maria. Quindi, incontrati i sovrani a Madrid e scelto un gruppo di collaboratori in grado di coadiuvarlo nella nuova missione, il 28 dicembre 1850, da Barcellona, Claret e i suoi partono alla volta di Cuba. Lo fanno sulla Nueva Teresa Cubana, vapore fatto costruire nei cantieri della vicina Canet de Mar da Rafael Masó i Pascual, uno tra i diversi armatori che all’epoca mettono l’Europa in comunicazione con il mondo, restringendone gli orizzonti spazio-temporali.
È possibile ricostruire quella traversata – che si conclude un mese e mezzo dopo, il 16 febbraio 1851, al Morro, il porto di Santiago di Cuba – tramite le annotazioni di diario di padre Lobo ma anche dal carteggio di Claret stesso. Il 18 febbraio 1851, per esempio, due giorni dopo lo sbarco, in una lettera indirizzata a Fortian Bres il santo descrive il clima di grande fervore spirituale con il quale lui e i suoi hanno vissuto il tempo del viaggio, coinvolgendo per intero i passeggeri della nave: «Tutti, nessuno escluso, fecero la confessione generale e ricevettero la santa comunione. Mai vista una missione più completa».
Come se non gli fossero bastati quelli spagnoli, a Cuba Claret si trova ad affrontare tutto il pacchetto dei problemi che segnano da lungo tempo la vita dell’isola. O, meglio, l’arcivescovo è posto davanti a un quadro politico ed economico di grave complessità e ad uno ecclesiale altrettanto problematico, e deve dispiegare la sua azione evangelizzatrice attraverso i loro incroci pericolosi.
La Cuba di metà Ottocento, dalla più raffinata L’Avana alla più provinciale Santiago, è un paese retto da un capitano generale inviato dalla corona di Spagna: a lui fanno capo l’amministrazione civile e giudiziaria – funzionari provenienti dalla madrepatria, spesso noti per la loro corruzione – e la polizia e le truppe dell’isola: 25-30.000 uomini agli ordini di ufficiali spagnoli. Ed è un paese dalla situazione parecchio complicata. Non si può dire che sia povero; al contrario, nelle piantagioni di caffè, tabacco e canna da zucchero, dove è già sviluppata la meccanizzazione industriale, si produce molta ricchezza. E di essa usufruiscono non solo gli spagnoli ma anche gruppi d’interesse francesi, inglesi e statunitensi, alcuni dei quali hanno contribuito ai primi sviluppi della rete ferroviaria dell’isola. Come sempre avviene, più che nella ricchezza i problemi risiedono nella sua distribuzione e nei modi in cui viene ottenuta. Semplificando, descrivere la scala sociale del paese caraibico – abitato da circa un milione e mezzo di persone, per un terzo neri (circa 450.000), è piuttosto semplice. Al vertice, prospera la minoranza dei bianchi nativi (o creoli), che posseggono praticamente tutte le piantagioni. In mezzo, un nucleo di classe media: avvocati, medici (spesso di idee progressiste) e commercianti (spesso provenienti dalla Catalogna). Al fondo, la massa dei lavoratori poveri, i salariati, i campesinos e, all’ultimo posto, gli schiavi neri (e cinesi) delle piantagioni.
È in questo groviglio sociale che germinano i problemi più preoccupanti per la corona di Spagna e i per suoi rappresentanti, arcivescovo compreso. D’altronde, ancora una volta, il cammino di Claret si snoda lungo i sentieri del vangelo ma anche sui confini dello stato. Questa sorta di doppia valenza si scorge per esempio, e in modo molto chiaro, nella lettera che il santo indirizza al ministro Arranzola il 24 febbraio 1851, pochi giorni dopo il suo arrivo sull’isola:
Può assicurare a sua maestà che l’arcivescovo di Cuba è pronto e deciso a sacrificarsi per le pecore del suo recinto, non risparmiandosi alcuna fatica per propagare la fede, sradicare i vizi e curare le virtù nel cuore dei cubani. Così farà il possibile secondo coscienza e contribuirà per la sua parte ad assicurare l’ordine e la pace, che solo nella pratica della vera religione possono avere il loro appoggio più fermo e consistente.
E tale convincimento viene più volte ribadito da Claret nel corso dei suoi anni cubani. Per esempio, il 27 febbraio 1854, l’arcivescovo scrive a de la Pezuela:
Se c’è un modo indubbiamente efficace di evitare le rivolte interne, e che gli amici delle novità imbroglino il popolo e se lo accaparrino, è tenere sempre desta la sua attenzione con l’insegnamento evangelico, con le pratiche radicate nella pietà, con la fede cattolica nei cuori. Lo riconoscono e lo scrivono anche i nemici della madrepatria e della stessa isola, anche se fanno il contrario… Un popolo a cui si predica la verità, a cui si insegna il suo dovere, che viene rialzato quando cade, che viene curato quando si ammala […] questo popolo impara i suoi doveri, vi regola la sua coscienza, bacia la mano che – in nome di Dio – lo rialza dalla prostrazione, e nella pratica del vangelo trova un recinto insuperabile contro le rivolte e i disordini.
Dunque, dal punto di vista politico, quali sono i problemi che vive l’isola? In sintesi tre: i riflessi delle contrapposizioni che dividono la madrepatria, quelli del processo di indipendenza compiutosi nelle ex colonie dell’America Latina e quelli del rapporto tra Cuba stessa e gli Stati Uniti.
Nel corso della prima metà dell’Ottocento, Cuba ha infatti avuto una storia diversa rispetto alla maggior parte dei paesi che si sono affrancati dalla corona di Spagna, decidendo di rimanerle fedele. È una scelta compiuta dall’élite creola dell’isola, preoccupata di fare la fine di Haiti, che sì tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento ha conquistato l’indipendenza, ma anche si è tramutata in una repubblica nera. Contestualmente, è una scelta compiuta in difesa d’una prosperità economica garantita da un’industria zuccheriera da primato produttivo mondiale, che, nonostante la concorrenza, nel 1827 vede impegnate sul campo un migliaio di imprese, nel 1842 oltre millequattrocento e nel 1860 circa duemila.
Il tutto, e siamo già entrati nell’ambito dell’economia, continuando a basarsi sul lavoro (e dunque sul commercio) degli schiavi neri. Per quanto alcuni settori progressisti dell’élite creola cubana siano favorevoli all’emancipazione degli schiavi neri – progettata per gradi o tentata con pronunciamenti radicali –, tra gli anni Venti e Sessanta dell’Ottocento la macchina della schiavitù continua a girare. E registra centinaia di migliaia di ingressi, forse addirittura mezzo milione di persone indirizzate al lavoro brutale delle piantagioni. Da un lato questi numeri testimoniano la perdurante «richiesta di schiavi» neri che regge l’economia dell’isola. Dall’altro, tra i bianchi un tale incremento non fa che aumentare la paura di possibili insurrezioni (è il caso dell’escalera del 1843-1844), che più prima che poi facciano di Cuba una seconda Haiti.
Sono tutte questioni, ovviamente, intrecciate al futuro politico dell’isola. Su cui hanno da tempo posato gli occhi gli Stati Uniti, convinti che il loro «destino manifesto» d’espansione – secondo la nota formula coniata nel 1845 da John O’Sullivan, quasi ad aprire la strada delle annessioni del Texas (1845), del New Mexico (1846) e della California (1848) – comprenda anche l’isola caraibica. D’altronde, gli stessi presidenti americani hanno sempre mostrato idee piuttosto precise al riguardo. L’hanno fatto Thomas Jefferson (convinto che Cuba costituisse il naturale confine meridionale degli Stati Uniti) e John Quincy Adams (scandalizzato dall’«assurdo fisico, morale e politico» di trovarsi una colonia spagnola a due passi da casa). E se non bastassero le convinzioni, alla metà del secolo i presidenti (democratici) James Polk e Franklin Pierce (alla Casa Bianca nel quadriennio 1853-1857, durante gli anni cubani di Claret) presentano concrete offerte d’acquisto, respinte al mittente, mentre in Senato si dibatte sulla sua effettiva opportunità.
Dal canto loro, a Cuba (e anche fuori di Cuba, tra gli esuli già espatriati negli Usa) sono in diversi a guardare agli Stati Uniti con altrettanto e contrapposto interesse. C’è quello dei grandi piantatori, che vogliono proteggere il sistema economico sul quale prosperano entrando a far parte del gruppo degli stati schiavisti del Sud degli Usa. Ma, se l’obiettivo è comune, i mezzi sono diversi. Minacciati da un lato dall’abolizionismo inglese e dall’altro dall’indipendentismo cubano, quelli dell’Avana puntano a conservare la schiavitù confidando e lavorando a favore d’un acquisto pacifico dell’isola da parte degli Stati Uniti. Diversamente, quelli di Trinidad, di Sancti Spiritus e di Cienfuegos ritengono di conseguire lo stesso scopo con le armi. E di farlo in virtù degli stretti contatti allacciati con alcuni capi militari sudisti, già attivi nel 1845 in Texas, e con il generale venezuelano Narciso López, autore tra il 1848 e il 1851 – Claret è già all’opera ai Caraibi – di tre tentativi di sbarco insurrezionale sull’isola.
Accanto a questi obiettivi, ci sono anche quelli di coloro che si oppongono al regime coloniale e alla monarchia spagnola, vedendo negli Stati Uniti (specie quelli settentrionali) la patria del progresso repubblicano e liberale. O, se si vuole, ci sono gli interessi economici e politici di quanti nutrono poca fiducia nelle capacità di autoemancipazione dell’isola e dunque guardano con grande favore alla democrazia liberale statunitense e alle enormi possibilità di sviluppo capitalistico che essa potrebbe garantire a Cuba. È l’annessione come calcolo, proposta sulle colonne dal newyorkese La Verdad, periodico diretto dall’imprenditore esule Gaspar Betancourt Cisneros. E ancora, ci sono i favorevoli all’indipendenza e basta, vuoi in chiave nazionalista (Cuba è cubana, non anglosassone, sostiene un antischiavista come José Antonio Saco nel suo Ideas sobre la incorporación de Cuba a los Estados Unidos del 1848), vuoi in chiave razziale (Cuba ai cubani bianchi).
In quanto alla chiesa, la situazione davanti alla quale Claret si trova è altrettanto critica, o meglio, come avrebbe scritto nel 1853 il capitano generale dell’isola José Gutiérrez de la Concha (1809-1895), «tristissima».
D’altronde, nella prima metà del secolo, in America meridionale e centrale la chiesa cattolica ha patito offensive anticlericali molto simili a quelle portatele dagli stati europei e dalla stessa Spagna. Cuba non fa eccezione; al contrario, i provvedimenti adottati dai governi della madrepatria nei primi anni Venti e a fine anni Trenta-inizio Quaranta si sono fatti profondamente sentire anche nel paese caraibico. Gli ordini religiosi tradizionali – specie francescani e domenicani, con i loro membri spesso provenienti dalla borghesia creola – sono stati costretti ad abbandonare l’isola. Anche il clero delle due diocesi, Santiago e la suffraganea L’Avana, è numericamente scarso (appena più d’una cinquantina di preti, più un’altra settantina nel capitolo cardinalizio), pochissimo formato ed estremamente indigente. Di queste condizioni Claret informa i propri interlocutori di Spagna – che tra l’altro sono perfettamente a conoscenza della questione – senza molti giri di parole. Il 24 novembre 1851, per esempio, confessa al vescovo Casadevall tutta la sua «indignazione nel vedere lo stato di criminale abbandono in cui il governo spagnolo lascia il culto e il clero di questa diocesi». Più in dettaglio, il 23 dicembre 1851 si lamenta con Arrazola dello stato generale del culto, chiedendo un urgente intervento del governo:
Ho visto con i miei occhi e toccato con le mie mani la confusione e la vergogna in cui il reale patronato spagnolo tiene il culto e il clero di questa diocesi, dando motivo ai nemici di parlare male degli spagnoli, attizzando lo spirito dell’insurrezione […] Il grande amore che professo alla nazione spagnola mi fa m...

Table of contents

  1. INTRODUZIONE
  2. LA FORMAZIONE (1807-1839)
  3. MISIONERO (1840-1850)
  4. ARCIVESCOVO DI CUBA (1851-1856)
  5. DA MADRID AL VATICANO I (1857-1870)
  6. POSTFAZIONE di Gonzalo Fernández Sanz, Cmf
  7. CRONOLOGIA