1. IERI: IL PRIMATO DELLA MORALE
Il Concilio Vaticano II, ossia l’assemblea deliberativa di tutti i vescovi cattolici del mondo, aperta da papa Giovanni XXIII nel 1963 e conclusa da Paolo VI nel 1965, è stato una rivoluzione copernicana a livello ecclesiale, perché ha operato profondi cambiamenti: da una chiesa chiusa in sacrestia a una chiesa missionaria, che vive in mezzo alla gente; da una chiesa che condannava il mondo come luogo del demonio a una chiesa che intravede nel mondo i segni dei tempi e quindi l’azione di Dio; da una chiesa clericale a una chiesa che ha al centro il popolo di Dio; da una chiesa che predicava il decalogo del non fare per paura dell’inferno a una chiesa che annuncia l’ottalogo delle beatitudini per generare una vita felice fin da ora; da una chiesa che si sentiva perfetta, annunciando come obiettivo la plantatio ecclesiae (ossia la diffusione in ogni parte del mondo del modello ecclesiale europeo), a una chiesa che ha come orizzonte il regno di Dio e che si sente sempre in cammino per poterlo realizzare sempre meglio e sempre di più.
Prima del Concilio, nel modo di essere chiesa e di vivere la fede cristiana predominava un’impostazione moralistica e legalistica. Prevaleva il «decalogo del non fare», che portava il fedele a compiere il minimo indispensabile per potersi sentire cristiano e ricevere la salvezza eterna. Si trattava di una morale che finiva per premiare il rispetto formale delle regole, l’esteriorità, fino a preoccuparsi di minuzie, simili a quelle del legalismo farisaico tanto criticato da Gesù Cristo.
Nella chiesa preconciliare erano diffusi numerosi manuali per il bravo cristiano, pieni di norme tra le quali primeggiavano quei «no» che delineavano il minimo sufficiente per sentirsi a posto.
In un periodo ecclesiale in cui l’identità del cattolico era stata ridotta principalmente all’andare a messa alla domenica, una lunga serie di proibizioni fondate sul presupposto dell’impurità rituale riguardava l’accesso all’eucaristia. Per poter ricevere il santissimo sacramento c’erano varie disposizioni da rispettare, tra le quali il digiuno da ogni genere di cibo e da bevande alcoliche. Papa Pio XII nella costituzione apostolica Christus Dominus del 1953 sottolinea l’importanza della tradizione riguardo al digiuno eucaristico; nel motu proprio Sacram Communionem del 1957 definisce che sono sufficienti tre ore per i cibi solidi e un’ora per quelli liquidi. Si è passati quindi dalla mezzanotte del giorno prima a tre ore, poi a un’ora, regola ancora in vigore. Solamente nel 1989 è stato concesso di ricevere la comunione anche sulla mano e non obbligatoriamente solo sulla lingua. Le altre norme di comportamento esteriore riguardavano anche l’abbigliamento.
Tutte queste norme e proibizioni erano conosciute e rispettate dai fedeli. Tant’è vero che i più anziani tra noi, i fedeli della generazione preconciliare, pensano che alcune di esse, già superate e aggiornate, siano ancora in vigore. Al contrario i fedeli della generazione postconciliare, che non sentono più la centralità della legge con tutte le sue norme e proibizioni, forse non sanno che qualche antica norma è ancora valida.
Un altro esempio: nel periodo preconciliare erano molto noti e rispettati i cinque precetti della chiesa cattolica, i quali cadenzavano l’agire del credente, delineando la carta d’identità del cristiano e soprattutto il minimo da fare per sentirsi cattolici. La formulazione tradizionale era: i) udir la messa la domenica e le altre feste comandate; ii) non mangiar carne il venerdì e negli altri giorni proibiti, e digiunare nei giorni prescritti; iii) confessarsi almeno una volta all’anno, e comunicarsi almeno a Pasqua; iv) sovvenire alle necessità della chiesa, contribuendo secondo le leggi e le usanze; v) non celebrare solennemente le nozze nei tempi proibiti.
Nel Catechismo della Chiesa Cattolica approvato e promulgato nel 1997 da Giovanni Paolo II troviamo alcune piccole modifiche ed è scomparso il divieto di celebrare le nozze nei tempi proibiti. Ma il vero cambiamento è che i cinque precetti della chiesa non sono più discriminanti per approvare una vita cattolica, come lo erano nel passato.
Questa prospettiva di vita cristiana si era generata da una visione della condizione umana e cosmica che partiva dal peccato originale come lettura della creazione di Dio, supponendo che all’origine ci fosse innanzitutto la dimensione del male da sconfiggere per poter fare spazio al bene, non il contrario, come in seguito hanno fatto emergere le nuove teologie della creazione. Si può quindi comprendere la ragione dell’incessante e imponente opera pastorale di repressione del male, sostenuta da una morale che produceva lunghe liste di comportamenti esteriori, in gran parte formulate al negativo come atti da non commettere, pena la dannazione eterna. I credenti erano così spinti a fare il minimo indispensabile per potersi assicurare la salvezza dell’anima.
2. OGGI: IL PRIMATO DELL’ETICA
Ci troviamo di fronte a una realtà sempre più in crisi a causa di una decadenza culturale preoccupante e di una logica dominata da interessi che non hanno niente a che vedere con i grandi valori della vita. Di conseguenza, oggi si moltiplicano le invocazioni e le richieste di «più etica» in tutti i settori dell’esistenza umana.
Ci sono autori che distinguono l’etica dalla morale. Quest’ultima si riferirebbe alle consuetudini che valgono nella cerchia ristretta di un gruppo umano o di una cultura. Tali pratiche non sono sempre buone, quindi la morale comprende anche stili di vita che danneggiano altri gruppi umani e l’ambiente naturale. L’etica, invece, sarebbe la riflessione filosofica che ricerca valori più elevati e universali. Secondo alcuni è anche l’arte di dare trasparenza alla vita per innalzarla fino a raggiungere quei grandi valori; è lo stile che vorremmo adottare per realizzare il nostro sogno di un’umanità libera dalla melma di pseudovalori e di interessi egoistici che stanno gravemente danneggiando la vita planetaria.
L’etica è quindi il tentativo quotidiano di prendere un vissuto limitato e condizionato e di elevarlo a una realtà dove per tutti possano trasparire la verità, la giustizia, la pace e l’amore. Tradotto in stili di vita, è l’impegno di quelle persone che non vogliono più essere schiave delle cose e dominate dalla logica del profitto, ma che fanno uso delle cose come beni e non più come merci, a servizio della qualità della vita, mettendo al primo posto la dignità umana; è il «da farsi» di tanti che non vogliono più trattare la terra come una merce e un oggetto su cui speculare, inquinandola e violentandola, ma, riscoprendola come Madre Terra, s’impegnano a custodirla mediante azioni di cura e un giusto uso dei beni naturali.
Il lavoro dell’etica è molto importante e ha l’obiettivo di far recuperare lo specifico dell’ethos, che è il generatore di comportamenti etici: «L’ethos è il sedimentarsi nel tempo e nello spazio, in seno a un contesto socioculturale, dei principi morali che si trasformano così in convinzioni e in regole di comportamento. Esso è identificabile con il dato di fatto determinato da ciò che noi chiamiamo fenomeno morale: ogni cultura, ogni popolo, ogni generazione, ogni singola persona possiede sempre il suo ethos, descrittivamente rilevabile in tutti i suoi particolari, confrontabile con altri ethos e sempre evolventesi o involventesi».
Questa affermazione del teologo moralista ci aiuta a capire che dietro ogni scelta, comportamento, azione o prassi c’è un nucleo etico, composto da verità, convinzioni, motivazioni profonde e valori ritenuti fondamentali, che fa da motore alle varie azioni e comportamenti. L’ethos si rende visibile nella vita concreta delle persone, manifestandosi attraverso prassi e comportamenti. Quando una persona è profondamente convinta che le relazioni umane sono essenziali per la vita – perché ne fa esperienza e comprende sempre meglio che le cose sono da usare e le persone da amare e non viceversa – allora riesce a realizzare scelte e comportamenti nuovi, rendendoli visibili mediante nuovi stili di vita: cerca meno cose e più relazioni umane, spegne la tivù e accende le relazioni in famiglia, coltiva il saluto come ponte della relazione verso l’altro ecc. Questo modo di vivere rende percepibile l’ethos sottostante, il motore dell’agire.
L’esigenza di etica è molto forte perché la realtà contemporanea presenta comportamenti di massa intrisi di violenza, aggressività, corruzione, mancanza di legalità, menefreghismo, individualismo e indifferenza, nei suoi vari livelli socioculturali, politici, economici, finanziari, perfino religiosi. Il tutto degenera in culture di morte, oppure in realtà con un profilo molto basso di valori. Da questo pantano di vita planetaria emerge l’esigenza di mettere etica dappertutto: nella vita civile, nell’economia, nella politica, nella finanza, nei mezzi di comunicazione, nel consumo, nel potere giudiziario, nel mondo del lavoro, nella cultura ecc.
Proprio quando una cosa viene a mancare se ne scopre l’importanza! Così, se oggi si parla tanto di etica, vuol dire che se ne avverte acutamente la mancanza: ci troviamo costretti a rimanere in quella morale che si limita a gestire la vita con un profilo davvero basso, senza trasparenza né elevazione della vita verso grandi mete.
Non solo il cambiamento esteriore
Il cambiamento visibile o esteriore – cioè i gesti, i comportamenti e le scelte che concretizzano la volontà – è importante perché diventa il buon esempio, ossia la testimonianza di vita, il nesso profondo tra il dire e il fare, l’unione tra fede e vita. Senza questa unione ci si contraddice, perché il comportamento non corrisponde all’intenzione, come dichiarano alcune espressioni popolari: «tanto fumo e poco arrosto»; «tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare». Pure il Vangelo afferma: «Non chi dice “Signore, Signore”, ma chi fa la volontà del Padre mio» (cfr. Mt 7,21).
Questo pericolo di discrepanza tra il credo e la sua azione corrispondente è molto presente oggi. Viviamo in un’epoca in cui tante sono le promesse, ma poche le prassi di vita che dimostrano la concretezza dell’impegno. Perciò è forte la necessità di compiere scelte autentiche, nello stile della sobrietà, della povertà, dell’essenzialità.
«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» è una nota affermazione di papa Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, n. 41.
Educatori e psicologi dell’infanzia affermano insistentemente che i comportamenti dei genitori vengono emulati dai figli così come questi li vedono, osservando attentamente non tanto le parole quanto le azioni. La scuola di vita dei bambini è la testimonianza dei loro familiari, chiamata popolarmente «buon esempio».
Tutto questo è importante ma non sufficiente, perché è necessario un cambiamento di mentalità. Ogni azione porta con sé un pensiero, ossia dietro alla prassi c’è una visione di vita che conduce all’azione. Ci vuole quindi un cambiamento culturale, perché la madre di tutte le rivoluzioni è culturale. Dalla forma mentis partono tutti i cambiamenti: sociali, economici, politici, finanziari, etici, religiosi ecc.
In Brasile il Movimento Sem Terra («dei senza terra») porta avanti la sua lotta per la riforma agraria mediante la rivoluzione culturale, sostenendo che non è sufficiente conquistare la terra, ma bisogna cambiare la visione che ne abbiamo, liberandoci soprattutto dall’utilitarismo tipico del sistema capitalista di stampo neoliberista, che porta le persone a trattare la terra come una merce, un mero oggetto su cui speculare.
Per realizzare questo cambiamento di mentalità, il Movimento Sem Terra prevede quale componente essenziale del suo cam...