Confessioni di un animista
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Confessioni di un animista

Fede e religione in Africa

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Confessioni di un animista

Fede e religione in Africa

About this book

Animismo, che parola! Il nostro immaginario vi associa dimensioni negative come «magia» o «superstizioni». Padre Orobator, teologo di vaglia, denuncia l'utilizzo storicamente spregiativo di tale termine. Egli invece lo rivaluta in chiave positiva, poiché la religione tradizionale africana «incarna un profondo radicamento nello Spirito che dà vita a ogni cosa» e stabilisce la «capacità di connessione con la parte più profonda di ogni realtà». In altre parole, l'animista vede il creato come «una carezza di Dio» (Francesco). Orobator sa bene di cosa parla. Nigeriano, figlio di genitori sacerdoti di un culto tradizionale, a 16 anni chiede il battesimo; in seguito si farà gesuita. Ma non per questo tronca le radici della sua cultura, memore delle parole di Paolo VI: «L'africano che diventa cristiano non disconosce sé stesso». Mentre il cattolicesimo europeo langue, l'Africa diventa il continente con più cristiani al mondo. Ma quel che conta non sono le statistiche. Secondo Orobator il cristianesimo continuerà a crescere in Africa: ma ciò avverrà grazie alla vitalità dell'animismo, non malgrado esso. Tale freschezza spirituale diventa feconda non solo per il continente nero: «Lo spirito di ospitalità e tolleranza di cui è permeata la spiritualità africana può essere una risorsa per il cristianesimo globale, che ha bisogno di modelli di dialogo e reciprocità»

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Information

1. LA FEDE DI MIO PADRE,
LO SPIRITO DI MIA MADRE
Le acque del fiume non scorrono mai all’indietro.
Proverbio africano

Non importa quante volte un leopardo attraverserà
un fiume: non perderà mai le sue macchie.
Proverbio africano


C’è stato un tempo in cui non ero cristiano. Il mio cammino di fede si divide in tre fasi distinte ma sovrapposte. All’inizio, sono nato nella religione africana; in seguito mi sono convertito al cristianesimo. Il cristianesimo mi ha insegnato un forte disprezzo per tutte le cose feticiste e animiste, perché era così che i buoni cristiani venivano catechizzati a percepire la religione africana. La transizione dalla religione africana al cristianesimo era una rottura netta – o almeno tale era l’aspettativa –, a giudicare dalla veemenza con cui il catechismo respingeva qualsiasi pratica religiosa tradizionale e tutti gli africani che nella loro cecità persistevano nel seguire quello stile di vita.
Per mia fortuna, la rottura radicale con un passato ritenuto maledetto e diabolico non si è mai concretizzata. Nel corso del tempo, ho imparato ad assumere una distanza critica ma rispettosa e riconoscente nei confronti di queste due fasi della mia esperienza religiosa. Questo atteggiamento di critica, rispetto e apprezzamento costituisce una terza fase distinta, ed è caratterizzato dal tentativo appassionato di integrare, far convergere e armonizzare affermazioni e contestazioni apparentemente disparate e conflittuali fra le tradizioni religiose che dominano il paesaggio africano. La traiettoria che collega queste tre fasi dell’esperienza religiosa spiega in parte l’origine e la natura di questo libro.
Anche se comincio con un racconto del passato, questo libro non riguarda il passato. È il racconto di un cammino personale in evoluzione che descrive le esperienze attuali e traccia le direzioni future di come le tradizioni religiose operano in un continente in cui la vita pulsa irrefrenabile ma che è ostinatamente assediato dalla morte. Nelle sue opere, il teologo ugandese Emmanuel Katongole ritrae entrambi gli aspetti della storia socio-religiosa dell’Africa ricorrendo a immagini di chiese e bare.3
Ovunque si guardi, nell’Africa subsahariana si vedono chiese. Alcune sono mobili e ti seguono ovunque tu vada. Ricordo le innumerevoli volte che, salendo su mezzi pubblici in diverse città africane, di solito in autobus, e aspettandomi una corsa tranquilla e senza problemi, ho visto all’improvviso un passeggero (in genere un uomo) alzarsi dal suo posto e iniziare a predicare. Il rito conclusivo di questa forma di evangelizzazione è ancora più intrigante, in quanto il predicatore invariabilmente fa un giro di colletta. I passeggeri contribuiscono generosamente e con gratitudine, e nessuno si lamenta.
A Nairobi, dove vivo, c’è uno slum chiamato Kibera. Si calcola che in quel piccolo appezzamento di terra abiti un milione di persone, e secondo alcuni il numero sarebbe ancora più alto. Che le statistiche concordino o meno, sta di fatto che quel posto è stipato di esseri umani. A Kibera l’acqua scarseggia, come pure l’elettricità. E ancora più carenti sono i servizi igienici. È a Kibera che è nata la famigerata pratica dei «gabinetti volanti». Non esistendo veri servizi igienici, i residenti ricorrono all’uso di sacchetti di plastica. Un metodo tipico di smaltimento è quello di gettare il sacchetto dei rifiuti il più lontano possibile dall’ambiente in cui vive il proprietario, da qui il nome «gabinetto volante». Se i servizi igienici sono scarsi, ovunque, però, si volga lo sguardo si vede una chiesa. Anche le moschee non sono poche né distanti tra loro. Che Kibera abbia luoghi di culto dappertutto ma sia priva di servizi igienici è diventata ormai una battuta ricorrente.
Le chiese non sono quasi mai noiose, nel continente. I visitatori in Africa spesso si meravigliano e al tempo stesso si fanno beffe della vitalità, del caos e delle lunghe ore che caratterizzano le vivaci e prolisse celebrazioni di culto. Fortunatamente, il più delle volte la meraviglia sembra vincere la derisione. Andare in chiesa e partecipare al servizio di culto è una cosa seria. Alcuni servizi durano un’intera giornata, eppure i fedeli se ne tornano a casa desiderando di più. Arrivano ministri, pastori, celebranti e predicatori di tutti i tipi. Alcuni di loro sono nuovi arrivati in difficoltà, con uno spazio di culto non più grande di una baracca di lamiera. Ma sono fiduciosi che un giorno ce la faranno o, per usare un più adeguato registro religioso, sarà concessa loro una svolta divina. Quelli che ce l’hanno fatta sono i «pezzi grossi» che contano milioni di seguaci e vantano numerose ramificazioni in paesi e continenti.
Prendiamo l’esempio del pastore e televangelizzatore nigeriano Temitope Balogun Joshua, fondatore di The Synagogue, Church of All Nations (Scoan). Il miracoloso spettacolo del sedicente profeta viene trasmesso in diretta in tutto il mondo dalla polverosa enclave di Lagos, capitale commerciale della Nigeria, tramite la sua rete televisiva personale, Emmanuel TV. «Mega» è l’attributo comunemente usato per descrivere le tentacolari reti delle comunità cristiane di T.B. Joshua e di altri leader cristiani africani. La Scoan attira pullman e aerei carichi di visitatori di tutte le nazioni, un fatto tragicamente confermato quando, nel 2014, un ostello costruito appositamente per accogliere ospiti internazionali crollò causando la morte di 115 seguaci del culto. La maggior parte delle vittime erano sudafricane e la loro morte fece indignare il governo di Pretoria, causando un incidente diplomatico. Esistono ancora restrizioni sui visti per i sudafricani che desiderano visitare la Nigeria per motivi religiosi. Mentre le nazionalità delle vittime venivano tenute segrete come una questione di stato, le bare con i corpi dei fedeli defunti furono rispedite nei rispettivi paesi. A distanza di pochi anni, la Scoan, l’impero evangelico del profeta, continua a pulsare di vita.
L’intento di questo primo capitolo è triplice. In primo luogo, offre la narrazione personale di esperienze che hanno influenzato e formato la mia consapevolezza, comprensione e pratica della religione. L’ho definita sopra come la prima fase della mia traiettoria religiosa. Secondo, traccia un ritratto della religione e di come funziona in Africa, prendendo in considerazione la fase della mia conversione al cristianesimo cattolico. E, in terzo luogo, tenta di rispondere alla domanda su che cosa possa venire di buono dall’esperienza religiosa in Africa. L’obiettivo generale è dimostrare come tutti e tre gli argomenti siano collegati tra loro: per quanto possano apparire separati, li considero correlati e sovrapposti.
Africa, Africa mia
Il mio primo compito è quello di dissipare alcune nozioni preconcette sulla vita in Africa e di affrontare l’analisi del continente con una certa complessità metodologica. La conoscenza che si ha dell’Africa è solitamente caratterizzata da immagini stereotipate e generalizzazioni che la ritraggono come terra di malaria, zanzare, ebola, aids, caldo tropicale, povertà, fame, guerre, rifugiati, animali selvatici, safari e così via. Si aggiungano a tutto questo le varie rappresentazioni iconiche dell’Africa nei film di Hollywood: La mia Africa, La regina d’Africa, Spiriti nelle tenebre, Blood Diamond – Diamanti di sangue, Hotel Rwanda, Il Re Leone, Ma che siamo tutti matti? e L’ultimo re di Scozia, per citarne solo alcuni. In realtà, pochi non africani conoscono veramente il continente. Molefi Kete Asante ama puntualizzare: «Al culmine del XX secolo, l’Africa resta il più frainteso dei continenti, distorto nella nostra immaginazione da immagini radicate nella mente di europei imperialisti che hanno tentato di plasmare e inventare un’Africa che si confacesse alle loro ambizioni politiche».4
Amo la poesia. Le poesie hanno la capacità di raccontare la complessità della realtà in termini forti, vividi e sottilmente evocativi. L’Africa è argomento di molte poesie, ma quella che maggiormente riesce a catturarne la complessità storica, almeno per me, è Africa, Africa mia, composta dal poeta senegalo-camerunese David Mandessi Diop (1927-1960).

Africa, Africa mia
Africa fiera di guerrieri nelle ancestrali savane
Africa che la mia ava canta
In riva al fiume lontano
Mai t’ho ved...

Table of contents

  1. Introduzione
  2. 1. LA FEDE DI MIO PADRE, LO SPIRITO DI MIA MADRE
  3. 2. IL MIRACOLO DI UN SECOLO
  4. 3. IL MERCATO DELLE FEDI
  5. 4. PERFORMANCE PATOLOGICHE E PRATICHE PROFETICHE
  6. 5. GUARIRE LA TERRA, GUARIRE L’UMANITÀ
  7. 6. LA SPINA DORSALE DELLA CHIESA, O DELLA RETORICA DI GENERE
  8. 7. IL FIORIRE DELLE RELIGIONI
  9. CONCLUSIONE Può essere pura apparenza?
  10. RINGRAZIAMENTI
  11. BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
  12. INDICE DEI NOMI