Mafie del mio stivale
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Mafie del mio stivale

Storia delle organizzazioni criminali italiane e straniere nelnostro Paese

Enzo Ciconte

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Mafie del mio stivale

Storia delle organizzazioni criminali italiane e straniere nelnostro Paese

Enzo Ciconte

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Cos'è la mafia, come e quando è nata, come si è sviluppata, come è cambiata, quali sono i suoi legami con il potere, con la politica, con le istituzioni, con l'imprenditoria? Enzo Ciconte ricostruisce la storia delle organizzazioni criminali: cosa nostra, 'ndrangheta, camorra, sacra corona unita e anche quelle di origine straniera (cinese, albanese, nigeriana, colombiana, bulgara, romena e altre) da anni attive e stanziali in Italia. Partendo dalle origini, che si possono far risalire agli inizi dell'Ottocento, passando dal momento cruciale dell'Unità d'Italia e del fascismo, per arrivare alla Repubblica e alle connessioni sempre vive tra politica e cupole: quella delle mafie non è soltanto una storia criminale, ma sostanzialmente una storia del potere.Con linguaggio divulgativo e narrazione avvincente Enzo Ciconte ci consegna un saggio fondamentale e necessario per comprendere il fenomeno mafioso in tutte le sue articolazioni. Un libro che è anche un manuale di resistenza civile, un invito alle giovani generazioni perché dalla conoscenza possa nascere un futuro di riscatto.

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Information

Publisher
Manni
Year
2017
ISBN
9788862667975
Una volta, quando si parlava di mafia si intendeva riferirsi a quella siciliana. Adesso si parla di mafie al plurale perché accanto alla mafia siciliana ci sono quella calabrese che si chiama ’ndrangheta e quella campana che si chiama camorra. Queste sono le mafie storiche. Poi, più di recente, è apparsa quella pugliese denominata sacra corona unita. Negli ultimi anni sono arrivate le mafie straniere: cinese, turca, albanese, nigeriana, colombiana, russa ed altre ancora. Mafie italiane di antica data e mafie straniere di recente formazione convivono nello stesso territorio.
Una volta, quando si parlava di mafie il pensiero correva al Mezzogiorno dove sono nate le mafie storiche. Adesso non è più così perché le mafie si sono radicate nelle regioni del Centro e del Nord Italia, hanno valicato i confini nazionali e si sono installate in molti paesi stranieri di tutti i continenti. Inoltre, durante il periodo repubblicano in modo inaspettato sono nate e cresciute potenti organizzazioni criminali e mafiose fuori dal Mezzogiorno: la Banda della Magliana a Roma che è sorta negli anni Settanta del Novecento e la Mala del Brenta in Veneto che è nata nei primi anni Ottanta. Nel 2015 è esplosa a Roma Mafia capitale, una mafia originaria e originale come è stata definita, anche se non c’è ancora una sentenza definitiva.
La storia delle mafie è costellata da approssimazioni, luoghi comuni, stereotipi, idee errate e fuorvianti che hanno avuto l’effetto di occultarne la vera natura e di favorirne la crescita e lo sviluppo.
Quando è nata la mafia? Nessuno lo sa con certezza. Non c’è un atto notarile che ne attesti la nascita. Gli stessi storici sono divisi. C’è chi dice che nasce con l’Unità d’Italia. C’è chi dice ancora prima, addirittura nel Cinquecento.
Perché la mafia si chiama mafia? E da dove viene la parola mafia? Anche su questo non c’è accordo. Viene da un’epoca lontana o da più vicino? Sono poche le certezze, tante le opinioni e sono stati versati fiumi d’inchiostro per descrivere le diverse ipotesi che si sono contese l’attenzione degli studiosi.
Ma esiste la mafia? Adesso tutti dicono di sì e molti pensano di averla vista, o di vederla, dappertutto; persino dove non c’è. Un tempo, però, erano in tanti a dire che la mafia non esisteva, che era un’invenzione di chi voleva male alla Sicilia e ai siciliani.
Quest’incertezza nelle risposte è uno dei motivi che accrescono il fascino della mafia. D’altra parte i mafiosi oltre che violenti, criminali, assassini, stragisti hanno una particolare propensione a creare consenso, fare cultura, proporre stili di vita alternativi. È aberrante tutto ciò, ma dobbiamo sapere che fa parte della realtà.
Il nome mafia è stato esportato all’estero ed è un termine di successo, un brand o una griffe che attrae. All’estero ci sono locali pubblici, ristoranti, canzoni, etichette di prodotti commerciali che si richiamano, senza vergogna alcuna, alla mafia. Ciò che per noi italiani rappresenta una ferita ancora aperta e grondante sangue, per gli stranieri è un business, un modo come un altro per fare soldi. Molti di loro non sanno che in questo modo stanno scavando un baratro nel loro futuro perché il rischio concreto è che con queste premesse sarà popolato da mafiosi veri e non da quelli di plastica messi in mostra per richiamare gli allocchi, quelli che vogliono le emozioni forti al riparo di ristoranti alla moda o di vestiti griffati come nel Padrino di Francis Ford Coppola.
Perciò è importante studiare tutte le mafie, far scendere i mafiosi dal piedistallo, ed è molto utile conoscere il fenomeno a fondo, a partire dalle radici antiche, per poterlo meglio contrastare.

ALLE ORIGINI

Molti sono convinti che l’organizzazione criminale più antica sia la mafia siciliana. Invece tale primato appartiene alla camorra che è sicuramente l’organizzazione le cui tracce compaiono per prime. Il termine camorra è il più antico e lo si trova in atti ufficiali. Il codice della camorra – denominato Frieno – comparve nel 1842. La parola camorrista entrò per prima in una legge, la legge Pica del 15 agosto del 1863, che fu approvata “per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette”. La principale attività, sin dai primordi della sua esistenza, è stata quella dell’estorsione sul gioco e su una serie di attività economiche, piccole o grandi che fossero.
I viceré spagnoli registrarono questo fenomeno durante il loro regno e per contrastarlo emanarono numerose prammatiche. Una del 27 settembre 1573 firmata dal cardinale Gran Vela descriveva la situazione esistente nelle carceri e si soffermava sulle “molte estorsioni dai carcerati, creandosi l’un l’altro priori in dette carceri, facendosi pagare l’olio per le lampade e facendosi dare altri illeciti pagamenti, facendo essi da padroni in dette carceri”.
Una crudeltà aggiuntiva alla detenzione era quella di imporre al detenuto appena giunto in galera il pagamento di un obolo che serviva – così gli veniva detto – per acquistare l’olio per la lampada della Madonna che doveva rimanere permanentemente accesa, giorno e notte. Era un modo ingegnoso per richiedere l’estorsione. È interessante notare che questo accadeva già in periodo spagnolo e lo ritroveremo nelle carceri napoletane in pieno Ottocento.
Ancor prima dell’Unità d’Italia ci sono delle tracce di un’attività che presto sarebbe stata definita mafiosa, ma che ancora non aveva una definizione precisa perché il nome mafia era ancora sconosciuto. Un esempio è dato dal rapporto inviato il 3 agosto 1838 da Pietro Calà Ulloa, procuratore generale presso la gran corte criminale di Trapani, al ministro della Giustizia nel quale erano descritte le prime avvisaglie del fenomeno mafioso. Nello scritto del magistrato c’è la descrizione della cassa comune e la funzione di mediazione che ritroveremo in tempi successivi:
Vi ha in molti paesi delle Fratellanze, specie di sette che dicono partiti, senza colore o scopo politico, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di difenderlo, ora di proteggere un imputato, ora di incolpare un innocente. Sono tante specie di piccoli Governi nel Governo.
Il popolo è venuto a tacita convenzione con i rei. Come accadono i furti, escono i mediatori ad offrire transazione pel recuperamento degli oggetti involati. Il numero di tali accordi è infinito. Molti possidenti perciò hanno creduto meglio divenire oppressori che oppressi, e s’iscrivon nei partiti. Molti alti magistrati li coprono di un’egida impenetrabile.
P. Calà Ulloa, Considerazioni sullo stato economico e politico della Sicilia, in E. Pontieri, Il riformismo borbonico nella Sicilia del Sette e dell’Ottocento, p. 235.

IL NOME

Si è dibattuto molto sulle origini del nome. Le discussioni degli studiosi sono innumerevoli e quasi sempre hanno raggiunto risultati gli uni diversi dagli altri. Secondo alcuni il termine camorra – il più antico di tutti – è la corruzione di gamurra che indicava un rozzo vestito che richiamava la chamarra spagnola. Altri, invece, lo riferiscono ad un’ampia e lunga veste usata dalle donne nel medioevo che veniva definito gamurra o camurra o camorra. Altri ancora la riferiscono all’uso napoletano di indossare una giacca cortissima. Giovan Battista Basile in una sua novella scrive: “Le facette vedere camorra de toletta de Spagna”.
Il termine mafia, invece, secondo il vocabolario siciliano del Traina pubblicato nel 1868, subito dopo l’Unità sarebbe stato importato in Sicilia dai piemontesi che a loro volta l’avrebbero preso dalla Toscana dove il vocabolo maffia – con due effe – vuol dire miseria. Altri ancora hanno fatto riferimento a presunte, ma non sicure, ascendenze arabe. Secondo lo scrittore siciliano Leonardo Sciascia la parola mafia si trova già nel 1658 ed è il soprannome di una magàra, cioè di una donna dedita a pratiche di magia. Secondo il famoso etnologo siciliano Giuseppe Pitrè, che scrive nel 1889, mafia era sinonimo di “bellezza, graziosità, perfezione, eccellenza nel suo genere”:
Io sono pago di affermare la esistenza della nostra voce nel primo sessantennio di questo secolo, in un rione di Palermo, il Borgo, che fino a vent’anni addietro facea parte per se stesso, e si reputava qual’era topograficamente, diviso dalla città. E al Borgo la voce mafia coi suoi derivati valse e vale sempre bellezza, graziosità, perfezione, eccellenza nel suo genere. Una ragazza bellina che apparisca a noi cosciente di essere tale, che sia ben assestata e nell’insieme abbia un non so che di superiore e di elevato, ha della mafia ed è mafiusa, mafiusedda.
G. Pitrè, Usi e costumi, pp. 289-290.
La mafia calabrese è denominata ’ndrangheta, con un termine di origine grecanica che significa uomo coraggioso e valoroso. All’inizio non era conosciuta con questo nome e per designarla si ricorreva al termine di mafia o maffia, o a quello di picciotteria, di camorra, di onorata società, di famiglia Montalbano.
Ci fu un’incertezza di termini che durò a lungo, ma al momento dell’Unità d’Italia le cose cambiarono. Già a partire dal 1862 per la Sicilia e per la Campania le definizioni erano ormai un fatto accertato. Proprio in quell’anno fu portato sulle scene dei teatri palermitani un dramma teatrale di Giuseppe Rizzotto intitolato I mafiusi di la Vicaria (la Vicaria era il carcere di Palermo). Da quel momento la parola mafia si impose nella storia del crimine organizzato e nel giro di qualche anno sostituirà quella di camorra più conosciuta e più antica, e purtroppo sarà destinata ad essere il vocabolo italiano più noto nel mondo.

I CODICI

Mafia, camorra e ’ndrangheta, oltre alle differenze evidenti, hanno molte cose in comune. Tra queste l’uso dei codici e dei rituali che compaiono sin dall’Ottocento. Il loro utilizzo era molto importante perché affascinava i nuovi arrivati e dava loro l’impressione di far parte di un’organizzazione complessa, forte, strutturata, dove c’erano delle regole che era necessario rispettare, una gerarchia con capi e vari gradi, un linguaggio a volte astruso e incomprensibile che però era la conferma, agli occhi di quei giovani analfabeti, che c’erano persone che sapevano leggere, scrivere e parlare come i galantuomini e i baroni che comandavano in paese.
I codici rappresentavano una sorta di schermatura ideologica per i giovani picciotti che li distingueva dai loro coetanei e li faceva considerare più autorevoli perché oramai erano uomini di rispetto, uomini d’onore. Al tempo del primo apparire di queste organizzazioni mafiose, rispetto ed onore erano concetti molto importanti e condivisi nella società.
Favole e leggende hanno costituito un formidabile immaginario per i nuovi arrivati che avevano bisogno di sentirsi dire che entravano a far parte di un’organizzazione rispettata con nobili e prestigiosi antenati. Nobili erano i Beati Paoli siciliani, personaggi di fantasia, una sorta di setta di giustizieri che puniva i potenti per proteggere i deboli. Senza che qualcuno gliene avesse concesso l’autorità, essi si arrogavano il diritto di giudicare e di emettere sentenze, che venivano puntualmente eseguite, nei confronti di coloro che ritenevano colpevoli. Era un modo come un altro per nobilitare ed idealizzare il ruolo della cosca mafiosa che si comportava esattamente come i Beati Paoli.
Nobili erano Osso, Matrosso, Carcagnosso, cavalieri spagnoli appartenenti alla Guarduña, fondata a Toledo nel 1412. I tre si rifugiarono presso l’isola della Favignana dopo essere scappati dalla Spagna per aver ucciso l’uomo che aveva attentato all’onore di una loro sorella. Si nascosero nelle grotte dell’isola per 29 anni e riemersero alla luce del sole dopo aver predisposto le regole sociali. La leggenda vuole che essi abbiano fondato mafia, camorra e ’ndrangheta.
Gli uni e gli altri sono personaggi inventati, ma hanno avuto indubbiamente un ruolo formidabile nel costruire l’immaginario mafioso, l’intelaiatura ideologica delle moderne organizzazioni mafiose.
I codici sono simili, ma non uguali tra di loro. Si viene a conoscenza dei codici dopo l’ingresso nell’organizzazione, che è denominato battesimo, e dopo aver prestato giuramento. Nella mafia siciliana il rituale prevede la puntura del dito, e il sangue che fuoriesce viene versato sopra un’immagine sacra che brucia. Le ceneri sono gettate in aria e disperse a simboleggiare la fine dei traditori e l’impossibilità di ricomporre quell’immagine.
Una volta entrati in un’organizzazione mafiosa non era più possibile uscirne, a meno di non diventare dei traditori, infami venivano chiamati.
Giovinotto, Desidero divenire picciuotto.
Caposocietà, E che significa picciuotto?
Giovinotto, Picciuotto vuol dire: un uomo di sangue freddo, servo dei camorristi, e che porta miele in bocca e rasoio in cuore!
Caposocietà, Perché porta miele in bocca e rasoio in cuore?
Giovinotto, Il miele serve per raddolcire le quistioni, ed il rasoio per discacciare l’infamia.
Caposocietà, E che significa caposocietà?
Giovinotto, Vuol dire un uomo di grande onore, e scelto dalla società, per dar ragione a chi spetta e torto a chi lo merita; e che porta due votazioni, una cioè dalla diritta in testa ed un’altra dalla sinistra in testa.
Caposocietà, Col permesso di questi superiori, desidero sapere che altro volete da questa società?
Giovinotto, Bramo fare il mio dovere, prima dalla diritta in testa, e poi dalla sinistra in testa (bacia le mani collo stesso ordine tenuto dal guaglione).
Caposocietà, Avete nient’altro da aggiungere?
Giovinotto, Capo, è vero che a noi picciuotti non spetta niente di ciò che ricaviamo dalla camorra; però, sempre per favore e grazia, riunendosi la società maggiore, proponete ai superiori di far rilasciare a nostro benefizio qualche piccolo fiore.
Caposocietà, Va bene: non appena si riunirà l’intiera società, comunicherò ai compagni-superiori questo vostro desiderio e son sicuro che dalle tangende sarà rilevato qualche piccolo fiore per voi. Ed ora, se non avete altro da aggiungere e se i compagni qui presenti non hanno da fare osservazioni in contrario, io vi caccio, in nome della società dell’umirtà, picciuotto e vi dichiaro distaccato dai giovinotti onorati.
Giovinotto, Ringrazio la società dell’onore accordatomi e mi dichiaro servo legittimo (parte).
A. De Blasio, Usi e costumi dei camorristi, p. 9.
C’è un codice ottocentesco della mafia con domande e risposte molto scarne che però danno l’idea della difficoltà a comprendere queste norme.
A chi dicono di adorare?
Il sole e la luna
Chi è il vostro dio?
Un Aria
E a quale regno appartiene?
A quello dell’indice.
Sono formule oscure, incomprensibili, ma piene di fascino che hanno proprio la funzione di attrarre i nuovi arrivati verso qualcosa di misterioso, di inafferrabile e di impalpabile. È una caratteristica, questa, che accomuna tutte le mafie storiche.
C’è poi la ’ndrangheta che è l’organizzazione che possiede il maggior numero di riti conosciuti negli ultimi decenni.
In un bar di Singen, cittadina di 45.000 abitanti nel Land del Baden-Württemberg che confina a sud con la Svizzera e a ovest con la Francia, ci fu una riunione di ’ndrangheta nel dicembre 2009; prima di iniziare il capo battezzava il locale con queste parole: «Io lo battezzo come lo hanno battezzato i nostri tre cavalieri di Spagna… i nostri tre cavalieri che dalla Spagna sono partiti… se loro hanno battezzato con ferri e catene, con ferri e catene lo battezzo io… se loro hanno battezzato con carceri scuri e carceri p...

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