La tranquillità è la chiave
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La tranquillità è la chiave

La saggezza stoica per una vita piena

Ryan Holiday

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La tranquillità è la chiave

La saggezza stoica per una vita piena

Ryan Holiday

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Tutti i principali leader, pensatori, artisti, atleti e visionari hanno in comune una qualità imprescindibile: la capacità di raggiungere e mantenere la tranquillità. A volte scambiata, con un certo cinismo, per pigrizia o indecisione, la tranquillità è in realtà la via maestra per accedere al dominio di sé, all'autodisciplina e alla concentrazione. Se si vuole vivere al meglio la propria esistenza, non è possibile farne a meno. La tranquillità permette ai grandi campioni di mantenere il controllo sui propri stati d'animo, di ignorare le distrazioni e scoprire nuove prospettive, di raggiungere la felicità e fare la cosa giusta. A partire dai più grandi pensatori della storia, da Confucio a Seneca, da Marco Aurelio ai monaci cristiani, Holiday ci spiega che cos'è la tranquillità e come possiamo raggiungerla. In queste pagine analizza molte delle figure che nella propria vita ne hanno incarnato l'essenza: il campione di baseball Sadaharu Oh, che studiando i principi Zen è diventato il più grande battitore di tutti i tempi

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2022
ISBN
9788836000319
PARTE III
LA MENTE • LO SPIRITO • IL CORPO
“Siamo tutti scultori e pittori e il materiale della nostra opera è nella nostra carne, nel sangue e nelle ossa”
HENRY DAVID THOREAU
IL DOMINIO DEL CORPO
Winston Churchill ebbe una vita produttiva. Combatté per la prima volta all’età di 21 anni e scrisse il suo primo best seller non molto tempo dopo. A 26 era già stato eletto ai pubblici uffici e rimase al servizio del governo per i 65 anni successivi. Nel corso della sua vita scrisse circa dieci milioni di parole e più di 40 libri, lavorò a oltre 500 dipinti e tenne qualcosa come 23.000 discorsi. Oltre a tutte queste attività, trovò il tempo di ricoprire l’incarico di ministro della difesa, primo lord dell’ammiragliato, cancelliere del tesoro e, naturalmente, primo ministro della Gran Bretagna – ruolo in cui contribuì a liberare il mondo dalla minaccia nazista. Infine, trascorse i suoi ultimi anni impegnato a combattere contro la minaccia del totalitarismo comunista.
“È un periodo storico carico di pressioni e dobbiamo farci largo senza indugi”, scrisse alla madre in giovane età. Probabilmente uno dei personaggi più intraprendenti della storia, nel corso della sua lunga vita Churchill assistette, in qualità di corrispondente di guerra, all’ultima carica di cavalleria dell’impero britannico nel 1898, ma anche – decenni dopo – all’era nucleare e alla conquista dello spazio, alle quali contribuì attivamente. Il suo primo viaggio verso gli Stati Uniti fu a bordo di una nave a vapore (per essere poi presentato sul palco nientemeno che da Mark Twain) e l’ultimo su un Boeing 707 che volava a oltre 800 chilometri all’ora. Tra questi due eventi vide due Guerre Mondiali, l’invenzione dell’automobile, della radio e del rock’n’roll e attraversò una lunghissima serie di tribolazioni e successi.
C’era tranquillità, in un’esistenza simile? È possibile che una persona tanto attiva, inscalfibile nell’affrontare le proprie fatiche, in grado di reggere un simile livello di stress e conflittualità, si possa descrivere come tranquilla e in pace?
Stranamente sì.
Come scrisse Paul Johnson, uno dei più quotati biografi di Churchill, “l’equilibrio che riuscì a mantenere tra lavorare a pieno regime e dedicarsi ad attività creative in grado di rilassarlo dovrebbe essere preso ad esempio da chiunque ricopra ruoli di rilievo”. Quando aveva solo 17 anni, decenni prima di diventare uno scrittore, incontrando casualmente Churchill per strada, Johnson gli urlò: “Sir, a che cosa attribuisce il suo successo nella vita?”.
Churchill replicò senza esitare: “So come conservare le energie. Mai stare in piedi quando puoi sederti e mai restare seduto quando puoi sdraiarti”.
Churchill conservava le proprie energie in modo da non dover mai rinunciare a un appuntamento o sottrarsi a una sfida. In questo modo, nonostante lavoro e impegni, non arrivò mai all’esaurimento delle forze, né gli mancò mai quella scintilla di entusiasmo che rende la vita degna di essere vissuta. Per inciso, oltre all’importanza del duro lavoro, Johnson evidenziò altre quattro lezioni fondamentali da apprendere dalla vita di Churchill: puntare in alto, non lasciarsi scoraggiare da critiche o errori, non sprecare energie in risentimenti, scorrettezze o lotte intestine e, infine, lasciare sempre un po’ di spazio alla gioia. Anche durante la guerra Churchill non perse mai il suo senso dell’umorismo né smise di vedere la bellezza nel mondo e non si fece mai sopraffare dalla stanchezza o dal cinismo.
Diverse culture offrono indicazioni differenti su come condurre una vita di buona qualità. Gli stoici si concentravano sulla determinazione e su una disciplina di ferro; gli epicurei predicavano l’importanza del riposo e dei piaceri semplici; i cristiani insistevano sul salvare il genere umano e rendere gloria a Dio; i francesi preferivano una certa joie de vivre. I più felici e resilienti di noi riescono a includere nella propria vita un po’ di tutti questi aspetti, cosa che a Churchill riusciva perfettamente. Era un uomo molto disciplinato, ma con grandi passioni; era un soldato e un amante dei libri, che credeva nella gloria e nell’onore; uno statista, un muratore e un pittore. Una volta, scherzando con un amico, disse che siamo tutti dei piccoli insetti, esseri semplici che amano, defecano e muoiono, ma che tra tutti gli insetti lui amava pensare a se stesso come una lucciola.
Oltre alle stupefacenti abilità mentali e alla sorprendente forza d’animo, Churchill aveva anche – piuttosto inaspettatamente, dato l’aspetto corpulento – grandi risorse dal punto di vista fisico.
Non molti si aspettavano che potesse distinguersi anche in questo senso. Nato di costituzione fragile, Churchill lamentava il fatto di essere stato, da giovane, “talmente cagionevole da arrivare a fine giornata con fatica”. Eppure, come Theodore Roosevelt prima di lui, nel suo corpo così delicato aveva coltivato uno spirito indomito e una mente determinata, che gli permettevano di superare i suoi limiti fisici.
È un equilibrio a cui dovrebbe puntare chiunque aspiri a raggiungere una pace interiore prolungata. Mens sana in corpore sano. Quando diciamo che in qualche occasione una persona “ci ha messo molto cuore”, non ci riferiamo alle sue emozioni, quanto al fatto che ha mostrato grinta e tenacia. A ben guardare, è una metafora piuttosto fuorviante: in realtà è la spina dorsale, la colonna vertebrale, a tenere in piedi tutto.
Il giovane Churchill amava la parola scritta ma, a differenza degli autori tradizionali, non era solito rinchiudersi tra i tomi polverosi di vecchie biblioteche. Al contrario, gli piaceva entrare fisicamente in azione. Dopo aver partecipato, in prima persona o come osservatore, a tre guerre una dietro l’altra, si fece un nome raccontando le gesta dell’impero, inizialmente come corrispondente in Sudafrica durante la Guerra Boera –, dove fu fatto prigioniero nel 1899 riuscendo poi, fortunosamente, a salvarsi la vita.
Nel 1900 fu eletto alla sua prima carica politica. A 33 anni, rendendosi conto che scalare la vetta del successo da solo sarebbe stato impossibile, decise di assumersi un impegno solenne sposando Clementine, una donna brillante che, calmandolo e smussando alcuni dei suoi tratti caratteriali più difficili, ebbe su di lui un’influenza molto positiva. Il loro fu uno dei migliori matrimoni dell’epoca, nel quale – insieme a soprannomi affettuosi – vigevano amore e affetto sinceri. “Essere riuscito a convincere mia moglie a sposarmi”, disse, “è stato uno dei miei successi più grandi. Sarebbe stato impossibile, per qualsiasi uomo normale, superare quello che ho passato io in periodi di pace e di guerra senza l’aiuto e il supporto della parte migliore di me”.
Impegnato, ambizioso e intraprendente com’era, Churchill raramente si faceva prendere dall’affanno e non tollerava la disorganizzazione. Rovina quasi il divertimento scoprire che le sue proverbiali freddure, che sembravano naturali, erano in realtà provate e recitate. Nessuno era al corrente dello sforzo che gli costavano, dichiarò una volta, né della fatica necessaria per farle apparire spontanee. “Tutte le sere rimetto me stesso al giudizio della corte marziale, per vedere se ho fatto qualcosa di buono durante il giorno. Non se ho fatto qualcosa in generale – chiunque è in grado di muoversi – ma qualcosa di realmente efficace”.
Come scrittore, era estremamente produttivo. Tra il 1898 e la fine della Prima Guerra Mondiale, mentre ricopriva anche incarichi politici, arrivò a pubblicare ben sette libri. Come faceva? Come riusciva a ottenere così tanto da se stesso? La risposta è semplice: routine fisica.
Churchill si svegliava intorno alle otto ogni mattina e faceva un bagno. Entrava in acqua a 36,5 gradi, ma durante la seduta faceva salire la temperatura fino a 40. Oltre a stare seduto, a volte si produceva in qualche capriola. Subito dopo il bagno si dedicava per due ore alla lettura, quindi iniziava a rispondere alla corrispondenza quotidiana, che nella maggior parte dei casi riguardava questioni politiche. Verso mezzogiorno faceva una pausa per salutare sua moglie per la prima volta nella giornata, convinto che il segreto di un matrimonio felice fosse quello di non vedere il proprio coniuge prima di tale orario. A quel punto, passava al progetto di scrittura su cui stava lavorando in quel momento – che fosse un articolo, un libro o il testo di un discorso. Entro il primo pomeriggio aveva di solito prodotto un pezzo di ottima qualità, che abbandonava piuttosto bruscamente per pranzare (quando, finalmente, decideva di vestirsi). Dopo pranzo andava a fare una passeggiata intorno a Chartwell, la sua dimora immersa nella campagna inglese, portando da mangiare a pesci e cigni: la parte della giornata che lui stesso definiva più importante e piacevole. In seguito andava a sedersi sul patio per rilassarsi, pensare e riflettere. Per trovare ispirazione e serenità, spesso recitava poesie tra sé e sé. Verso le 15 faceva un sonnellino di un paio d’ore, seguito da un po’ di tempo in famiglia e da un secondo bagno prima di cena (che, rigorosa e formale, aveva luogo dopo le 20). Infine, a stomaco pieno e dopo aver sorseggiato alcuni drink, si dedicava a un’altra sessione di scrittura prima di andare a letto.
Era una routine che seguiva ogni giorno, persino a Natale.
Churchill era un gran lavoratore e un uomo dalla ferrea disciplina ma, come ognuno di noi, non era certo perfetto. Spesso lavorava più del dovuto, solitamente per compensare la sua tendenza a spendere troppo – cosa che lo portò a produrre alcuni scritti che sarebbe stato meglio non vedere pubblicati. Era impulsivo, gli piaceva giocare d’azzardo e tendeva a prendere più impegni di quanti non potesse mantenerne. Non fu dal suo infaticabile impegno in tempo di guerra che trasse l’ispirazione per rappresentare se stesso, in un disegno, come un maiale che trascinava un peso da oltre nove tonnellate: fu la sua indulgenza che lo spinse a farlo.
Nella vita non collezionò certo una serie interminabile di trionfi, anzi, sbagliò moltissimo, spesso a causa degli errori di valutazione tipici di una mente affaticata dallo stress. Così le sue prestazioni durante la Prima Guerra Mondiale furono oggetto di giudizi contrastanti. La sua amministrazione in tempo di guerra era stata caratterizzata da alcuni gravi insuccessi, ma Churchill si era poi riscattato dando le dimissioni e prendendo servizio in prima linea tra le fila dei Royal Scots Fusiliers, i fucilieri reali scozzesi. Al termine del conflitto fu chiamato a ricoprire il ruolo di ministro della guerra e dell’aviazione e, successivamente, di ministro delle colonie.
A metà degli anni Venti fu nominato cancelliere del tesoro (una posizione al di sopra delle sue possibilità) e aveva, inoltre, un contratto firmato per produrre un resoconto della guerra in sei volumi e 3.000 pagine, intitolato Crisi mondiale e grande guerra. Lasciato a se stesso, avrebbe certamente provato a portare a compimento senza sosta quell’enorme mole di lavoro, ma le persone intorno a lui si resero conto delle tante responsabilità sulle sue spalle e, nella preoccupazione che potesse andasse incontro a una fase di burnout, gli suggerirono di trovarsi un hobby che gli concedesse qualche piacevole intervallo di riposo. “Non dimentichi ciò che ho detto riguardo al prendere le distanze dai problemi attuali”, gli scrisse il primo ministro Stanley Baldwin. “Sta per iniziare un anno importante e molto dipende dalla sua capacità di mantenersi lucido”.
Con uno slancio tipico del suo modo di essere, Churchill scelse un hobby quantomeno inconsueto: il mestiere del muratore. Avvicinatosi a quell’attività grazie alle spiegazioni di due operai che lavoravano a Chartwell, si innamorò subito del processo lento e metodico di mescolare la malta, applicarla con la cazzuola e impilare un mattone sopra l’altro. A differenza della scrittura e della politica, fare il muratore non lo stancava, anzi: gli dava energia. Arrivava a posare fino a novanta mattoni all’ora. Come scrisse al primo ministro nel 1927, “Ho trascorso un mese piacevolissimo, costruendo un villino e dettando un libro: 200 mattoni e 2.000 parole al giorno”; passava anche diverse ore al giorno ad assolvere ai suoi doveri ministeriali. Un amico osservò quanto gli facesse bene svolgere lavori manuali e avere un contatto diretto con la terra. Era anche tempo prezioso che trascorreva con Sarah, la sua figlia più piccola, che con buona volontà porgeva i mattoni al padre facendogli da piccola e adorata apprendista.
In un momento particolarmente difficile della Prima Guerra Mondiale decise di dedicarsi a un nuovo hobby, quello della pittura a olio. Le prime nozioni in merito gli furono impartite dalla cognata che, vedendolo estremamente sotto stress, gli regalò un piccolo set di colori e pennelli con cui aveva giocato sua figlia. In un libriccino intitolato Painting As A Pastime, Churchill spiegò diffusamente l’importanza di affidarsi a nuove attività che impegnino altre aree del nostro cervello e del nostro corpo, per dare sollievo a quelle che usiamo in eccesso. “Per essere felici e stare bene bisognerebbe coltivare almeno due o tre hobby, che devono essere tutti concreti”.
Churchill non era un pittore particolarmente talentuoso (e anche le sue opere di muratura dovevano spesso essere corrette dai professionisti), ma basta una sola occhiata ai suoi dipinti per capire quanto l’attività gli piacesse. È evidente nelle pennellate. “Il solo atto di dipingere mi diverte moltissimo”, diceva. “I colori sono splendidi alla vista e piacevoli da spremere fuori dal tubetto”. Tempo prima, un noto pittore gli aveva consigliato di non esitare mai davanti a una tela (vale a dire, di non pensarci troppo) e Churchill lo prese alla lettera. Non si fece mai intimidire o scoraggiare dalla sua mancanza di competenze. Per inciso, solo questo può spiegare l’audacia manifestata nell’aggiungere l’immagine di un topo in un dipinto di Pieter Paul Rubens, di valore inestimabile, appeso in una delle residenze del primo ministro. Dipingere era per lui un’espressione di gioia. Un piacevole passatempo, non un lavoro.
Come tutti gli hobby di buona qualità, dipingere insegna al neofita a essere presente. “Uno dei piaceri più grandi che ho assaporato nel tentativo di imparare a dipingere è stato quello di osservare con maggiore attenzione la natura”, scrisse. Dopo essersi consumato per 40 anni tra lavoro e ambizioni, fu grazie alla pittura che la sua prospettiva e le sue percezioni si fecero molto più acute. Costretto a rallentare per preparare il cavalletto, mischiare i colori e aspettare che si asciugassero, riusciva finalmente a concentrarsi su tutto ciò che, fino a quel momento, aveva solo visto di sfuggita.
Quella di accrescere la lucidità attravers...

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