Liberare l'amore attraverso i classici
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Liberare l'amore attraverso i classici

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Liberare l'amore attraverso i classici

About this book

Si è scritto molto sulla libertà, da parecchi secoli e spesso con acume. Questo libro vuole dimostrare che la libertà tende all'amore, e che questa verità riveste un'importanza enorme nella vita di ogni uomo. Siamo stati creati liberi per amare e, quando non raggiungiamo questo fine proprio della libertà, ci troviamo di fronte a un fallimento esistenziale. Tutti desideriamo una vita piena, felice, realizzata. Il criterio per raggiungerla risiede nel fare tutto liberamente e per amore.La tesi è molto semplice, come lo sono tutte le grandi verità. Metterla in pratica è assai più complicato. Nel pensiero contemporaneo sovrabbondano concezioni della libertà lontane da questa, dove essa è concepita come una mera capacità di scelta tra diverse possibilità, o come prerogativa dell'individuo di fare ciò che vuole senza altro criterio che i suoi desideri e i suoi capricci. Molte volte si contrappone la libertà all'impegno, al dovere, all'obbedienza e all'osservanza di alcune norme di condotta. Scopo di queste pagine è incoraggiare il lettore a un concetto più alto di libertà.In questo sforzo di raggiungere un concetto più elevato di libertà, ci vengono in aiuto i classici della letteratura universale: essi descrivono in maniera plastica il cammino della libertà umana verso l'amore, quel processo di liberazione dell'amore che è stato seminato nel cuore dell'uomo. I classici sono lì a ricordarci una serie di valori a cui l'umanità ha aspirato fin dal principio, e che meritano di essere salvaguardati e custoditi. Parlano di cose che penetrano nel cuore dell'uomo e lo commuovono. Un classico è un libro che, benché sia stato scritto secoli fa, ha ancora qualcosa da dirci. E può farlo perché ci parla di cose come la verità, la bellezza, il bene e l'amore, ovvero quelle categorie esistenziali che ci riguardano più da vicino. I classici possono condurci a intravedere la verità, a provare il desiderio di esercitare la virtù, ad apprezzare quella bellezza che ci riempie l'anima. Sono in grado di trasformare la vita dei lettori, schiudendo insospettati orizzonti di amore e di libertà.Mariano Fazio (Buenos Aires, 1960) è storico e filosofo. È stato Rettore Magnifico della Pontificia Università della Santa Croce e Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Pontificie Romane (2002-2008). Attualmente è il Vicario Ausiliare della Prelatura dell'Opus Dei. Autore di più di venti libri di filosofia e di storia, tradotti in diverse lingue. Tra i libri pubblicati in italiano, citiamo: Introduzione alla storia della filosofia moderna (in collaborazione con Daniel Gamarra, Roma 1994); Due Rivoluzionari. Francisco de Vitoria e Jean-Jacques Rousseau (Roma 1998); Un sentiero nel bosco. Guida alla lettura di Kierkegaard (Roma 2000); Cristianesimo e laicità. Il pensiero cristiano del '900 nel periodo tra le due guerre (Soveria Manelli 2008); Con Papa Francesco. Le chiavi del suo pensiero (Milano 2013); Storia delle idee contemporanee (Roma 2016. III edizione); San Josemaría Escrivá. L'ultimo dei romantici (Milano 2019); Cambiare il mondo dal di dentro. La sfida dei cristiani oggi (Milano 2021).

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I. ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ

Tutti abbiamo qualche volta immaginato il “contenuto” della felicità. Forse da bambini l’associavamo a oggetti materiali come lunghe barre di cioccolata o gelati che non finivano mai. Da adolescenti, a vacanze senza fine su un’isola del Pacifico. Oppure alla corona di alloro posta sul nostro capo dopo la laurea mentre ascoltavamo gli applausi dei nostri compagni.
Altri nutriranno immagini più spirituali ma, chi più chi meno, tutti abbiamo una certa idea del contenuto della felicità. Spesso però ci sentiamo frustrati: ciò che pensavamo ci avrebbe reso felici non è stato sufficiente, e rimaniamo con una sensazione di vuoto o di mezzo pieno: un «sì, sono stato bene, ma niente di che». D’altro canto, quanta gente infelice vediamo intorno a noi! A volte noi stessi ci sentiamo insoddisfatti. Ma è possibile la felicità? Non sarà un autoinganno per vivere tranquillamente e non scontrarci con la dura realtà?
Uno dei rappresentanti più eminenti del pensiero cristiano, sant’Agostino, afferma che «di certo tutti vogliamo vivere felici e nel genere umano non c’è nessuno che non dia il proprio assenso a questa proposizione, prima ancora che sia completamente formulata»1. Quello che pensava e predicava il santo vescovo di Ippona non era per nulla nuovo. Uno dei suoi predecessori più illustri fu Aristotele che nella sua Etica a Nicomaco condivideva la medesima certezza. Tuttavia, non è necessario rifarsi ai più grandi autori dell’antichità per convincerci, dal momento che l’anelito a una vita realizzata e felice è radicato nel cuore umano.
L’evidenza di questa verità antropologica si scontra con l’esperienza quotidiana appena enunciata: molta gente non è felice.
Si racconta un aneddoto del romanziere Ivan Turgenev: «Nel 1882, un anno prima di morire, inviò una lettera allo scrittore russo Mijaíl Saltykóv-Shchedrin, che si era lamentato di essere infelice: “Mi permetta di consolarla (sebbene non sia una grande consolazione) con alcune parole che disse Goethe proprio prima di morire. Nonostante avesse goduto di tutte le gioie che la vita può offrire, nonostante avesse avuto una vita gloriosa, amato dalle donne e odiato dagli stolti, nonostante le sue opere fossero state tradotte in cinese, e nonostante tutta l’Europa si fosse prostrata ai suoi piedi in adorazione e lo stesso Napoleone avesse detto di lui: C’est un homme!... Nonostante tutto questo, all’età di 82 anni, disse che nel corso della sua lunga vita era stato felice soltanto per un quarto d’ora!”»2.
Tutte le capacità che Goethe aveva non sono riuscite a garantirgli una vita felice. Forse aveva messo il suo cuore nel posto sbagliato.
Se nella tradizione classica appare costante l’affermazione del desiderio naturale di felicità, sono però molti i pensatori che ci avvisano del pericolo di riporre le nostre speranze di felicità nel posto sbagliato. I tre “equivoci” più frequenti — elencati tra gli altri da Aristotele e san Tommaso d’Aquino — sono gli onori, i piaceri e le ricchezze.
I primi possiamo riassumerli nel concetto di “accrescimento personale”. Molte persone aspirano a diventare “importanti”, in modo che gli altri ne riconoscano la superiorità. La strada più semplice è la conquista del potere: una posizione privilegiata per imporsi sul prossimo. Ma questa strada non è sempre gratificante: le responsabilità che si assumono alla lunga ci possono travolgere; siamo esposti a critiche, diffamazioni e mormorazioni; spesso il potere “isola”, e la persona ambiziosa, quando lo perde, rimane sola, abbandonata dagli amici che si erano dimostrati tali nei momenti di gloria ma che erano solo degli opportunisti. Di solito succede anche che la smisurata ambizione di potere corrompa il cuore, rendendolo crudele e vendicativo.
Shakespeare ha rappresentato diversi re che provarono gli aspetti più duri del potere. Cominciamo con il migliore dal punto di vista morale, Enrico V.
Il re è con i suoi soldati, prima della battaglia di Azincourt. Si traveste e non venendo riconosciuto, può liberamente osservare e ascoltare i suoi sudditi. In quei momenti invidia la sorte delle persone normali. Tutto il fasto e il lusso della sua regalità non gli è sufficiente per poter trascorrere una notte tranquilla riposando in pace, poiché «so benissimo che l’unguento, lo scettro, il globo, la spada, la mazza, la corona imperiale, il manto intessuto di oro e di perle, i titoli pomposi e prolissi che annunciano il sovrano, il trono su cui siede, l’ondata di fasto che sbatte contro l’alta riva di questo mondo, nessuna di queste cose […], poste in un letto maestoso, dormono così profondamente come il miserabile servo che con ventre pieno e mente vuota, va a riposare, sazio di sudato pane»3.
Un altro dei re shakespeariani, Riccardo III, conquista il potere dopo svariati assassini e tradimenti. La felicità anelata si trasforma in disperazione, prima della sua morte, nel campo di battaglia di Bosworth:
La mia coscienza ha mille lingue diverse ed ogni lingua racconta una storia diversa, ed ogni storia mi condanna come scellerato. Lo spergiuro al grado più alto; il delitto, il crudele delitto, al grado più atroce; tutti i peccati, praticati tutti in ogni grado, si accalcano alla sbarra, e gridan tutti: «Colpevole! Colpevole!». Mi abbandonerò alla disperazione. Non c’è creatura che mi ami; e, se muoio, non un’anima avrà pietà di me; e perché dovrebbero, dal momento che io stesso non trovo in me pietà per me stesso?4
L’ambizione smisurata gli ha profondamente corrotto l’anima. Ma l’esempio più estremo del degrado umano cui porta l’ambizione del potere lo troviamo forse nei coniugi Macbeth, protagonisti della sua opera di teatro più breve. La storia è nota: fidandosi delle profezie di tre streghe scozzesi, e istigato al male dalla moglie, Macbeth uccide il buon re Duncan per ottenere la corona. Ma subito dopo l’omicidio, Macbeth comincia a sentire delle voci interiori. E dice alla moglie: «Mi è sembrato di sentire una voce gridare: «Non dormire più! Macbeth uccide il sonno!»5.
Espressione che non soltanto si riferisce all’avere ucciso Duncan mentre dormiva: ora Macbeth non avrà più alcun sonno ristoratore, poiché la coscienza ...

Table of contents

  1. INTRODUZIONE
  2. I. ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ
  3. II. IL BATTITO D’ALI DELLA LIBERTÀ DIVINA
  4. III. PELLEGRINI, NON ERRANTI
  5. IV. IL DONO SINCERO DI SÉ
  6. V. COERENZA
  7. VI. LIBERARSI DAL PROPRIO IO
  8. VII. LA VERITÀ VI FARÀ LIBERI
  9. VIII. LA LIBERTÀ DELLA CONVERSIONE
  10. IX. LIBERARE ATTRAVERSO IL PERDONO
  11. X. LIBERARCI DAL SENTIMENTALISMO
  12. XI. LIBERARCI DAL VOLONTARISMO