Le ragioni del dubbio
eBook - ePub

Le ragioni del dubbio

L'arte di usare le parole

Vera Gheno

Share book
  1. 176 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Le ragioni del dubbio

L'arte di usare le parole

Vera Gheno

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Guardiamoci intorno: quante sono le persone che intervengono nelle discussioni senza alcuna competenza specifica pensando di averla? Quanti criticano gli esperti con un «Io non credo che sia cosí» dall'alto di incrollabili certezze? Ci siamo abituati un po' troppo a parlare e a scrivere senza fermarci prima un attimo a pensare, e rischiamo cosí di far sempre piú danni. Perché le parole non sono mai solo parole, si portano dietro visioni differenti della realtà, tutte le nostre aspirazioni e le nostre certezze: ovvio che possano generare conflitti e fare male. Ma possono anche generare empatia e fare del bene, se impariamo a usarle meglio. Vera Gheno indaga i meccanismi della nostra meravigliosa lingua, e lo fa con la leggerezza calviniana di chi ammira il linguaggio senza peso perché conosce il peso del linguaggio. E in queste pagine, lievi ma dense, distilla un «metodo» per ricordarci la responsabilità che ognuno di noi ha in quanto parlante. Un metodo che si fonda innanzitutto sui dubbi, che ci devono sempre venire prima di esprimerci: potremmo, nella fretta, non aver compreso di cosa si sta davvero parlando, capita a tutti, anche ai piú «intelligenti». Poi sulla riflessione, che deve accompagnarci ogni volta che formuliamo un concetto. E infine sul silenzio, perché talvolta può anche succedere, dopo aver dubitato e meditato, che si decida saggiamente di non avere nulla da dire.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Le ragioni del dubbio an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Le ragioni del dubbio by Vera Gheno in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Langues et linguistique & Psycholinguistique. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Publisher
EINAUDI
Year
2021
ISBN
9788858437209
Parte seconda

Riflessione

Gli specchi dovrebbero riflettere un momento prima di riflettere immagini.
JEAN COCTEAU

Fare spazio al tempo

La frase di Jean Cocteau messa in esergo a questa parte suona po’ differente in francese: Les miroirs feraient bien de réfléchir un peu plus avant de renvoyer les images. Trovo molto brillante la traduzione italiana con la quale l’aforisma ha prevalentemente circolato nel nostro paese, dato che sfrutta la polisemia del verbo riflettere: secondo me contribuisce a renderlo ancora piú pregnante. E come gli specchi non dovrebbero riflettere tutto in maniera automatica, ma selezionare, di tanto in tanto, cosa rispecchiare e cosa no, noi non dovremmo parlare e scrivere senza pensarci, prima, almeno un attimo. Se il dubbio è essenziale nella fase di «ingresso» (per gestire l’infodemia, per non essere eterodiretti1 o ingannati), la riflessione diventa necessaria nella fase di «uscita», per cercare di non contribuire al disordine informativo del quale ci figuriamo troppo spesso solo come vittime, ma non potenziali fiancheggiatori. Eppure anche noi, con i nostri gesti comunicativi poco meditati, possiamo diventare a nostra volta agenti del caos.
Immagino, da parte di chi legge, molta perplessità: il compito sembra travalicare le forze del singolo, e la tentazione di prendere le distanze dal problema è sicuramente forte. Ma cerchiamo di resistere, e di smontare il luogo comune secondo cui la questione non ci toccherebbe. La cosa ci tocca al punto che possiamo migliorare la qualità del nostro rapporto con la comunicazione – e di conseguenza con la vita, l’universo e tutto quanto (come recita il titolo di un bel libro di Douglas Adams) –, e anche influire sulle persone che abbiamo intorno. Ci pensiamo troppo poco, ma ognuno di noi ha l’immenso potere di dare vita a dei circoli virtuosi che, per quanto piccoli, possono lasciare il segno.
Per poter riflettere su quello che mettiamo in circolo, occorre rallentare un attimo, e concederci qualche secondo in piú per riflettere e assicurarsi di stare per dire o scrivere esattamente quello che intendiamo (entrerò un po’ piú in dettaglio tra poco). Certo tutta la comunicazione oggi è veloce: non c’è tempo per ponderare (non c’è tempo per vacillare nel dubbio), occorre agire. Però non siamo tutti giornalisti d’assalto, che vivono di scoop: nella stragrande maggioranza dei casi si sta parlando di una fretta percepita; la fretta è uno stato mentale, non una realtà. Pensiamoci bene: i media digitali hanno sicuramente impresso una maggiore velocità a tutto il nostro sistema. Ma se è pur vero che la trasmissione e condivisione di un qualsiasi messaggio sono estremamente rapide, quasi istantanee, tale caratteristica non deve necessariamente riverberare anche sul momento del concepimento del messaggio2. Chiaro che, come sempre, occorre trovare l’equilibrio tra efficacia ed efficienza, come consigliano i libri sulla comunicazione; senza però «tirare via», senza cadere nel tranello di pensare che la stessa velocità del mezzo di comunicazione sia richiesta anche a noi. In altre parole, nella stragrande maggioranza dei casi nessuno ci punta una pistola alla tempia mentre esprimiamo un’opinione. Questo vale soprattutto sui social, ma anche dal vivo, qualche secondo per raccogliere i pensieri è concesso quasi sempre. Mi vengono in mente pochissimi casi in cui è davvero necessario essere il piú veloci possibile: se dobbiamo avvisare qualcuno di un pericolo, o dare l’allarme, per esempio. Ma quanto spesso capiterà di avere questa necessità?
Il tempo è straordinariamente elastico e la sua percezione dipende tantissimo da come lo stiamo vivendo. Non facciamoci, dunque, contagiare dalla presunta fretta, ma riprendiamoci lo spazio per fare piú attenzione a ciò che mettiamo in circolo, a partire dalle parole, ma non solo. Parafrasando Luciano De Crescenzo, invece che pensare ad allungare la vita dobbiamo cercare di allargarla, concedendoci il tempo della riflessione, del «pensiero lungo», dell’approfondimento, dello spazio mentale.
Qualora questo discorso non fosse suonato del tutto convincente, pensiamo ai minuti piú «lunghi» di cui abbiamo esperienza nel nostro quotidiano: quelli tra la fine del ciclo di lavaggio della lavatrice e l’apertura dell’oblò; gli ultimi minuti di cottura della pasta o prima del suono della campanella a scuola (ricordate? Soprattutto quando eravamo a rischio interrogazione); o ancora quelli passati in attesa dell’arrivo del treno che vi porta dalla persona che amate…
Recentemente mi sono fatta un’idea molto precisa di quanto possano essere interminabili trenta secondi. Ho iniziato a esercitarmi ogni mattina seguendo una routine di esercizi lunga una decina di minuti complessivi, nella quale ogni esercizio dura trenta secondi: oltre mi annoio, ma dieci minuti mi sembrano sopportabili. Alcuni degli esercizi sono isometrici, cioè richiedono di tenere la stessa posizione per, appunto, trenta secondi. Ecco: parliamo della durata interminabile di trenta secondi quando si deve tenere un plank senza sfasciarsi al suolo anzitempo. La prossima volta che sentite il cappio della fretta che vi impedisce di pensare bene a quel che dite o scrivete, ricordatevi la durata del plank e improvvisamente troverete il tempo per compiere questa piccola, ma rilevantissima, operazione. Facciamo spazio in noi stessi alla riflessione.
Un trucchetto che ho imparato a usare quando sento che mi sta montando il panico da fretta è far partire una canzone lunga un tot di minuti oppure qualche processo che ha una durata fissa: la lavastoviglie, la lavatrice, ecc. Improvvisamente, sento che il tempo rallenta, che quei cinque-dieci-trenta minuti che mi sembravano troppo pochi potrebbero pure bastarmi: li espando riempiendoli con qualcosa che dà un tempo, rendendomi conto di come in quello stesso lasso possa accadere di tutto. Lo stesso effetto lo ottengo, quando sto elaborando un’idea, scrivendo a mano, con la mia matita preferita, su carta, in corsivo: il pensiero, improvvisamente, rallenta, e mi dà il tempo di elaborare senza affanni quello che voglio esprimere. Del resto, che la scrittura a mano sia importantissima, lo sappiamo tutti. Per quanto digitare sia piú comodo, per molte persone, non esiste nessun’altra operazione che metta in moto gli stessi muscoli – fisici e mentali – della scrittura a mano in corsivo.
In una trattoria alle porte di Firenze è appeso un cartello che mi fa sorridere tutte le volte: CIAI FURIA? L’È UN BEL CAVALLO; gioca ovviamente sul doppio senso di furia, che significa fretta ma è anche il nome del famoso «cavallo del West». Ed è un invito a prendere la vita con un po’ piú di tranquillità. Anche perché l’oste, davanti al nervoso cittadino che pretende di essere servito velocemente, farà spallucce e gli dirà che può tranquillamente andare a mangiare da qualche altra parte.

In principio: consapevolezza e responsabilità.

Sono volutamente partita dal fondo perché penso che gli attimi prima di parlare o di inviare un messaggio (in tutti i sensi) siano, in qualche modo, quelli durante i quali la fretta diventa piú pressante. Ovviamente, però, il percorso per gestire la costruzione di ciò che vogliamo comunicare parte da molto prima: per l’esattezza, da due parole chiave.
La prima è consapevolezza: ritengo fondamentale che si diventi consapevoli innanzitutto dei propri limiti (come abbiamo visto precedentemente), ma anche delle proprie potenzialità, del proprio bagaglio linguistico, dei propri errori e cosí via. Se si è consapevoli, presenti a sé stessi, riuscirà piú facile anche dire, quando serve, «non lo so» o «non ho capito»: non c’è nulla di sbagliato, non è un’onta, ma richiede uno sforzo di sincerità rispetto a ciò che si è. Vedo troppe persone, attorno a me, che si presentano in maniera talmente artificiosa rispetto a ciò che sono veramente da sembrare quasi fuori sincrono con sé stesse (ricordate i sermoni di Enrico Ghezzi a Fuori orario?) Questo non è sicuramente un buon punto di partenza, per tentare di migliorare la propria comunicazione.
Accanto alla consapevolezza, l’altra parola essenziale è responsabilità: dobbiamo sapere che siamo i soli e unici responsabili delle parole che scegliamo di pronunciare e di scrivere. Questo vuol dire anche assumersi la responsabilità di tutte le conseguenze del caso. Siamo stati fraintesi? È prima di tutto colpa nostra. La nostra ironia non è stata colta? Forse dobbiamo ancora sgrossarla. Ci è partito un messaggio per errore? Ammettiamolo. Oltre a «non lo so» e a «non ho capito», dobbiamo anche imparare a dire «scusate, ho sbagliato». Una pessima abitudine che molti di noi hanno è quella di tentare di sottrarsi alle proprie responsabilità, magari individuando altri colpevoli: «Sono loro che…» Cerchiamo di evitarlo, perché non serve a molto.
Prendersi le proprie responsabilità comunicando significa anche porsi una domanda secondo me salvifica: «Riesco a reggere le conseguenze di ciò che sto per dire o scrivere?» Non è un quesito di immediata risposta, perché ognuno di noi, per tutta una serie di qualità e caratteristiche che possiede, può reggere in maniera diversa. Faccio un esempio, tratto dalle mie esperienze personali. Una volta, durante una lezione sull’educazione digitale, spiegavo che le parole coprolaliche (cioè le parolacce, le volgarità, ecc.) vanno usate con grande parsimonia, perché possono concorrere a squalificare chi le scrive o le pronuncia. Va da sé che per me esistono anche contesti in cui non c’è nulla di piú naturale che non esplodere in improperi: se mi chiudo un dito nello sportello della macchina, difficilmente mi limiterò a dire «poffarbacco!» Comunque, un ragazzo presente a quella lezione aveva fatto un appunto: «Ma Luciana Littizzetto dice spesso cazzo, durante i suoi monologhi televisivi». Per l’appunto: Luciana Littizzetto regge le conseguenze di dire cazzo in televisione; ma se Vera Gheno, durante una delle sue ospitate in qualche salotto televisivo, pronuncia la parola cazzo, non sarà mai piú invitata a quel programma.
Non di rado, non si pensa alle conseguenze delle proprie azioni linguistiche per tracotanza: molti ritengono di essere al di sopra delle leggi, piú furbi del prossimo; di trovarsi in una posizione talmente forte da poter dire qualsiasi cosa senza subirne effetti nefasti. Ma uno degli effetti collaterali dell’arrivo dei nuovi media, l’orizzontalizzazione della comunicazione, fa sí che sia molto piú difficile, in un certo senso, farla franca o far passare sotto silenzio un errore commesso. Di fallimenti epici, o meglio, epic fail, di questo genere, se ne vedono quasi quotidianamente: dal personaggio di spicco, che ritiene il giudicare il prossimo parte dei suoi privilegi3, all’esperto, che fa una dichiarazione superficiale senza minimamente curarsi delle conseguenze, all’azienda che «toppa» clamorosamente la campagna di comunicazione, ma poi si dice «stupita» delle reazioni4. Lo scandalo e l’indignazione sono all’ordine del giorno. E se è pur vero che molte persone, dalle spalle sufficientemente larghe, usciranno piú o meno indenni dalle crisi di comunicazione, chi magari ha una reputazione piú fragile può davvero finire travolto da una frase detta senza pensarci troppo.
In ogni caso, la domanda sul reggere o meno le conseguenze del proprio «gesto comunicativo» produce, a cascata, una serie ulteriore di domande:
C’è qualcuno a cui questa notizia non dovrebbe arrivare per nessuna ragione al mondo?
Qualcuno potrebbe offendersi per quello che sto per dire o scrivere?
Sono sicura di ciò che sto per dire (per esempio, mi sono sincerata di possedere informazioni verificate)?
Questa cosa potrebbe, un giorno, provocarmi imbarazzo?
E poi, manca ancora la domanda fondamentale: «Sono sufficientemente lucida in questo momento?» Aggiungo questo aspetto perché altrimenti sembra che io pensi agli esseri umani come ad automi programmabili; so benissimo che molti momenti della nostra vita sono influenzati dai nostri sentimenti, dagli stati d’animo, dai desideri, dalle frustrazioni, dalla rabbia, e che tutto questo ovviamente si ripercuote – o risuona – nella comunicazione. Ma queste pulsioni sacrosante vanno gestite. La qualità della nostra comunicazione – con le conseguenze che può avere sulla reputazione – è troppo importante per abbandonarsi agli istinti, magari giustificandosi, poi, a posteriori, dicendo «non ero serena» o «scusate, ho ceduto alla rabbia». Momenti di annebbiamento capitano a tutti, ma non tutti sono cosí sprovveduti da farsi esplodere in pubblico. Insomma, prima di premere invio, o mettere per iscritto quel pensiero, o prendere la parola, facciamo un giro, beviamo un goccio, prepariamoci un panino, leggiamo due righe del nostro libro preferito: insomma, diamoci tempo.

Gli assi cartesiani della comunicazione.

1. Le intenzioni.

Perché stiamo per dire o scrivere questa determinata cosa? Qual è il no...

Table of contents