Conclave
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Conclave

Robert Harris, Annamaria Raffo

  1. 276 pages
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Conclave

Robert Harris, Annamaria Raffo

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Il Papa è morto. Dietro le porte chiuse della Cappella Sistina, in completo isolamento, centodiciotto cardinali provenienti da ogni parte del pianeta sono pronti a votare in quella che è l'elezione più segreta del mondo. Sono uomini santi. Ma hanno le loro ambizioni. E hanno tutti dei rivali.

Nel corso di settantadue ore uno di loro diventerà la figura spirituale più potente della Terra.

Robert Harris, "il maestro dell'intelligent thriller", come è stato definito dal "Times", permette ai lettori di questo straordinario romanzo di entrare nell'universo impenetrabile e segreto del Vaticano, in cui le regole sono sostanzialmente immutate da secoli, creando una storia avvincente che si immerge con inquietante puntualità nei grandi temi che attraversano la società contemporanea.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2016
ISBN
9788852076763
1

Sede vacante

Il cardinal Lomeli uscì dal suo appartamento nel palazzo del Sant’Uffizio poco prima delle due di notte e attraversò in fretta i porticati bui del Vaticano, diretto alle stanze del papa.
“O Signore, lui ha ancora tanto da fare, mentre la mia opera al Tuo servizio è compiuta. Lui è tanto amato, mentre nessuno si ricorda di me. Risparmialo, Signore. Risparmia lui e prendi me al suo posto” pregava.
Arrancò sul selciato in salita che portava a piazza Santa Marta. L’aria di Roma era mite e umida, ma si avvertiva già il primo accenno d’autunno. Piovigginava. Al telefono il prefetto della Casa Pontificia gli era parso così agitato che il cardinale si aspettava di trovare un pandemonio. Invece la piazza era insolitamente tranquilla, a parte un’ambulanza parcheggiata con discrezione un po’ in disparte, che si stagliava in controluce contro il lato sud della basilica di San Pietro illuminata a giorno. La luce all’interno del veicolo era accesa, i tergicristalli correvano frenetici avanti e indietro, e lui si trovava abbastanza vicino da poter distinguere il volto dell’autista e del suo assistente. L’autista stava parlando al cellulare e Lomeli fu colpito da un pensiero scioccante: “Non sono venuti per trasportare un malato all’ospedale. Sono qui per portare via un morto”.
Davanti alla vetrata d’ingresso di Casa Santa Marta la guardia svizzera lo salutò portandosi la mano guantata di bianco al casco ornato da un pennacchio rosso. «Eminenza.»
«Per favore, potrebbe accertarsi che quell’uomo non stia chiamando i giornalisti?» disse Lomeli, accennando col capo in direzione dell’ambulanza.
L’ambiente era austero, asettico, come quello di una clinica privata. Nell’atrio di marmo bianco della residenza una decina di preti, di cui tre in vestaglia, stavano lì frastornati come se fosse suonato l’allarme antincendio e loro non fossero certi della procedura da seguire. Lomeli esitò sulla soglia, sentì qualcosa nella mano sinistra e vide che stringeva lo zucchetto rosso. Non ricordava di averlo preso. Lo spiegò e se lo mise in testa. Aveva i capelli umidi al tatto. Un vescovo, un africano, cercò di intercettarlo mentre andava verso l’ascensore, ma Lomeli si limitò a fare un cenno col capo nella sua direzione e tirò dritto.
La cabina impiegò un’eternità a scendere. Lui avrebbe dovuto prendere le scale, ma era senza fiato. Avvertiva su di sé gli sguardi dei presenti. Avrebbe dovuto dire qualcosa. L’ascensore arrivò. Le porte si aprirono. Si voltò e alzò la mano in un gesto benedicente.
«Pregate» disse.
Premette il pulsante del secondo piano, le porte si chiusero e cominciò a salire.
“Se è la Tua volontà chiamarlo alla Tua presenza e lasciare me su questa terra, concedimi almeno la forza di essere un solido sostegno per gli altri.”
Allo specchio, sotto la luce giallastra, il suo volto cadaverico appariva grigio e chiazzato. Desiderava ardentemente un segno che gli infondesse forza. L’ascensore si fermò bruscamente, ma a lui parve che il suo stomaco continuasse a salire e fu costretto ad aggrapparsi alla sbarra di metallo per non perdere l’equilibrio. Si ricordò di una volta che stava salendo con il Santo Padre proprio con quell’ascensore, all’inizio del suo papato, quando erano entrati due anziani monsignori. I due si erano immediatamente inginocchiati, stupiti di trovarsi faccia a faccia con il vicario di Cristo sulla terra, al che il papa era scoppiato a ridere e aveva detto: “Non preoccupatevi, alzatevi, sono solo un vecchio peccatore non migliore di voi...”.
Il cardinale sollevò il mento. La sua maschera pubblica. Le porte si aprirono. Una cortina di abiti scuri si mosse per farlo passare. Sentì un agente sussurrare nella radiotrasmittente nascosta dalla manica della sua giacca: «È arrivato il decano».
All’angolo opposto del pianerottolo, davanti all’appartamento papale, tre suore della Compagnia delle Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli si torturavano le mani e piangevano. L’arcivescovo Woźniak, prefetto della Casa Pontificia, si fece avanti per accoglierlo. Dietro gli occhiali con la montatura di metallo, i suoi occhi grigi e acquosi erano gonfi. Sollevò le braccia e disse, sconsolato: «Eminenza...».
Lomeli prese le guance dell’arcivescovo tra le mani e le strinse delicatamente. Sentì la barba ispida dell’uomo, che non si era ancora rasato. «Janusz, la sua presenza l’ha reso tanto felice.»
Poi un’altra guardia del corpo – o forse era un addetto delle pompe funebri, il loro abbigliamento era molto simile – insomma, un’altra figura vestita di nero aprì la porta della suite.
Il piccolo salotto e la camera da letto ancor più piccola erano pieni di gente. In seguito Lomeli calcolò che dovevano esserci una quindicina di persone, senza contare gli uomini della sicurezza: due medici, due segretari privati, il maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, cioè l’arcivescovo Mandorff, almeno quattro preti della Camera apostolica, Woźniak e ovviamente i quattro primi cardinali della Chiesa Cattolica: il segretario di Stato, Aldo Bellini; il camerlengo della Santa Sede, Joseph Tremblay; il cardinale penitenziere maggiore, o “primo confessore”, Joshua Adeyemi, e infine lui, il decano del Collegio cardinalizio. Nella sua vanità aveva immaginato di essere stato convocato per primo, e invece ora capì di essere stato l’ultimo.
Seguì Woźniak nella camera da letto. Era la prima volta che entrava lì dentro. Prima di allora aveva sempre trovato chiusa la grande porta a due battenti. Il letto papale in stile Rinascimento, quadrato, massiccio, in legno di quercia lucidissimo e sormontato da un crocifisso, guardava verso il salotto. Occupava quasi tutto lo spazio ed era decisamente troppo grande per quella stanza. Era l’unico tocco di grandiosità. Bellini e Tremblay erano inginocchiati accanto al letto, a capo chino. Lomeli fu costretto a scavalcare le loro gambe per arrivare al capezzale, dove il papa giaceva leggermente sollevato sui cuscini, il corpo nascosto dal copriletto bianco, le mani congiunte sul davanti sopra la semplice croce pettorale di ferro.
Lomeli non era abituato a vedere il Santo Padre senza occhiali. Erano posati, con le astine ripiegate, sul comodino accanto a una sveglia da viaggio tutta ammaccata. La montatura aveva lasciato dei piccoli segni rossi ai due lati del naso. Spesso i volti dei morti, nell’esperienza di Lomeli, erano inerti e insulsi. Questo, invece, pareva vigile, quasi divertito, come se fosse stato interrotto a metà di una frase. Mentre si chinava a baciargli la fronte, notò una macchietta di dentifricio bianco all’angolo sinistro della bocca e ne colse l’aroma di menta, come pure un accenno floreale di shampoo.
«Perché ti ha chiamato a sé quando c’era ancora tanto che volevi fare?» sussurrò.
«Subvenite, Sancti Dei...»
Adeyemi intonò la liturgia. Lomeli si rese conto che stavano aspettando lui. Si inginocchiò con cautela sul parquet lucidissimo, giunse le mani in preghiera e le appoggiò sul lato del copriletto. Affondò il volto tra i palmi.
«... occurrite, Angeli Domini...»
“... venite in suo aiuto, santi di Dio, accorrete, angeli del Signore...”
Il basso profondo del cardinale nigeriano rimbombava nella stanza angusta.
«... Suscipientes animam eius. Offerentes eam in conspectu Altissimi...»
“... Accogliete la sua anima. Presentatela al trono dell’Altissimo...”
Le parole ronzavano nella testa di Lomeli prive di significato. Gli capitava sempre più spesso. “Io ti chiamo a gran voce, Dio, ma tu non mi rispondi.” Nell’ultimo anno una specie di insonnia spirituale si era impadronita di lui, qualcosa di simile a un’interferenza che gli impediva di trovare quella comunione con lo Spirito Santo un tempo così naturale. E, proprio come accade col sonno, più si ambiva a una preghiera piena di significato, più questa diventava inafferrabile. Aveva confessato la sua crisi al papa nel corso del loro ultimo incontro: aveva chiesto il permesso di lasciare Roma e rinunciare ai suoi doveri di decano per ritirarsi presso un ordine religioso. Aveva settantacinque anni, l’età della pensione. Ma il Santo Padre era stato inaspettatamente duro con lui. “Alcuni vengono scelti per essere pastori, altri sono necessari per amministrare la fattoria. Il tuo non è un ruolo pastorale. Tu non sei un pastore. Tu sei un amministratore. Credi che sia facile per me? Ho bisogno di te qua. Non ti preoccupare. Dio tornerà da te. Lo fa sempre.” Lomeli si era sentito offeso – “un amministratore, è così che lui mi vede?” – e quando si erano salutati c’era stata una certa freddezza tra loro. Quella era l’ultima volta che l’aveva incontrato.
«... Requiem aeternam dona ei, Domine: et lux perpetua luceat ei...»
“... L’eterno riposo donagli, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua...”
Finito di recitare la liturgia, i quattro cardinali rimasero a pregare in silenzio intorno al letto di morte. Dopo un paio di minuti Lomeli voltò impercettibilmente la testa e socchiuse gli occhi. Dietro di loro, in salotto, tutti erano ancora in ginocchio e a testa china. Si strinse di nuovo il volto tra le mani.
Lo rattristava pensare che la loro lunga frequentazione si fosse conclusa così. Cercò di ricordare quando fosse successo. Due settimane prima? No, un mese. Il 17 settembre, per l’esattezza, dopo la messa per commemorare l’impressione delle Stimmate di san Francesco... Non era mai passato così tanto tempo senza che lui avesse un’udienza privata con il papa da quando era stato eletto. Forse il Santo Padre cominciava ad avvertire che la morte era vicina e che la sua missione non sarebbe stata completata. Magari questo spiegava la sua insolita irritabilità?
Nella stanza tutti erano immobili. Lomeli si chiese chi sarebbe stato il primo a interrompere la meditazione. Pensò che si sarebbe trattato di Tremblay. Il franco-canadese era sempre di fretta, un tipico nordamericano. E infatti, qualche attimo dopo, Tremblay fece un sospiro... un’esalazione prolungata, teatrale, quasi estatica. «Ora è con Dio» disse, e allungò le braccia. Lomeli pensò che stesse per impartire una benedizione, e invece il gesto era un segnale diretto a due suoi assistenti della Camera apostolica, che si avvicinarono e lo aiutarono ad alzarsi in piedi. Uno aveva con sé una scatola d’argento.
«Arcivescovo Woźniak» disse Tremblay, mentre tutti cominciavano ad alzarsi in piedi «vorrebbe essere così gentile da portarmi l’anello del Santo Padre?»
Lomeli si alzò con le ginocchia che scricchiolavano dopo settant’anni di continue genuflessioni. Si appiattì contro la parete per far passare il prefetto della Casa Pontificia. L’anello non venne via facilmente. Il povero Woźniak, sudando per l’imbarazzo, fu costretto a farlo scivolare avanti e indietro sulla nocca. Ma alla fine l’anello uscì e lui lo portò nel palmo della mano tesa a Tremblay, il quale prese un paio di cesoie dalla scatola d’argento – un attrezzo che si sarebbe potuto usare per tagliare le rose sfiorite, pensò Lomeli – e inserì il sigillo dell’anello tra le lame. Premette con forza, facendo una smorfia per lo sforzo. Si sentì un colpo secco e il disco metallico raffigurante san Pietro che getta una rete da pesca fu troncato.
«Il trono della Santa Sede è vacante» annunciò Tremblay.
Lomeli rimase qualche minuto a contemplare il letto in un silenzioso commiato, quindi aiutò Tremblay a stendere un sottile velo bianco sul volto del papa. La veglia si sciolse e i partecipanti si ritrovarono a bisbigliare in piccoli gruppi.
Lomeli tornò in salotto. Si chiese come avesse potuto sopportare il papa, anno dopo anno, non solo di vivere circondato da guardie armate, ma in quel posto? Cinquanta metri quadri anonimi, arredati secondo il gusto e il portafoglio di un rappresentante di commercio di medio livello. Non c’era niente di personale. Pareti giallo limone pallido, pavimento di parquet facile da pulire. Un tavolo, una scrivania, un divano e due poltrone imbottite con lo schienale a ventaglio, tappezzate con un tessuto blu lavabile. Persino l’inginocchiatoio di legno scuro era identico ai cento altri della residenza. Il Santo Padre aveva soggiornato lì da cardinale prima del conclave che l’aveva eletto papa e non se n’era più andato: gli era bastata un’occhiata al lussuoso appartamento al quale aveva diritto nel Palazzo Apostolico, con la sua biblioteca e la cappella privata, per farlo fuggire. La sua guerra con la vecchia guardia del Vaticano era cominciata proprio da lì, per quel motivo, nel suo primo giorno da papa. Quando alcuni tra i pezzi grossi della curia avevano sollevato obiezioni sulla sua decisione, non trovandola appropriata alla dignità di un papa, lui aveva risposto citando loro, come se fossero degli scolaretti, il monito di Cristo ai suoi discepoli: “Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche”. Da quel momento in poi, essendo umani, i prelati avevano avvertito il suo sguardo di rimprovero ogni volta che rientravano nei loro lussuosi appartamenti ufficiali e, essendo umani, non lo sopportavano.
Bellini, il segretario di Stato, era in piedi accanto alla scrivania con la schiena rivolta alla stanza. Il suo incarico si era concluso con la rottura dell’anello piscatorio, e lui, così alto, magro e ascetico, con il suo portamento ...

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