L'arte di comunicare
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L'arte di comunicare

Marco Tullio Cicerone, Paolo Marsich

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L'arte di comunicare

Marco Tullio Cicerone, Paolo Marsich

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Imparare a esprimersi efficacemente, dalla scelta dell'argomento agli strumenti retorici, dalle tecniche mnemoniche al tono di voce. Una lezione semplice e grandiosa al tempo stesso che ci giunge dalla Roma del I secolo a.C. ma che rimane tuttora insuperata. Un richiamo alla necessità di formazione culturale e profonda moralità quanto mai prezioso anche per il comunicatore nella nostra epoca di informazione globale e tecnologica.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2014
ISBN
9788852059278

INVENZIONE

La parola “oratore”

Bisogna dunque definire quali caratteristiche debbano avere il perfetto oratore e la somma eloquenza. Come dice la parola stessa, egli è colui che deve eccellere nella “orazione”, cioè nel discorso, mentre le altre qualità possono restare meno evidenti. Il nome non deriva dalla capacità di trovare gli argomenti, né da quella di organizzarli nel testo, e neppure dall’atto della declamazione, ma esprime colui che possiede tutte insieme queste capacità: in greco fu chiamato “retore”, dal verbo che indica il parlare in modo appropriato, mentre in latino è detto eloquens, cioè chi si esprime con eloquenza.
Delle altre funzioni che appartengono all’oratore, ciascuno rivendica una parte per sé, ma quella di comunicare, cioè di esprimersi con eloquenza, è concessa esclusivamente a lui. Sebbene infatti alcuni uomini di cultura si siano espressi con eleganza, tuttavia il loro discorso non possiede l’energia e l’efficacia tipiche dell’oratore. Essi infatti si rivolgono ad altre persone colte, di cui preferiscono placare gli animi più che stimolarli, e trattano solitamente di argomenti che non suscitano forti emozioni, con lo scopo di informare, non di persuadere.

La scelta degli argomenti

Individuare quali cose devono essere dette per sostenere una dimostrazione o una spiegazione, e in quale ordine dirle, è la qualità più specifica di un buon oratore. Sono molti infatti gli argomenti che sul momento si presentano alla mente e che sembrano poter dare un valido contributo al discorso, ma alcuni di essi si rivelano presto così inconsistenti da dover essere scartati; altri, pur contenendo qualche elemento di valore, spesso mantengono comunque tratti negativi e ciò che vi è di buono non sembra efficace al punto da compensare i difetti.
Ma anche quando gli argomenti che ci appaiono validi e convincenti sono molti, come spesso accade, è comunque opportuno riconoscere tra di essi quelli più deboli ed eliminarli dal discorso. Nella rassegna degli argomenti, cioè, non importa la quantità ma la qualità. Così, dei tre modi in cui possiamo convincere chi ci ascolta, cioè fornire informazioni, accattivarci il favore ed emozionare, dobbiamo preferirne uno solo, ossia dare l’impressione di voler esclusivamente informare; gli altri due, come avviene con il sangue nel corpo, dovranno essere distribuiti occultamente lungo l’intero discorso.

I requisiti dell’“invenzione”

I requisiti specifici per quella parte dell’oratoria che abbiamo definito “invenzione” sono tre: la sottigliezza di ingegno, la teoria, che possiamo chiamare anche competenza tecnica, e la volontà. Certamente il primo è il più importante, ma per destare un ingegno poco attivo serve la volontà, la quale ha un’assoluta importanza in ogni situazione. Se essa viene coltivata e applicata, non c’è nulla che non sia in grado di ottenere: è la volontà che ci permette di conoscere a fondo l’argomento, di ascoltare attentamente le opinioni contrarie e anche i modi in cui vengono sostenute.
Fra l’ingegno e la volontà, lo spazio che rimane alla teoria è assai ridotto: essa si limita a indicarci le fonti alle quali attingere per trovare gli argomenti di cui abbiamo bisogno. Il resto risiede nell’impegno, nella concentrazione mentale, nella riflessione, nell’attenzione, nella costanza e nella fatica; in pratica, per concentrare tutte queste virtù in un’unica parola che abbiamo già utilizzato, proprio nella volontà.

Avvalersi di un repertorio

Come non abbiamo bisogno di cercare da capo le singole lettere ogni volta che dobbiamo scrivere una parola, così non è necessario individuare sempre nuove argomentazioni riservate a uno specifico tema; è opportuno piuttosto disporre di un determinato repertorio di idee generali che, come le lettere per scrivere la parola, ci si manifestino immediatamente nel pensiero quando dobbiamo comunicare.
Tali repertori tuttavia possono giovare solo a un oratore che abbia già una solida esperienza del parlare in pubblico e si sia con il tempo abituato ad ascoltare e riflettere. Un uomo erudito, per quanto abile e sottile nel ragionamento e disinvolto nel parlare, se non avrà anche una certa dimestichezza con le consuetudini, i modelli, le istituzioni, i comportamenti e i valori della società in cui vive, non potrà avvalersi in modo efficace di quei luoghi comuni dai quali si possono trarre idee e argomentazioni.

Utilità di alcune argomentazioni generali

Poiché è evidente che i temi sui quali possono sorgere discussioni non sono legati ai singoli uomini o alle specifiche circostanze, ma sono riconducibili ad alcune questioni di ordine generale, sarebbe opportuno che chi mira a distinguersi nell’arte di comunicare possedesse in modo solido e chiaro questo repertorio di argomentazioni, suddivise per categorie logiche e tematiche. Esse genereranno infatti in modo quasi spontaneo le parole, le quali, quando risultano conformi all’argomento, appaiono anche eleganti.
Bisogna dunque accostarsi a un discorso sempre forniti di questo bagaglio di idee e considerazioni generali, dalle quali ricaveremo facilmente le argomentazioni specifiche; con un po’ di studio e di pratica esse potranno infatti essere sostenute anche da chi non le ha meditate a fondo.

I “luoghi comuni”

Un buon oratore farà in modo di conoscere questi repertori e di utilizzarli in modo appropriato, risalendo ai principi generali dai quali derivano quelli che vengono chiamati “luoghi comuni”. Non dovrà però abusarne e dovrà operare una ponderata selezione all’interno di essi: dai medesimi repertori non si ricavano infatti argomenti validi per qualsiasi tema.
Sarà dunque opportuno ricorrere a essi con giudizio, non limitandosi a cercare degli spunti, bensì valutando con attenzione. Come infatti dai campi fertili e produttivi non nascono soltanto frutti ma anche erbacce assai dannose per i raccolti, così da quei repertori di luoghi comuni possono essere ricavate idee insignificanti, estranee al tema affrontato nel discorso o addirittura inutili.

Come sostenere la propria tesi

In un discorso persuasivo è opportuno basarsi su ciò che vi è di buono nella tesi, abbellirlo e ampliarlo; bisogna soffermarsi, indugiare e insistere sugli elementi positivi e, parallelamente, evitare quelli negativi e sfavorevoli, senza tuttavia dare l’impressione di sfuggire a essi, bensì rendendoli meno evidenti attraverso l’ampliamento e l’abbellimento dei punti di forza. Se il discorso è più efficace nel confutare la tesi contraria che nel sostenere la nostra, concentreremo in tal senso tutti i nostri sforzi; se viceversa è più facile rafforzare i propri argomenti che contrastare quelli altrui, tenteremo di distogliere l’attenzione da quelli e di richiamarla sui nostri.
In sintesi sono due le indicazioni, all’apparenza ovvie e tuttavia fondamentali: la prima è di non replicare mai su temi e ad argomentazioni imbarazzanti o troppo complesse. Qualcuno potrebbe sorridere di questa indicazione: chiunque infatti è capace di attuarla. E tuttavia bisogna ammettere che quando in una discussione si viene attaccati con troppa forza è meglio cedere, ovviamente senza dare l’impressione di fuggire o di arrendersi, bensì assumendo un atteggiamento composto e dignitoso.
La seconda indicazione è quella alla quale si dovrebbe prestare la maggiore attenzione e dedicare il maggiore impegno: bisogna preoccuparsi non tanto di rafforzare la propria tesi quanto di non danneggiarla. Non che ci si debba adoperare a questo soltanto, ma certamente in un dibattito dimostrare di aver nuociuto alla propria tesi è molto più disdicevole che non essere riuscito a sostenerla bene.

Il giudice è l’uditorio

Chi parla per essere apprezzato da un pubblico è sottoposto necessariamente anche al giudizio degli esperti; per giudicare che cosa sia giusto o sbagliato in un discorso, infatti, bisogna sapere come si valuta. Ma l’efficacia di un oratore si potrà valutare solo dall’effetto che egli produrrà con le sue parole sull’uditorio; e gli effetti che bisogna essere capaci di suscitare sono sostanzialmente tre: che chi ci ascolta venga convinto dalle nostre parole, che ne sia dilettato e che ne sia emotivamente coinvolto.
Toccherà all’esperto stabilire per quali meriti l’oratore riesca a ottenere un determinato effetto o viceversa per quali difetti non riesca ma anzi scivoli e cada; è però dall’assenso e dall’approvazione del pubblico che solitamente si vede se l’oratore sia riuscito o meno a condurre l’uditorio dove si era proposto. In ogni caso è difficile che ci sia disaccordo tra critici e pubblico nel riconoscere l’efficacia comunicativa di un oratore.

Come accattivarsi il sostegno dell’uditorio

Se vogliamo catturare il consenso dell’uditorio, dobbiamo considerare attentamente quali toni richieda l’argomento: per questioni minime o di fronte a un pubblico che non siamo in grado di influenzare, non dovranno essere adottate espressioni infuocate, per non rischiare di risultare ridicoli o fastidiosi.
I sentimenti che dobbiamo suscitare nell’uditorio con il nostro discorso sono generalmente i seguenti: simpatia, odio, rabbia, ostilità, pietà, speranza, gioia, timore, fastidio. La simpatia viene suscitata quando diamo l’impressione di appoggiare in modo giusto qualcosa che è utile a chi ci ascolta, oppure di adoperarci in favore di persone perbene o che tali appaiono al nostro uditorio: la tutela degli interessi di coloro che ascoltano, infatti, ci assicura il loro sostegno, così come la difesa di un comportamento virtuoso ci procura la stima.
Per accattivarsi il sostegno dell’uditorio, inoltre, giova di più prospettare un vantaggio futuro che ricordare un beneficio passato. È essenziale, in ogni caso, dimostrare che con il proprio discorso si stanno difendendo l’onore e l’interesse comuni.

Parlare in favore o contro qualcuno

Se dobbiamo suscitare simpatia nei confronti di qualcuno, dovremo convincere l’uditorio che costui non ha mai agito per un guadagno personale o a proprio vantaggio; la gente infatti guarda con ostilità chi bada solo ai propri interessi, mentre è ben disposta verso chi si preoccupa di agevolare il prossimo. Allo stesso tempo non dobbiamo eccedere nella difesa e nella lode di colui che stiamo celebrando per i suoi meriti, poiché rischiamo di suscitare invidia nei suoi confronti.
Con procedimenti analoghi ma rovesciati, riusciremo a suscitare antipatia verso qualcuno e a distoglierla da noi o da coloro che stiamo sostenendo. Le stesse strategie permettono di accendere o placare l’ira: se accresciamo il peso di un fatto che al nostro uditorio appare pericoloso o inutile, suscitiamo l’odio; se poi dimostreremo che quel fatto lede persone perbene o innocenti o l’interesse comune, allora provocheremo non forse un odio acceso ma certamente un sentimento molto vicino all’ostilità e all’odio.

Il sentimento dell’invidia

Di tutte le emozioni è comunque l’invidia quella più forte e richiede non meno fatica a reprimerla che a suscitarla. Gli uomini provano invidia soprattutto verso i propri pari o inferiori che si siano elevati, poiché hanno la sensazione di essere stati lasciati indietro; ma invidiano con forza anche i propri superiori, specialmente quando questi hanno un atteggiamento fastidioso e oltrepassano la giusta misura, ostentando autorità o successo.
Se intendiamo suscitare antipatia verso dei privilegi, dobbiamo dire che non sono stati ottenuti per meriti ma anzi con comportamenti poco virtuosi e colpevoli; se poi si trattasse di persone molto stimate e autorevoli, diremo che nessuno dei loro pregi giustifica così tanta arroganza e presunzione.
Per allontanare l’invidia da qualcuno dobbiamo invece dire che questi ha raggiunto la propria posizione a prezzo di grande impegno, correndo gravi rischi, e che l’ha messa al servizio degli altri, non suo; diremo anche che di tale prestigio, peraltro meritato, non si è mai compiaciuto ed è pronto a rinunciarvi totalmente. Poiché la maggior parte degli uomini è invidiosa e l’invidia è un vizio assai comune e diffuso, che nasce dall’osservazione di una straordinaria fortuna, bisogna attenuare tale impressione e convincere l’uditorio che a un enorme successo sono mescolate fatiche e sofferenze.

Il genere dell’elogio

Tra i generi del discorso vi è l’elogio. È chiaro che alcune sono le qualità da desiderare in una persona, altre quelle da lodare. L’origine sociale, la bellezza, la forza fisica, il potere, la ricchezza e tutte le altre doti concesse dalla sorte alla persona o al corpo, non hanno in sé ragione di essere lodate: questo spetta solamente alla virtù. Tuttavia, siccome la virtù si riconosce soprattutto in un uso misurato di tali doti, devono essere tenuti in conto per un alto elogio anche i seguenti comportamenti: non avere ecceduto nell’esercizio del potere, non essere stati arroganti per la propria fortuna, non essersi ritenuti superiori agli altri per l’abbondanza del patrimonio.
Per quanto riguarda la virtù, che è lodevole di per sé e senza la quale nulla può essere lodato, essa si manifesta in forme diverse, alcune delle quali sono più adatte di altre all’elogio: vi sono alcune virtù che rientrano nell’educazione e nella generosità di carattere, altre nelle capacità intellettuali o nella grandezza e forza d’animo. Negli elogi piace sentir parlare di clemenza, giustizia, benevolenza, lealtà, coraggio di fronte ai pericoli comuni: tutte queste virtù, infatti, vengono considerate vantaggiose non tanto per coloro che le possiedono quanto per l’intera collettività.
La saggezza, la nobiltà d’animo, rispetto alla quale tutte le cose umane appaiono insignificanti e prive di valore, un certo ingegno nella riflessione e la stessa capacità comunicativa ottengono altrettanta ammirazione ma minore gradimento: sembrano infatti arricchire e tutelare coloro che le possiedono e che per esse vengono lodati, più di coloro che ascoltano e vengono invitati a condividere la lode. Tuttavia negli elogi anche queste virtù devono essere considerate.

Quando si può lodare qualcuno

Poiché a ogni singola virtù appartengono determinati ambiti e doveri, a ciascuna dovrà corrispondere un determinato tipo di lode: nell’elogio di un uomo giusto, ad esempio, bisognerà spiegare in che modo con il suo operato abbia dimostrato lealtà, equità o qualche altra dote di tal genere. Analogamente anche negli altri casi dovranno essere riferite azioni pertinenti al tipo, al valore e al nome di ciascuna virtù.
È assai gradito l’elogio di quelle azioni che risultano intraprese da uomini coraggiosi senza un personale vantaggio o promessa di ricompensa; se poi esse hanno comportato per costoro fatica e pericolo, offrono una ricchissima occasione di elogio, poiché da un lato stimolano molto le capacità espressive, dall’altro vengono ascoltate assai...

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