Un nuovo mondo
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Un nuovo mondo

Riconosci il vero senso della tua vita

Eckhart Tolle, Stella Borruso, Marina Borruso

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Un nuovo mondo

Riconosci il vero senso della tua vita

Eckhart Tolle, Stella Borruso, Marina Borruso

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Eckhart Tolle rappresenta la sintesi perfetta fra millenni di saggezza e il sentire contemporaneo, condensando chiaramente nelle sue pagine gli insegnamenti dei grandi della storia del pensiero, da Buddha a Gesù, ma anche Shakespeare e i Rolling Stones. Il suo messaggio è semplice e rivoluzionario: basta spegnere il rumore di fondo che affolla di pensieri la nostra mente per abbracciare il presente liberi dell'ingombro del nostro ego. È proprio il modello egocentrico di pensiero, l'eccessiva importanza data al nostro io, uno dei maggiori nemici. Da lì deriva quel senso costante di insufficienza, di mancanza che deve essere in qualche modo colmata. Se invece si vive nel momento, ci si accorge che le cose positive iniziano ad accadere da sole, e se tutti lasciano da parte il proprio ego e si risvegliano verso una nuova consapevolezza, ecco che un nuovo mondo, davvero migliore e pieno di amore, diventa magicamente possibile.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2014
ISBN
9788852059636
IV

La rappresentazione dei ruoli: le molte facce dell’ego

Un ego che vuole qualcosa da un altro (e quale ego non ne vuole?) interpreterà un ruolo affinché le sue necessità vengano soddisfatte, sia che si tratti di guadagni materiali, di potere, di superiorità, di essere speciali, o di qualche gratificazione, sia fisica sia psicologica. In genere, la gente è totalmente inconsapevole dei ruoli che interpreta. Crede di essere quei ruoli. Alcuni sono ruoli dissimulati, altri sono sfacciatamente ovvi, salvo che per le persone che li interpretano. Alcuni ruoli sono semplicemente creati per ottenere l’attenzione degli altri. L’ego si rinforza grazie all’attenzione degli altri, che è, dopo tutto, una forma di energia psichica. L’ego non sa che la fonte di ogni energia è dentro di voi e così la cerca fuori. L’ego non cerca l’attenzione senza forma che è la Presenza, ma l’attenzione in una certa forma, come l’essere riconosciuti, apprezzati, ammirati o l’essere in qualche modo notati, aver riconosciuta la propria esistenza.
Una persona timida che ha paura dell’attenzione degli altri non è libera dall’ego, ma ha un ego ambivalente che vuole e teme l’attenzione degli altri. Ha paura che questa prenda la forma della disapprovazione o della critica, qualcosa che, per così dire, diminuisca il senso del sé piuttosto che accrescerlo. La paura che un timido ha dell’attenzione è più grande della sua necessità di attenzione. La timidezza spesso si accompagna a un concetto di sé negativo, all’idea di essere inadeguati. Qualunque senso del sé concettuale – vedere me stesso come questo o quello – è ego, sia esso positivo (io sono il migliore) o negativo (io non vado bene). Dietro ogni senso del sé concettuale positivo, vi è la paura nascosta di non andare abbastanza bene. Dietro ogni senso del sé concettuale negativo vi è il desiderio nascosto di essere il più grande o il migliore. Dietro il sentimento di sicurezza e la continua necessità di essere superiori che ha l’ego, vi è la paura inconscia di essere inferiore. Di contro, il timido, l’ego inadeguato che si sente inferiore, ha un forte e nascosto desiderio di superiorità. Molta gente oscilla fra i sentimenti di superiorità e quelli di inferiorità, dipendendo dalle situazioni o dalle persone con le quali entra in contatto. Tutto ciò che avete bisogno di osservare e di sapere di voi stessi è questo: ogni volta che vi sentite superiori o inferiori a un altro, quello è l’ego in voi.

Il cattivo, la vittima, l’amante

Alcuni ego, se non possono avere lodi o ammirazione, cercheranno nuove forme di attenzione interpretando altri ruoli per ottenerle. Se non possono avere attenzione positiva, allora possono cercarne una negativa provocando, per esempio, una reazione di quel tipo in qualcun altro. Si fa questo fin da bambini. Si fanno i capricci per avere attenzione. Si interpretano ruoli negativi soprattutto quando l’ego è accresciuto da un corpo di dolore attivo, cioè da un dolore emozionale che proviene dal passato e che vuole rinnovarsi sperimentando ancora dolore. Alcuni ego commettono crimini alla ricerca di fama. Cercano attenzione grazie alla notorietà e grazie alla condanna degli altri. Sembrano chiedere: “Ditemi, per favore, che esisto, che non sono insignificante”. Questa forma patologica di ego è soltanto una forma più estrema degli ego normali.
Un ruolo molto comune è quello di vittima, e la forma di attenzione che questa cerca è la comprensione o la pietà: che gli altri si interessino ai miei problemi, “me e la mia storia”. Vedere se stesso come vittima appartiene a molti schemi egoici, come chi si lamenta, si offende, si sdegna. Quando mi identifico con una storia nella quale mi sono dato il ruolo di vittima, non voglio che questa finisca perché, come ogni terapista sa, l’ego non vuole che i suoi “problemi” si risolvano, perché sono parte della sua identità. Se nessuno ascolterà la mia triste storia, posso ripetermela ancora e ancora da solo mentalmente, e aver pena di me, e così avere l’identità di qualcuno che è stato trattato ingiustamente dalla vita o dagli altri, dal fato o da Dio. Definisce l’immagine di me stesso, mi rende qualcuno, e questo è tutto ciò che importa all’ego.
All’inizio di molte relazioni cosiddette “romantiche”, è abbastanza comune rivestire un ruolo, per attrarre e mantenere chi viene percepito dall’ego come colui o colei che mi farà felice, che mi farà sentire speciale, e che soddisferà tutte le mie necessità. “Sarò chiunque vuoi che sia, e tu sarai chi voglio che tu sia.” Questo è l’accordo tacito e inconsapevole. Ma rappresentare un ruolo è un lavoro duro, e per questo non può essere mantenuto per sempre, specialmente quando si inizia a vivere insieme. E allora quando questo ruolo scivola via, cosa vedete? In molti casi sfortunatamente, non vedete ancora la vera essenza di quell’essere, ma solo quello che copre la vera essenza: il nudo ego svestito dei suoi ruoli, che è il corpo di dolore, e il suo desiderio insoddisfatto che ora è diventato rabbia, diretta soprattutto verso il partner per aver fallito nell’allontanare la paura che vi è sotto, e quel senso di mancanza che è una parte intrinseca dell’egoico senso del sé.
Ciò che comunemente viene definito come “innamorarsi” è in molti casi un’intensificazione del desiderio e dell’aver bisogno dell’ego. Diventate dipendenti da un’altra persona, o piuttosto dall’immagine che avete dell’altra persona. Non ha niente a che vedere con il vero amore che non contiene nessun tipo di bramosia.
La lingua spagnola è la più onesta riguardo alle nozioni convenzionali di amore, perché te quero vuol dire ti voglio, così come ti amo. L’altra espressione te amo, che non ha nessuna ambiguità, viene usata raramente, può darsi perché il vero amore è ugualmente raro.

Lasciar andare le definizioni di sé

Nelle antiche culture tribali vennero assegnate determinate funzioni a determinate persone: sovrani, sacerdoti, sacerdotesse, guerrieri, contadini, mercanti, artigiani, braccianti e così via. Si sviluppò così un sistema di classe. La vostra funzione, nella maggior parte dei casi ereditata dalla famiglia, determinava la vostra identità, chi eravate agli occhi degli altri e anche ai vostri stessi occhi. La funzione diveniva un ruolo, ma non era riconosciuta come tale: era chi eravate o pensavate di essere. A quel tempo solamente poche persone, come Buddha o Gesù, videro l’estrema irrilevanza della casta o della classe sociale, e la riconobbero come un’identificazione con la forma, rendendosi conto che una tale identificazione con il condizionamento e la temporalità oscurava la luce dell’incondizionato e dell’eterno che risplende in ogni essere umano.
Le strutture sociali del nostro mondo contemporaneo sono meno rigide, meno chiaramente definite di come erano nel passato. E anche se molte persone sono naturalmente ancora condizionate dal loro ambiente, non viene più attribuita loro automaticamente una funzione e un’identità. Infatti nel mondo moderno un numero sempre maggiore di persone sono confuse sull’appartenenza, su quale sia il loro scopo e anche su chi siano. In genere io mi congratulo con le persone che mi dicono di non sapere più chi sono. E a quel punto mi guardano perplesse e mi domandano se sto dicendo che essere confusi è una buona cosa e io suggerisco loro di indagare. Cosa significa essere confusi? L’“Io non so” non è confusione. Confusione è invece l’“Io non so ma dovrei saperlo” oppure il “Non lo so ma ho bisogno di saperlo”. È possibile abbandonare l’idea che dovete o avete bisogno di sapere chi siete? In altre parole, potete smettere di cercare definizioni concettuali per dare a voi stessi un senso del sé? Potete smettere di sperare in un pensiero per avere un’identità? Quando lasciate andare la convinzione che avete bisogno o dovreste sapere chi siete, cosa accade alla vostra confusione? Improvvisamente scompare. Quando accettate pienamente di non sapere, entrate subito in uno stato di pace e di chiarezza che è più vicino a chi siete veramente, più di quanto un pensiero lo possa mai essere. Definire voi stessi con un pensiero è limitarvi.

I ruoli prestabiliti

Naturalmente a questo mondo persone diverse hanno funzioni diverse. Non può essere altrimenti. Gli esseri umani differiscono enormemente sia per le abilità fisiche sia per quelle intellettuali, le conoscenze, le capacità, i talenti e i livelli di energia. Ciò che realmente importa non è la funzione che svolgete in questo mondo, ma il fatto che vi identificate con quella funzione fino al punto da esserne posseduti e da diventare il ruolo che svolgete. Quando interpretate un ruolo siete inconsapevoli. Quando vi scoprite a interpretare un ruolo, quel riconoscimento genera uno spazio fra voi e il ruolo stesso. È l’inizio della liberazione dal ruolo. Quando siete completamente identificati con un ruolo, confondete uno schema di comportamento con chi siete, e vi prendete molto sul serio. E automaticamente assegnate dei ruoli anche agli altri, che si relazionano con i vostri. Per esempio, quando andate dai medici che sono completamente identificati nel ruolo, per loro non siete un essere umano ma un paziente o un caso clinico.
Malgrado le strutture sociali nel mondo contemporaneo siano meno rigide che nelle culture antiche, vi sono ancora molte funzioni prestabilite o ruoli con i quali la gente è pronta a identificarsi e che divengono anche parti dell’ego.
Questo fa sì che le relazioni umane perdano autenticità diventando alienate e disumane. Questi ruoli prestabiliti possono comunque darvi un confortante senso d’identità, ma in essi finite per perdere voi stessi. Le funzioni che la gente ha nelle organizzazioni gerarchiche, come quelle militari, quelle ecclesiastiche, le istituzioni governative, le grandi società si prestano facilmente ad assumere l’identità da quel ruolo. È impossibile avere interazioni umane autentiche quando perdete voi stessi in un ruolo.
Alcuni ruoli prestabiliti potremmo chiamarli archetipi sociali. Per menzionarne solamente alcuni: la casalinga di classe media (non così diffusa come una volta ma ancora abbastanza comune), il maschio cosiddetto “macho”, la femmina seduttrice, l’artista anticonformista, l’intellettuale (un ruolo abbastanza comune in Europa) che mostra di avere una conoscenza nel campo letterario, artistico, musicale così come altri mostrano un abito o una vettura costosa. E poi c’è il ruolo universale dell’adulto. Quando lo interpretate, prendete voi stessi e la vita molto seriamente. La spontaneità, la spensieratezza e la gioia non fanno parte di questo ruolo.
Il movimento hippie, che è cominciato sulla West Coast degli Stati Uniti negli anni Sessanta e che si è poi diffuso nel mondo occidentale, ha preso le mosse dal rifiuto da parte dei giovani degli archetipi sociali, dei ruoli e degli schemi prestabiliti di comportamento così come delle strutture economiche e sociali basate sull’ego. Si rifiutarono di interpretare quei ruoli che la famiglia e la società volevano loro imporre. È simbolico che questo abbia coinciso con gli orrori della guerra nel Vietnam, nella quale sono morti più di 58 mila giovani americani e 3 milioni di vietnamiti e attraverso la quale la follia del sistema e il conseguente film mentale sono stati esposti alla vista di tutti. Malgrado il fatto che negli anni Cinquanta la maggior parte degli americani fosse estremamente conformista nei comportamenti e nel pensiero, negli anni Sessanta milioni di persone cominciarono a rifiutare l’identificazione con l’identità concettuale collettiva, perché la follia della collettività era ormai ovvia. Il movimento hippie rappresentò un ammorbidimento delle rigide strutture egoiche nella psiche dell’umanità. Il movimento degenerò e terminò ma non senza lasciare un’apertura, e non solo per coloro che vi avevano fatto parte. Grazie al movimento hippie, l’antica saggezza e spiritualità orientale è stata conosciuta in Occidente e ha giocato un ruolo essenziale nel risveglio della coscienza globale.

I ruoli temporanei

Se siete abbastanza svegli, abbastanza consapevoli, da osservarvi interagire con gli altri, potete rendervi conto di sottili mutamenti nella vostra maniera di parlare, nell’attitudine e nel comportamento, che cambia a seconda della persona con cui state interagendo. All’inizio può essere più facile osservarlo negli altri e, solo dopo, vederlo in voi stessi. La maniera in cui parlate con il vostro capo può essere sottilmente differente da come parlate al portiere. Come vi rivolgete a un bambino può essere diverso da come vi rivolgete a un adulto. Perché? Perché state interpretando ruoli. Non siete voi stessi, né con il presidente, né con il portiere e neppure con il bambino. Quando entrate in un negozio per comprare qualcosa, quando entrate al ristorante, in banca, nell’ufficio postale, potete vedervi scivolare in ruoli sociali prestabiliti. Diventate un cliente e parlate e agite come tale. E potete essere trattato come tale dal commesso o dal cameriere che stanno anche loro interpretando un ruolo. Entra in azione una gamma di schemi condizionati di comportamento che determinano la natura di interazione fra due esseri umani. Ciò che interagisce non sono gli esseri umani, ma le immagini mentali concettuali. Più la gente è identificata con i suoi rispettivi ruoli, più la relazione diventa non autentica.
Voi avete un’immagine mentale non solo di chi è l’altro, ma anche di chi siete voi, specialmente riguardo alla persona con cui state interagendo. Quindi non vi state relazionando per niente con quella persona, ma chi pensate che siete si sta relazionando con chi pensate che sia l’altro. L’immagine concettuale che la vostra mente ha creato di voi stessi si sta relazionando con la propria creazione, che è l’immagine concettuale che ha creato dell’altra persona. La mente dell’altro ha probabilmente fatto lo stesso, così ogni interazione egoica fra due persone è in realtà una interazione fra quattro identità concettuali create dalla mente, che sono alla fin fine “fiction”. Non è affatto sorprendente che vi siano così tanti conflitti nelle relazioni. Non vi è una vera relazione.

Il monaco dalle mani sudate

Kasan, un monaco e maestro zen, stava officiando il funerale di un nobile famoso. Mentre aspettava che il governatore della provincia e altri signori e signore arrivassero, notò che aveva le palme delle mani sudate.
Il giorno seguente radunò i suoi discepoli e confessò loro di non essere ancora pronto per essere un vero maestro. Spiegò che gli mancava ancora la capacità di comportarsi ugualmente di fronte a tutti gli esseri umani, fossero essi mendicanti o re. Non era ancora capace di guardare oltre i ruoli sociali e le identità concettuali e vedere come tutti gli esseri umani fossero uguali. Così se ne andò e diventò discepolo di un altro maestro. Ritornò da quelli che erano stati i suoi discepoli otto anni più tardi, illuminato.

La felicità come ruolo verso la vera felicità

“Come stai?” “Benissimo, non potrei stare meglio.” Vero o falso?
In molte occasioni l’esser felice è un ruolo che la gente rappresenta mentre dietro alla facciata sorridente vi è un grande dolore. Sentirsi abbattuti, depressi e avere reazioni eccessive è comune quando si copre l’infelicità con un aspetto esteriore sorridente e bianchi denti brillanti, mentre invece vi è il mancato riconoscimento, a volte perfino con se stessi, di quanta infelicità vi sia.
“Benissimo” è un ruolo che l’ego interpreta più comunemente in Nord America che in altri paesi dove l’essere e apparire infelice è quasi la norma e persino più socialmente accettabile. È probabilmente un’esagerazione ma mi è stato detto che nella capitale di un paese del Nord si corre il rischio di essere arrestati per comportamento molesto se si sorride agli sconosciuti per strada.
Se vi è in voi infelicità bisogna per prima cosa riconoscere che c’è. Ma senza dire: “Io sono infelice”. L’infelicità non ha niente a che vedere con chi siete. Dite invece: “Vi è infelicità in me” e dopo indagate. Può darsi che una situazione nella quale vi trovate abbia a che vedere con questo. Può essere necessario intraprendere un’azione per cambiare questa situazione o per riuscire a uscirne.
Se non vi è nulla che potete fare, affrontate quello che c’è e dite a voi stessi: “Bene, in questo momento le cose stanno così, posso accettarle o sentirmi infelice”. La causa primaria di infelicità sono i vostri pensieri sulla situazione, non è mai la situazione in sé. Siate consapevoli dei pensieri che avete. Separateli dalla situazione, che è sempre neutrale, che è sempre così come è. Vi è la situazione o il fatto e vi sono i miei pensieri a questo proposito. Invece di creare storie, state ai fatti. Per esempio “Sono rovinato” è una storia che vi limita e vi impedisce di intraprendere le azioni necessarie. “Mi sono rimasti cinquanta centesimi nel mio conto in banca” è un fatto. Guardare in faccia i fatti dà sempre potere. Siate consapevoli che quello che pensate crea in gran parte le emozioni che provate. Sentite la connessione fra i pensieri e le emozioni. E invece di essere i pensieri e le emozioni, siate la consapevolezza che vi è dietro.
Non cercate la felicità, se la cercate non la troverete perché cercare è l’antitesi della felicità. La felicità è sempre sfuggente, ma si può ottenere adesso la liberazione dall’infelicità, fronteggiando ciò che è invece di inventarvi delle storie. L’infelicità copre il vostro naturale stato di benessere e di p...

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