Serial killer
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Serial killer

Storie di ossessione omicida

Carlo Lucarelli, Massimo Picozzi

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  1. 350 pages
  2. Italian
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Serial killer

Storie di ossessione omicida

Carlo Lucarelli, Massimo Picozzi

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Chi sono i serial killer e perché la nostra immaginazione è così colpita da queste terribili figure? Perché ci fanno paura, certo. Ma anche, e soprattutto, perché sono la personificazione di quanto c'è ancora di irrazionale, di ferino, di primordiale in noi e nella nostra vita apparentemente logica e ordinata.
È il mostro che aspetta in agguato, è l'orco che si nasconde dietro le nostre esistenze quotidiane, nelle nostre strade, nelle nostre menti, nei nostri cuori.
Un grande scrittore di noir e un "professionista della follia" uniscono le loro competenze per tracciare il ritratto di questi mostri del nostro tempo. Serial killer è anche un'esplorazione della psicologia di questi mostri efferati e un'indagine su tutti gli strumenti di cui oggi dispongono detective e magistrati per mettersi sulle tracce di questi omicidi ossessivi, sempre in bilico tra normalità e follia.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2015
ISBN
9788852059933
III

Apparentemente sani

La storia di Andrea Matteucci

Aosta non è una città grande. Non è una metropoli tentacolare, con periferie degradate, downtown deserte dopo l’ora di chiusura della metropolitana e grattacieli dormitorio in anonime aree residenziali. Aosta è una cittadina di trentacinquemila abitanti, capoluogo di una piccola regione grande poco più di una valle. «Attorniata dalle cime del monte Emilius (3559 metri), della Becca di Viou (2856 metri) e della Becca di Nona (3142 metri)», come dice il sito ufficiale del comune, «la città si trova nella zona più ricca della valle della Dora Baltea, in corrispondenza del punto di confluenza con il torrente Buthier, proveniente dalla Valpelline.» Una cittadina di montagna, che ha conservato la pianta e le rovine dei tempi dell’imperatore Augusto, e che sarebbe soltanto quello, una bella cittadina di montagna, se non fosse per i trafori del Monte Bianco e del Gran San Bernardo, per i casinò di Saint-Vincent e per i privilegi della regione autonoma. Ma anche così, Aosta resta poco più di una bella cittadina di montagna.
L’ultimo posto in cui immaginare un serial killer.
È il 1980, una tranquilla sera d’estate. C’è un uomo di mezza età che si chiama Domenico Raso, che sta passeggiando in una zona appartata del centro di Aosta, proprio sotto le rovine dell’Arco di Augusto. È un posto buio, un po’ nascosto, quasi deserto a quell’ora, frequentato da chi vuole incontrare qualcuno e vuole farlo con discrezione. Il signor Raso, infatti, è un omosessuale e lì, vicino all’Arco, cerca incontri. Vede un ragazzo, un ragazzo alto e magro, sui 18 anni, che lo interessa. Lo avvicina e il ragazzo accetta di scambiare due chiacchiere. Si chiama Andrea, ed è di Aosta anche lui, appena uscito da una comunità religiosa a cui lo ha affidato il tribunale dei minori. Poca cosa, un piccolo reato, molto stupido. Quattro anni prima, quando ne aveva 14, era entrato nella macelleria in cui lavorava con una pistola scacciacani. Voleva compiere una rapina, o forse voleva solo scherzare, non se lo ricordava più neanche lui, e i suoi compagni, comunque, non ci avevano creduto neanche per un momento e lo avevano lasciato lì, in mezzo alla stanza, con la sua pistola in mano, senza neanche considerarlo. Era stato lui, una settimana dopo, a consegnarsi alla polizia e ad autodenunciarsi, sicuro che prima o poi lo avrebbero fatto i colleghi, o forse soltanto per farsi prendere sul serio da qualcuno. Il reato era ridicolo, ma i suoi l’avevano comunque buttato fuori di casa, per cui il tribunale lo aveva affidato alla comunità. A 18 anni, come da legge, era tornato a casa, dove rimaneva poco, perché preferiva andarsene in giro per la città. Come quella sera.
Al signor Domenico, Andrea piace. Gli chiede se vuole andare con lui dietro il monumento, sotto l’Arco, dove non li vede nessuno, e Andrea accetta. Il signor Domenico gli chiede se vuole fare l’amore con lui, e Andrea sembra accettare anche quello. Ma appena gli è vicino lo colpisce con un pugno in pieno viso, poi lo afferra per i capelli, si sfila un coltello da boy-scout dalla cintura e glielo pianta nella schiena. La lama si incastra fra le vertebre dell’uomo e non esce più. Andrea cerca di sfilarla ma non ci riesce, così lascia cadere a terra il signor Domenico e cerca di andarsene. Ma fa solo pochi passi, perché l’uomo ha cominciato a gridare, molto, e molto forte, tanto che prima o poi arriverà qualcuno. Andrea torna indietro, sotto il monumento romano, tira fuori il coltello e ricomincia a colpire quell’uomo, tante volte, al petto e alla schiena. Si ferma solo quando è lo stesso signor Domenico a chiederglielo. «Adesso basta!» gli dice «ormai sono morto.» Ed è vero. Andrea smette di colpire, si allontana dall’Arco di Augusto, getta il coltello nel primo cassonetto che trova e scappa.
Andrea si chiama Andrea Matteucci, ed è nato a Torino il 24 aprile 1962. Non è una famiglia facile, la sua. Il padre è un operaio con precedenti penali per furto e ricettazione, ma Andrea non fa in tempo a conoscerlo, perché lascia la famiglia poco dopo la sua nascita. Quasi non fa in tempo a conoscere neppure la madre, che lo lascia subito in affidamento alla sorella perché sarebbe un intralcio al suo lavoro. La signora Matteucci, infatti, si prostituisce in casa, e non sarebbe facile farlo con un bambino così piccolo, appena nato. Andrea vive a Foggia, dalla zia Lina, tranquillo e felice, fino a 5 anni. Poi arriva una signora che non ha mai visto e che vuole prenderlo e portarlo con sé. Dice di essere sua madre, ma come? Non è Lina sua mamma? Così Andrea segue la signora fino ad Aosta, dove però non va a vivere con lei, non ancora. La signora lo mette in un collegio, un istituto religioso, in cui resta anche a dormire, e ci sta finché non ha 9 anni. Poi, passa in un altro collegio, dove finisce di fare le elementari, ma non dorme più lì dentro, torna a casa tutti i giorni, anche se non gli piace.
La signora Matteucci, infatti, vive con un uomo collerico e violento. E anche lei è strana. Intanto lo tratta male, è brusca e sprezzante nei suoi confronti, lo chiama «coniglio» e «cagone», e gli dice che è come suo padre, quello che se n’è andato, un uomo da niente, un coniglio, appunto, un cagone. Lei no, lei è una donna forte, che mantiene la famiglia facendo «la vita» per portare i soldi a casa. Una donna così forte che si vanta addirittura di aver ucciso due persone. A una avrebbe sparato, in fronte, con una pistola, perché aveva parlato male di lei. Un altro, un cliente, lo avrebbe evirato perché non voleva pagarla. Avrebbe ammazzato anche un cane, il cane di una vicina, l’avrebbe impiccato perché la vicina le stava antipatica. E avrebbe anche provocato la morte della nonna, che secondo Andrea imbottiva di pasticche e prendeva a pugni in testa. Strana anche la nonna, comunque, che beveva l’aceto e aveva allucinazioni in cui vedeva i morti, sia di notte che di giorno.
A 13 anni, Andrea ruba una bicicletta. Lo fa assieme a un amico, ma poi ha talmente paura di essere scoperto e portato via dai carabinieri che cambia la bici rubata con quella dell’amico. A casa, però, il patrigno lo vede con quella bicicletta che non gli appartiene, lo riempie di botte e lo porta in giro per il quartiere, dicendo a tutti che è un ladro. Andrea è così umiliato e arrabbiato che prova per la prima volta una sensazione fortissima e quasi incontenibile. Quella di uccidere.
A 14 anni Andrea finisce dentro per quella sciocchezza della rapina alla macelleria. Resta in una comunità fino a 18 anni, poi esce e trova lavoro come meccanico in una officina di Quart, vicino ad Aosta. Ma a casa non ci sta bene. Nella comunità, con don Luciano e gli altri ragazzi, lì sì che ci stava bene, ma a casa no. La madre continua a dirgli che non guadagna abbastanza, che è un coniglio e un cagone, che lei sì che è una donna forte e lui invece è come quell’inetto e vigliacco di suo padre. Così Andrea esce, una sera, e per dimostrare a se stesso di non essere un coniglio e un cagone decide di ammazzare il primo che incontra. E incontra il signor Domenico.
Aosta non è un posto da serial killer. Quasi non è neppure un posto da omicidi, da delitti comuni. La criminalità organizzata c’è ma non si avverte e gli omicidi che comunque avvengono sono pochi e, dopo essere rimasti sulle prime pagine dei giornali, scompaiono e vengono quasi dimenticati. Succede così anche con quello del signor Domenico.
Andrea non viene scoperto. Quello che ha fatto non lo ha lasciato indifferente, anzi, lo ha sconvolto, soprattutto quando ha letto sul giornale che l’uomo aveva due figli, tanto che lo sogna parecchie volte, la notte, come un incubo. Giura a se stesso che non l’avrebbe fatto mai più. Una cosa da rimuovere, da dimenticare completamente. Nessuno lo sospetta, nessuno lo cerca, nessuno viene a prenderlo. Caso chiuso.
Arriva la cartolina del servizio militare e Andrea parte. Vuole farsi mandare più lontano che può da casa sua e allora fa domanda per entrare nei paracadutisti. Viene preso e va a Livorno, dove si fa tutto l’anno di ferma senza problemi, come barelliere, fino a congedarsi col grado di caporalmaggiore. Fare il militare gli piace, tanto che al momento del congedo pensa addirittura di firmare per la ferma prolungata e rimanere in servizio. Esita, ci pensa, lascia perdere, parte, poi ci ripensa, torna indietro per firmare, ma ormai è troppo tardi, si è congedato. Per rientrare dovrebbe seguire una trafila molto più lunga e complicata, ma Andrea non se la sente e non lo fa.
A casa, ad Aosta, Andrea conosce una ragazza a una festa. È un amico a presentargliela e Andrea comincia a frequentarla finché, nel 1983, non la sposa. Vanno a vivere prima a Saint-Pierre, poi a Sarre, un paesino vicinissimo ad Aosta e molto vicino anche alla casa della madre di Andrea, e alla fine a Villeneuve, dove Andrea trova lavoro come commesso in un negozio di alimentari. Nel 1987 gli nasce anche un figlio.
Una moglie, un figlio, un lavoro, sembra una vita normale, e sembra quasi che Andrea abbia completamente dimenticato quel delitto compiuto tanti anni prima, come se fosse stato commesso da un’altra persona, in un’altra dimensione.
Poi, le cose cominciano a cambiare.
Andrea lascia il lavoro come commesso e si mette a fare lo scalpellino, prima sotto padrone e poi in proprio, in un laboratorio che apre ad Arvier, un paese vicino. Ma il lavoro non va bene, e non vanno bene neanche i rapporti di Andrea con la moglie. Non fanno più l’amore, litigano e ci si mettono di mezzo anche i suoceri, che danno sempre ragione alla figlia. Ogni tanto, uno dei due lascia l’altro e abbandona la casa, per poi tornare e ricominciare da capo. Ma non funziona.
Una sera, è il 1992, Andrea esce di casa con una pistola in tasca. Ha litigato di nuovo con la moglie, è un periodo che litigano sempre, tutti i giorni, e lui è molto stressato. Vede tutto nero. Così esce a cercare una prostituta con cui andare a sfogarsi. È da un pezzo che fa così, che non ha più rapporti con la moglie e cerca le prostitute che battono in zona. Però questa volta ha preso con sé un’arma, una specie di pistola che spara un pallettone e serve a uccidere le mucche, una cosa che Andrea ha comprato in uno dei tanti momenti in cui pensava di cambiare lavoro, mettere su un allevamento, per esempio.
Andrea sta passando da Brissone a bordo del suo furgoncino quando vede una ragazza che gli piace. È una biondina con gli occhiali, in minigonna, che si chiama Daniela. Andrea si ferma e la ragazza accetta di salire con lui. Si appartano e cominciano a...

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