Educare alla libertà
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Educare alla libertà

Maria Montessori, Claudio Lamparelli

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Educare alla libertà

Maria Montessori, Claudio Lamparelli

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Crescere i bambini nell'affetto, nella creatività, nella spontaneità: i capisaldi del metodo della celebre pedagogista diffuso in tutto il mondo. Un programma educativo basato sulla libertà che tenga conto delle esigenze e delle doti del singolo bambino, "padre dell'uomo". Non una scuola per i bambini ma una scuola dei bambini, in cui i piccoli diventino pienamente persone e diano vita a un mondo di pace.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2016
ISBN
9788852063749

EDUCARE ALLA LIBERTÀ

I brani che seguono sono tratti dall’edizione critica di Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini, Edizioni Opera Nazionale Montessori, Roma 2000.
Il curatore ha ammodernato alcuni vocaboli e la punteggiatura, mettendo tra parentesi quadre aggiunte, modifiche o tagli effettuati al testo originale.

L’ambiente scolastico

Il metodo dell’osservazione è stabilito da una sola base fondamentale: la libertà degli scolari nelle loro manifestazioni spontanee.
A ciò [diedi inizio disponendo] l’ambiente e quindi l’“arredamento scolastico”. Se dicessi che chiesi un terreno coltivabile e uno spazio abbastanza vasto all’aria aperta – adiacenti alla scuola – non direi nessuna novità. Soltanto era forse nuovo il mio intento: che cioè tali terreni fossero in diretta comunicazione con la scuola (come ho ottenuto a Milano, dove una delle finestre dell’aula, ridotta a porta, conduce con una scaletta direttamente sul terreno) in modo che il bambino fosse libero di uscire e rientrare a suo beneplacito in ogni ora del giorno. Ma di ciò più tardi.
La principale modifica degli arredamenti scolastici è l’abolizione dei banchi: ho fatto costruire dei tavolini a gambe solidamente impiantate e larghe (prismi ottaedrici) in modo che non fossero soggetti a tremolio, ma leggerissimi così che due piccoli bambini di quattro anni potessero facilmente trasportarli – tavoli rettangolari ai quali, dal lato più lungo, possono sedersi comodamente due bambini e, un po’ ristretti, anche tre. Inoltre ho fatto fabbricare delle seggioline da prima impagliate, ma poi (l’esperienza ne ha dimostrato l’eccessivo consumo) tutte di legno, leggere, e possibilmente costruite con eleganza (a Milano hanno fabbricato elegantissime seggioline in stile). Oltre a ciò ordinai poltroncine di legno a larghi braccioli e poltroncine di vimini. Ma oggi, si fabbricano anche piccoli tavoli quadrati a un solo posto e tavoli di più forme e misure, [che] si ricoprono con piccoli tappeti di biancheria e si adornano con vasi di piante e di fiori. In Svizzera, negli Asili Infantili riformati in Case dei Bambini, sono stati adottati tutti tavolini leggerissimi a un solo posto ed eleganti seggioline di legno che si fabbricano appositamente a Burgdorf. Fa parte dell’arredamento un lavabo molto basso in modo che il piano sia accessibile a un bambino di tre o quattro anni d’età, con piani laterali, tutti bianchi e lavabili, per tenervi saponi, spazzolini e asciugamani; e una larga sputacchiera che serve (si sa che i bambini non sputano) all’emissione dell’acqua di lavaggio dei denti. Le credenze sono basse – il loro piano superiore è all’altezza di un tavolino per adulto – ma molto lunghe, così da comprendere un notevole numero di sportelli, ciascuno dei quali è chiuso da una chiave diversa: la serratura è a portata di mano dei bambini, così che essi possano aprire e chiudere e disporre oggetti dentro ai reparti. Sul piano della credenza, lungo e stretto, sta una tovaglietta di biancheria; e [sopra], allineati, piccoli vasi di fiori, o una gabbia con uccelli, o una vaschetta con pesci vivi. Tutto intorno alle pareti, in basso così da essere accessibili a piccoli bambini, sono disposte lavagne intercalate da scatole in cui si ripongono i gessi e i cenci necessari a cancellare. Più al di sopra delle lavagne sono allineati quadri raffiguranti fanciulli, scene di famiglia, scene di campagna o animali domestici – tutte figure estremamente semplici e gentili. Abbiamo messo tra i quadri di famiglia nelle Case dei Bambini, a Roma, [uno che raffigura] la famiglia reale d’Italia. Un grande quadro, a colori, che riproduce la Madonna della Seggiola di Raffaello [troneggia poi] sulle pareti, e noi lo abbiamo scelto [per] figurare l’emblema, il simbolo delle Case dei Bambini. Infatti le Case dei Bambini rappresentano non solo un progresso sociale, ma un progresso dell’umanità; esse sono collegate strettamente con l’elevazione materna, con il progresso della donna e con la protezione della posterità. La Madonna ideata dal divino Raffaello è non solo bella e dolce come una sublime madre con il suo bambino adorabile e migliore di lei; ma, accanto a così perfetto simbolo della maternità viva e reale, sta la figura di Giovanni, che rappresenta l’umanità. A quel Giovanni alludeva il Cristo morente sulla Croce allorché, rivolgendosi a Maria, pronunziava le parole: «Madre, ecco il tuo figlio», con le quali parole il Cristo additava a sua madre l’adozione di tutta l’umanità. Nel quadro di Raffaello dunque si vede l’umanità che rende omaggio alla maternità, fatta sublime nel suo definitivo trionfo; e al tempo stesso si rappresenta come tale umanità sublime non leghi più solo la madre al proprio figlio, ma congiunga la madre con l’umanità intera. Inoltre si tratta di un’opera d’arte del maggiore artista italiano; e, se un giorno le Case dei Bambini si diffondessero nel mondo, il quadro di Raffaello starebbe a parlare eloquentemente dalla loro patria d’origine.
I fanciullini non potranno comprendere il significato simbolico della Madonna della Seggiola; ma vi vedranno qualcosa di più grande [di ciò che si trova] negli altri quadri raffiguranti madri, padri, nonni e bambini: e lo [serberanno] nel loro cuore [con] un sentimento e [con] un’aspirazione religiose.
Ecco l’ambiente.
Conosco la prima obbiezione che si presenta alla mente dei seguaci degli antichi metodi disciplinari. I bambini, movendosi, rovesceranno sedie e tavoli producendo chiasso e disordine; ma questo è un pregiudizio. Similmente le folle hanno creduto che fossero necessarie le fasce ai neonati e i cesti chiusi ai bambini che muovevano i primi passi. Così a scuola crediamo ancora necessario […] il banco pesante, quasi inchiodato a terra. Tutto ciò riposa sul concetto che il fanciullo dovesse crescere nella immobilità e sullo strano pregiudizio che per subire un’azione educativa [egli] dovesse tenere una speciale posizione del corpo, come per esempio una posizione speciale credono di dover assumere quelli che pregano.

Imparare a muoversi

I tavoli, le sedie, le poltroncine leggere e trasportabili permetteranno al bambino di scegliere la posizione più gradita: egli potrà accomodarsi anziché sedersi al posto: e ciò sarà insieme un segno esterno di libertà e un mezzo di educazione. Se una mossa sgraziata del bambino farà cadere rumorosamente una sedia, egli avrà un’evidente prova della propria incapacità: la mossa medesima, tra i banchi, sarebbe passata inavvertita. Così il fanciullo avrà modo di correggersi e, quando si sarà corretto, ne avrà le prove palesi, evidenti: le sedie e i tavoli resteranno fermi e silenziosi al loro posto; allora vorrà dire che il bambino avrà imparato a muoversi. Invece con il metodo antico la prova della disciplina raggiunta era nel fatto contrario, cioè nella immobilità e nel silenzio del bambino stesso. Immobilità e silenzio che impedivano al fanciullo di imparare a muoversi con grazia e con discernimento, in modo che, quando poi si trovava in ambienti in cui non esistono i banchi, gli accadeva di rovesciare facilmente oggetti leggeri. Qui invece il fanciullo impara un contegno e un’abilità a muoversi che gli sarà utile anche fuori di scuola: egli, pur essendo bambino, diventerà una persona di maniere libere, ma corrette.
La maestra della Casa di Bambini di Milano fece costruire una lunga mensola accanto a una finestra, sulla quale disponeva i leggii per la scelta degli incastri di ferro necessari ai primi disegni […]. Ma la mensola, troppo stretta, aveva l’inconveniente che i bambini, nella scelta dei pezzi, spesso lasciavano cadere in terra un leggio rovesciando con gran rumore gli incastri di ferro che vi erano sopra. La maestra pensò allora di far adattare meglio la mensola; ma tardando a venire il falegname, avvenne che i bambini giunsero a eseguire le loro manovre così abilmente che i leggii non si rovesciarono più, malgrado il loro incerto equilibrio.
L’abilità delle movenze dei fanciulli aveva riparato al difetto del mobilio.
La semplicità o l’imperfezione degli oggetti esterni servono dunque a sviluppare l’attività e la destrezza degli allievi.
Tutto ciò è logico, semplice, ed ora, enunciato e sperimentato, sembra a tutti evidente come l’uovo di Cristoforo Colombo.
Il metodo pedagogico dell’osservazione ha per base la libertà del bambino; e libertà è attività.

Disciplina e libertà

Ecco un altro principio difficile [da] intendere per i seguaci della scuola comune. Come ottenere la disciplina in una classe di fanciulli liberi?
Certamente nel nostro sistema abbiamo un concetto diverso della disciplina; se la disciplina è fondata sulla libertà, anch’essa deve necessariamente essere attiva. Non è detto che sia disciplinato solo un individuo [che sia stato] reso artificialmente silenzioso come un muto e immobile come un paralitico. Quello è un individuo annientato, non disciplinato.
Noi [definiamo] disciplinato un individuo che è padrone di se stesso e quindi può disporre di sé quando occorra seguire una regola di vita.
Tale concetto di disciplina attiva non è facile né [da comprendere] né [da ottenere], ma certo contiene un alto principio educativo, ben diverso dalla coercizione assoluta e indiscussa alla immobilità.
È necessaria alla maestra una tecnica speciale per condurre il fanciullo su tale via di disciplina, [lungo la quale egli] dovrà poi camminare tutta la vita avanzando indefinitamente verso la perfezione. Come il bambino, allorché impara a muoversi anziché a star fermo, si prepara non alla scuola, ma alla vita, [divenendo] un individuo corretto per abitudine e per pratica anche nelle sue manifestazioni sociali consuete, così […] si abitua ora a una disciplina non limitata all’ambiente [della] scuola, ma estesa alla società.
La libertà del bambino deve avere come limite l’interesse collettivo [e] come forma ciò che noi chiamiamo educazione delle maniere e degli atti. Dobbiamo quindi impedire al fanciullo tutto quanto può offendere o nuocere agli altri o quanto ha significato di atto indecoroso o sgarbato. Ma tutto il resto, ogni manifestazione avente uno scopo utile, qualunque essa sia e sotto qualsiasi forma esplicata, deve essergli non solo permessa, ma deve venire osservata dal maestro. Ecco il punto essenziale. Dalla preparazione scientifica il maestro dovrebbe acquisire non solo la capacità, ma [anche] l’interesse a [diventare un] osservatore dei fenomeni naturali. Egli nel nostro sistema dovrà essere [più passivo che attivo]; e la sua pazienza sarà composta di ansiosa curiosità scientifica e di rispetto assoluto [verso il] fenomeno che vuole osservare. Bisogna che il maestro intenda e senta la sua posizione di osservatore: l’attività deve stare nel fenomeno.
Tale criterio [deve essere riportato] nella scuola dei piccini che dispiegano le prime manifestazioni psichiche della loro vita. Noi non possiamo sapere le conseguenze di un atto spontaneo soffocato quando il bambino comincia appena ad agire: forse […] soffochiamo la vita stessa. L’umanità che si manifesta nei suoi splendori intellettuali nella tenera e gentile età infantile, come il sole si manifesta all’alba e il fiore al primo spuntar di petali, dovrebbe essere rispettata con religiosa venerazione; e, se un atto educativo sarà efficace, potrà essere solo quello tendente ad aiutare il completo dispiegamento della vita.
Per far questo è necessario evitare rigorosamente l’arresto di movimenti spontanei e l’imposizione di atti per opera dell’altrui volontà; a meno che non si tratti di azioni inutili o dannose, appunto perché queste devono essere soffocate, distrutte.

Il nuovo metodo

A ottenere tali intenti dovetti indurre maestre non preparate alla osservazione scientifica, anzi provette negli antichi metodi imperanti nelle comuni scuole. Ciò mi convinse della notevole distanza tra questo e quel sistema. Anche una maestra intelligente che abbia compreso il principio trova molta difficoltà a metterlo in pratica. Essa non [riesce a] intendere il suo compito apparentemente passivo, come quello dell’astronomo che siede [immobile] innanzi al telescopio mentre i mondi vorticosamente roteano per l’universo. Questa idea che la vita e tutte le cose vanno da sé e che per studiare [la vita], indagare i suoi segreti o dirigerla bisogna osservarla e conoscerla senza intervenire non può essere facilmente assimilata ed attuata. La maestra ha imparato troppo ad essere l’unica attività libera della scuola investita del compito di soffocare l’attività degli allievi. Quando essa non ottiene l’ordine e il silenzio, si guarda intorno smarrita come chiedendo scusa al mondo e chiamandolo a testimone della sua innocenza: invano le si ripete che il disordine del primo momento è necessario. E quando viene obbligata a non fare altro che guardare, ella si chiede se non debba dare le dimissioni, poiché non [si sente più una] maestra.
Ma quando poi comincia a dover discernere quali sono gli atti da impedire e quali quelli da osservare, la maestra antica sente un vuoto in sé e comincia subito a domandarsi se non sarà inferiore al suo nuovo compito.
Infatti colei che è impreparata si troverà per lungo tempo impotente o smarrita, mentre sentirà tanto più presto meraviglia e interesse […] quanto più vasta sarà la sua cultura scientifica e la sua pratica nell’esperimento.
Il Notari (1878-1950) nel suo romanzo Mio zio miliardario, che è una critica dei costumi moderni, fa risaltare, con la vivezza che gli è propria, un esempio molto eloquente degli antichi metodi di disciplina. Lo zio è stato evidentemente un bambino molto difficile e, dopo aver arrecato abbastanza danni da mettere a soqquadro una città, viene chiuso per disperazione in una scuola. Qui lo zio, cioè il bambino Fufù, ha il primo moto di gentilezza e la prima commozione, quando, vicino alla gentile Fufetta, si accorge che la bambina è mesta e [non ha la] colazione.
«Si guardò intorno, guardò Fufetta, si alzò, prese il cestino e senza dire una parola glielo pose in grembo.
«Indi s’arretrò di qualche passo e, senza sapere né come né perché, chinò il capo sul petto, e scoppiò in un pianto dirotto.
«Mio zio non seppe spiegare la ragione di quel pianto improvviso.
«Aveva visto per la prima volta due occhi buoni, pieni di lacrime dolorose, ed aveva sentito una subitanea commozione ed insieme una gran vergogna: la vergogna di mangiare vicino a un essere che non mangiava.
«Non sapendo esprimere l’impulso dei suoi sentimenti, né che cosa dire per fare accettare l’offerta del suo cestino, né che cosa inventare per simulare il valore della sua offerta, era rimasto vittima del primo urto profondo nella sua anima nascente.
«Fufetta tutta confusa corse da lui rapidamente.
«Con una delicatezza infinita gli scostò il gomito nel quale aveva nascosta la faccia: “ Mica piangere, Fufù…” gli disse piano quasi supplicandolo.
«E pareva parlasse a una bambola di cenci tanto lei aveva il viso intento e materno e lui l’aria grulla e [timida].
«Allora la fanciulla lo abbracciò e mio zio, cedendo ancora all’impulso che gli gonfiava il cuore, tese il collo, sporse le labbra e, senza sapere, senza guardare, muto e ancora singhiozzante, la baciò sul mento.
«Trasse un profondo sospiro, si passò le maniche sulla faccia per togliersi dagli occhi e dal naso le umide tracce della sua commozione e si rasserenò.
«[In quel momento] una voce accidiosa [gridò] in fondo al cortile: “Ehi!… voi due, laggiù… Svelti… dentro!”.
«Era la guardiana…
«Essa soffocava quel “primo moto” dell’anima di un ribelle con la stessa brutalità cieca con cui avr...

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