L'amante di Lady Chatterley
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L'amante di Lady Chatterley

David Herbert Lawrence, Giulio Monteleone

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L'amante di Lady Chatterley

David Herbert Lawrence, Giulio Monteleone

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La storia del travolgente amore tra Lady Chatterley e il suo guardiacaccia, la vittoria degli istinti naturali sulle convenzioni e le ipocrisie della società nel romanzo più famoso dello scrittore inglese (1885-1930), che fu per anni al centro di violente polemiche.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2013
ISBN
9788852031823

L’amante di Lady Chatterley

I

Il nostro tempo è essenzialmente tragico, quindi ci rifiutiamo di prenderlo tragicamente. Il cataclisma s’è abbattuto, siamo tra le rovine; cominciamo a ricostruire nuovi piccoli centri di vita, a nutrire nuove piccole speranze. È un lavoro piuttosto duro; la strada verso l’avvenire non è agevole: bisogna aggirare gli ostacoli o cercare di scavalcarli. Per quanto grande il numero dei cieli che ci sono crollati sulla testa, dobbiamo pur vivere.
Tale, più o meno, era la situazione di Constance Chatterley. La guerra le aveva fatto crollare il cielo in testa. Ma aveva capito che bisognava vivere e imparare.
Nel 1917 aveva sposato Clifford Chatterley, mentre questi era a casa per un mese di licenza. E la loro luna di miele era durata un mese. Poi egli era ritornato nelle Fiandre: per essere riportato in Inghilterra, sei mesi più tardi, ridotto in frantumi, o poco meno. Constance, sua moglie, aveva allora ventitré anni; lui ventinove.
La tenacia della sua vitalità si dimostrò prodigiosa. Non morì, e parve che i frantumi si saldassero nuovamente insieme. Per due anni rimase nelle mani dei medici. Poi lo dichiararono guarito e poté ritornare alla vita; ma una metà del corpo, dalle anche in giù, era paralizzata per sempre.
Questo accadeva nel 1920. Clifford e Constance ritornarono a Wragby Hall, residenza di famiglia. Essendo morto il padre, Clifford era ora baronetto, col titolo di Sir Clifford, e Constance aveva quello di Lady Chatterley. Cominciarono la vita domestica in comune nella casa quasi abbandonata dei Chatterley, con un reddito piuttosto inadeguato. Clifford aveva una sorella, ma se n’era andata; altri parenti prossimi non ce n’erano. Il fratello maggiore era morto in guerra. Storpiato per sempre, sapendo di non poter mai aver figli, Clifford ritornò nei fumosi Midlands per mantenere in vita, finché poteva, il nome dei Chatterley.
Proprio disperato non era. Poteva andare e venire in una sedia a ruote che guidava egli stesso: aveva una carrozzetta con un motorino, per girare lentamente nel bel parco melanconico, di cui andava veramente fiero, sebbene ne parlasse fingendo di tenerlo in conto d’un giardinetto.
Tanto aveva patito, che la sua capacità di soffrire lo aveva, fino a un certo punto, abbandonato. Rimaneva stranamente vivo e gioioso e quasi gaio, col suo colorito acceso, il suo aspetto sano, gli occhi azzurro chiaro, vivi e provocanti. Le spalle erano larghe e forti, le mani molto vigorose; vestiva dispendiosamente, portava belle cravatte di Bond Street. Pure, gli si notavano in viso lo sguardo attento e l’aria un po’ assente dello storpiato.
Era stato così prossimo a perdere la vita, che quanto gliene rimaneva gli era immensamente prezioso. Gli si leggeva chiaramente, nello splendore inquieto degli occhi, l’orgoglio di essere ancora in vita dopo un’avventura simile. Ma ne era stato così colpito, che in lui qualcosa era morto: un po’ della sua sensibilità s’era dileguata. C’era come una lacuna in lui, un difetto di percezione.
Constance, sua moglie, era una giovane colorita e dall’aspetto campagnolo: soffici capelli bruni, corpo vigoroso e movimenti lenti, pieni di una energia poco comune. Aveva grandi occhi stupiti, una voce dolce e mite e sembrava appena arrivata dal suo villaggio natale. Ma la verità era tutt’altra. Suo padre, il vecchio Sir Malcolm Reid, un tempo ben conosciuto, era membro dell’Accademia Reale. Sua madre era appartenuta alla società dei Fabiani, nei bei giorni un po’ preraffaelliti del passato. Fra artisti e socialisti colti, Constance e sua sorella Hilda avevano ricevuto quella che si poteva chiamare una educazione esteticamente sciolta da convenzioni. Erano state condotte a Parigi, a Roma, a Firenze per respirare un’atmosfera d’arte, e anche altrove, all’Aia e a Berlino, ai grandi congressi socialisti, dove gli oratori parlavano tutte le lingue civili e non ci si sentiva mai a disagio.
Fin dall’infanzia le due ragazze si erano mosse senza imbarazzo tra l’arte e la politica idealista, come nella loro atmosfera naturale.
Erano a un tempo cosmopolite e provinciali, di quel provincialismo cosmopolita che distingue l’arte quando si associa a un puro ideale sociale.
All’età di quindici anni, erano state mandate entrambe a Dresda per studiare, fra l’altro, musica. E ci si erano divertite. Vivevano liberamente tra gli studenti, discutevano di filosofia, di sociologia e d’arte con gli uomini; valevano quanto gli uomini, anzi di più, perché erano donne. E vagavano per i boschi in compagnia di giovani vigorosi che portavano la chitarra: tuang, tuang! Cantavano le arie dei Wandervögel e si sentivano libere. Libere! Questa era la grande parola: libere di correre il mondo, di vagare per le foreste al mattino con giovani gagliardi dalla bella voce, libere di fare e, soprattutto, dire quel che volevano. La conversazione era il gaudio supremo: lo scambio appassionato di parole! L’amore non era che un accessorio.
Intorno ai diciotto anni Hilda e Constance avevano avuto le prime schermaglie d’amore. I giovani, con i quali parlavano così appassionatamente e con i quali cantavano con tanta gioia e s’accampavano sotto gli alberi con tanta libertà, desideravano naturalmente contatti d’amore. Le ragazze esitavano, ma, d’altra parte, si parlava tanto d’amore intorno a loro, gli si attribuiva tanta importanza! E gli uomini erano così umili e imploranti! Perché una ragazza doveva rinunciare a comportarsi da regina e a far dono di se stessa?
Così esse avevano fatto dono di sé; ciascuna al giovane con il quale aveva discusso gli argomenti più intimi e sottili. Le teorie, le discussioni erano tutto: l’amore e i rapporti carnali non erano che una specie di ritorno alla primitività e, in parte, una reazione. Poi, si amava il giovane un po’ meno, si era piuttosto propense a odiarlo, come avesse violato un’intimità segreta, una libertà interiore. Perché, naturalmente, tutta la dignità e il significato dell’esistenza d’una ragazza non trovavano compimento che in una assoluta libertà, pura, nobile, perfetta. Che cosa poteva significare la vita di una ragazza se non liberazione dai vecchi e sordidi rapporti e contatti carnali?
E, di qualunque sentimentalità si potesse colorirla, la questione del sesso rappresentava una delle relazioni, una delle sottomissioni più antiche e più sordide. I poeti che l’avevano glorificata erano in massima parte uomini. Le donne avevano sempre saputo che vi era qualcosa di meglio, qualcosa di più alto. E ora esse lo sapevano con più precisione che mai. La bella e pura libertà della donna era infinitamente superiore a ogni specie d’amore sessuale. L’unico malanno era che gli uomini fossero così arretrati in proposito, rispetto alle donne. Insistevano come cani a esigere il rapporto sessuale.
E la donna era costretta a cedere. L’uomo era come un bambino pieno di desideri. La donna doveva cedergli ciò che voleva; altrimenti, come un bambino, sarebbe divenuto probabilmente insopportabile, sarebbe andato via sbattendo la porta, sciupando quello che, per altra parte, era un legame molto piacevole. Ma una donna poteva cedere all’uomo, senza cedere il suo io profondo, rimanendo libera. I poeti, e quelli che parlavano dell’amore, non sembravano aver tenuto sufficientemente conto di questo: che una donna poteva prendere un uomo senza concedersi in realtà: sì, poteva prenderlo senza darsi in suo potere. Poteva anzi usare del rapporto sessuale per acquistare potere sopra di lui. Bastava che durante il congiungimento ella si trattenesse, così da esaurire ed estenuare l’uomo senza giungere ella stessa alla crisi: poi poteva prolungare l’amplesso e pervenire all’orgasmo e allo spasimo usando di lui come strumento.
Quando era scoppiata la guerra e le avevano richiamate in fretta a casa, le due sorelle avevano già fatto la loro esperienza d’amore. Nessuna di esse aveva amato un uomo senza che lui e lei fossero stati molto vicini nelle parole: senza, cioè, che trovassero un profondo interesse nel parlare insieme. Lo straordinario, il profondo, l’incredibile interesse che vi era nel conversare appassionatamente per ore e ore, continuando il giorno dopo e ancora il seguente, per mesi, con un giovane veramente intelligente... questo non avevano mai immaginato prima di farne esperienza. La promessa paradisiaca: ”Tu avrai degli uomini con cui parlare” non era mai stata espressa; ed era stata mantenuta prima che ne avessero compreso tutto il valore.
E se, dopo l’intimità provocata da quelle intense discussioni illuminate dall’anima, il rapporto sessuale diveniva più o meno inevitabile, ebbene: pazienza! Segnava la fine di un capitolo; e aveva un fascino tutto suo, anche: lo strano fascino di un brivido interno del corpo, di uno spasimo finale in cui ci si affermava, di un’ultima appassionata parola, molto simile a quella fila di asterischi che segnano la fine di un paragrafo e indicano un’interruzione dell’argomento.
Quando, nel 1913, le due ragazze ritornarono in Inghilterra per le vacanze estive – Hilda aveva allora vent’anni e Constance diciotto – il padre s’accorse chiaramente che avevano fatto la loro esperienza d’amore: l’amour avait passé par là come ha detto qualcuno. Ma egli stesso era un uomo d’esperienza e lasciò che la vita seguisse il suo corso. Quanto alla madre, affetta da una malattia nervosa e con pochi mesi di vita davanti a sé, voleva solamente che le figlie fossero ”libere”, potessero ”realizzarsi”. Ella stessa non aveva mai potuto realizzarsi; le era stato negato: Dio sa perché. Era pure una donna che aveva una sua rendita, e libera di vivere a piacer suo. Riversava la colpa di tutto sul marito. Ma la colpa era piuttosto di una vecchia impressione di subìta autorità che le pesava sulla mente o sull’anima, e di cui non sapeva liberarsi. La cosa non aveva nulla a che fare con Sir Malcolm, che lasciava la moglie, nervosamente ostile e ribelle, libera di spadroneggiare in casa come più le piaceva mentre lui badava ai suoi intrighi.
Così le giovani erano ”libere”, e tornarono a Dresda, alla loro musica, alla loro università, ai loro giovani. Ciascuna amava il suo giovane, e ne era riamata, con l’intensa passione che nasce dalla simpatia intellettuale. Tutte le belle cose che i giovani pensavano, esprimevano, scrivevano, le pensavano, le esprimevano e le scrivevano per le ragazze. L’amante di Constance aveva la passione della musica, quello di Hilda propendeva per la meccanica. Essi non vivevano che per le ragazze. Nella loro mente e nell’eccitamento del loro spirito, intendo dire. In qualche altra parte essi trovavano invece una resistenza, ma non se ne rendevano conto.
Era chiaro che l’amore era passato anche in loro: cioè l’esperienza fisica dell’amore. La trasformazione che l’amore fisico opera sul corpo dell’uomo e della donna è curiosa: così sottile, e tuttavia indiscutibile. La donna fiorisce, si fa più raffinatamente formosa, le asperità giovanili si addolciscono, assume un’espressione d’ansia o di trionfo; l’uomo diventa più tranquillo, più interiore, la forma stessa delle spalle e delle natiche si fa meno decisa e più esitante.
Nel brivido causato entro il loro corpo dal rapporto sessuale, le due sorelle quasi soggiacquero allo strano potere del maschio. Ma ben presto si ripresero, considerarono quel brivido come una mera sensazione e conservarono la loro libertà. Invece gli uomini, per gratitudine verso le ragazze, per l’esperienza fisica che era stata loro concessa, dettero loro una parte dell’anima. Poi sembrarono un po’ simili a chi ha perduto uno scellino e trovato sei pence. L’amante di Constance mostrava una tendenza alla musoneria, quello di Hilda al sarcasmo. Ma gli uomini sono così: ingrati e mai soddisfatti! Quando li respingete, vi odiano e, se li accontentate, ancora vi odiano per qualche altra ragione. O senza ragione alcuna, soltanto che sono come bambini capricciosi che nulla può soddisfare, qualunque cosa abbiano e per quanto possa fare una donna.
Infine scoppiò la guerra; Hilda e Constance furono rispedite in fretta a casa, dove erano già state in maggio per i funerali della madre. Prima del Natale del 1914 i loro due giovani tedeschi erano morti: le sorelle li piansero e amarono appassionatamente, ma nell’intimo li dimenticarono. Non esistevano più.
Le due ragazze abitavano nella casa del padre, più esattamente della madre, a Kensington e frequentavano il giovane gruppo di Cambridge; il gruppo che propugnava la ”libertà”, i pantaloni di flanella, le camicie aperte sul collo, una specie di ben educata anarchia emotiva, un tono di voce tra il mormorio e il bisbiglio, e un modo di comportarsi ultrasensitivo. Hilda, comunque, sposò improvvisamente un uomo dieci anni più vecchio di lei, un aderente anziano del gruppo, abbastanza ricco, con un impiego ben retribuito dal governo e poco faticoso: scriveva saggi filosofici, anche. Hilda andò a stare con lui in una piccola casa di Westminster e frequentò quella specie di mondo ufficiale che non è alla sommità della scala sociale ma è, o vorrebbe essere, la vera potenza inte...

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