Il gene egoista
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Il gene egoista

La parte immortale di ogni essere vivente

Richard Dawkins, Giorgio Corte, Adriana Serra

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Il gene egoista

La parte immortale di ogni essere vivente

Richard Dawkins, Giorgio Corte, Adriana Serra

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In uno stile semplice e chiaro uno dei più brillanti scienziati del nostro tempo spiega come funziona la perfetta macchina del nostro corpo, tesa a preservare quelle molecole "egoiste" chiamate geni.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2013
ISBN
9788852032967

Il gene egoista

1

Perché esiste la gente?

La vita intelligente su di un pianeta diventa tale quando, per la prima volta, elabora una ragione della propria esistenza. Se delle creature superiori provenienti dallo spazio mai visiteranno la Terra, la prima cosa che domanderanno, per stabilire il nostro livello di civilizzazione, sarà: «Hanno già scoperto l’evoluzione?». Organismi viventi sono esistiti sulla Terra, senza mai sapere perché, per più di tre miliardi di anni prima che uno di essi cominciasse a intravedere la verità. Il suo nome era Charles Darwin. A dire il vero, altri avevano intuito qualcosa, ma fu Darwin che, per primo, mise insieme una teoria coerente e difendibile che spiegava perché noi esistiamo. Darwin ci ha reso possibile dare una risposta plausibile al bambino curioso, la cui domanda dà il titolo a questo capitolo. Non abbiamo più bisogno di rivolgerci alla superstizione quando affrontiamo i problemi profondi: la vita ha un significato? Che cosa ci stiamo a fare al mondo? Che cos’è l’uomo? Dopo aver posto quest’ultima domanda, l’eminente zoologo G.G. Simpson così scrisse: «La mia opinione è che tutti i tentativi di rispondere a questa domanda compiuti prima del 1859 sono totalmente privi di valore e che faremmo meglio a ignorarli completamente».1
Oggi non si può dubitare della teoria dell’evoluzione, più di quanto si dubiti che la Terra gira intorno al Sole, ma non tutte le implicazioni della rivoluzione darwiniana sono state ancora interamente apprezzate. Nelle università la zoologia è una materia secondaria, e anche coloro che scelgono di studiarla spesso prendono questa decisione senza apprezzare il suo profondo significato filosofico. La filosofia e le materie cosiddette «umanistiche» vengono ancora insegnate quasi come se Darwin non fosse mai esistito. Senza dubbio questo stato di cose cambierà con il tempo. Comunque, questo libro non è inteso come un’esaltazione del darwinismo in generale, ma piuttosto mira a esplorare le conseguenze della teoria dell’evoluzione in un caso particolare. Il mio scopo è quello di esaminare la biologia dell’egoismo e dell’altruismo.
Oltre al suo interesse accademico, l’importanza umana di questo argomento è ovvia, in quanto esso tocca ogni aspetto della nostra vita sociale, l’amore e l’odio, la lotta e la cooperazione, il donare e il rubare, la bramosia e la generosità. La stessa cosa si sarebbe potuta dire di opere come Sull’aggressività di Lorenz, Il contratto sociale di Ardrey e Amore e odio di Eibl-Eibesfeldt. Il guaio di questi libri è che gli autori hanno sbagliato tutto. Hanno sbagliato tutto perché non hanno capito come lavora l’evoluzione. Sono partiti dal presupposto che la cosa più importante dell’evoluzione fosse il bene della specie (o del gruppo) invece che il bene dell’individuo (o del gene). È ironico che Ashley Montagu critichi Lorenz come un «diretto discendente dei pensatori ottocenteschi del tipo “natura con i denti e gli artigli rossi di sangue”». Secondo la mia interpretazione della teoria di Lorenz sull’evoluzione, egli sarebbe per primo perfettamente d’accordo con Montagu nel rigettare le implicazioni della famosa frase di Tennyson. Al contrario di loro, io penso invece che l’immagine di una «natura con i denti e gli artigli rossi di sangue» riassuma in modo mirabile la moderna concezione della selezione naturale.
Prima di affrontare l’argomento di questo libro, desidero spiegare brevemente di che cosa si tratta e di che cosa non si tratta. Se ci dicessero che un uomo ha vissuto e prosperato a lungo nel mondo dei gangster di Chicago, saremmo autorizzati a immaginare che tipo di persona fosse: che avesse, per esempio, caratteristiche come durezza, velocità nello sparare e capacità di legare a sé compagni fedeli. Anche se non si tratta di deduzioni infallibili, è tuttavia possibile fare qualche supposizione sul carattere di un uomo se si sa qualcosa sulle condizioni nelle quali è sopravvissuto e ha prosperato. L’argomento base di questo libro è che noi, e tutti gli altri animali, siamo macchine create dai nostri geni. Come i gangster di Chicago che hanno avuto successo, i nostri geni sono sopravvissuti, in alcuni casi per milioni di anni, in un mondo altamente competitivo. Questo ci autorizza ad aspettarci che i nostri geni possiedano certe qualità. Io sosterrò che una qualità predominante da aspettarsi in un gene che abbia successo è un egoismo spietato. Questo egoismo del gene provocherà, in genere, egoismo nel comportamento dell’individuo. Come vedremo, tuttavia, esistono circostanze speciali in cui un gene può raggiungere le proprie mete egoistiche favorendo una forma limitata di altruismo a livello dei singoli animali. «Speciale» e «limitato» sono però parole importanti in questa frase. Per quanto ci dispiaccia pensarla così, l’amore universale e il benessere della specie nel suo insieme sono concetti che non hanno alcun senso dal punto di vista dell’evoluzione.
Questo mi porta al primo punto che desidero chiarire su ciò che il presente libro non è. Io non intendo sostenere una moralità basata sull’evoluzione:2 dico come le cose si sono evolute e non come noi esseri umani dovremmo comportarci. Sottolineo questo punto, perché so che esiste il pericolo di essere frainteso da quella gente, troppo numerosa, che non sa distinguere tra una dichiarazione di fede nella verità dei fatti e un’affermazione che così i fatti dovrebbero essere. La mia opinione personale è che una società umana basata soltanto sulla legge del gene, una legge di spietato egoismo universale, sarebbe una società molto brutta in cui vivere. Sfortunatamente però, per quanto noi possiamo deplorare una cosa, questo non le impedisce di essere vera. Questo libro cerca soprattutto di essere interessante, ma se voleste ricavarne una morale, leggetelo come un avvertimento. Siate consapevoli che se desiderate, come me, costruire una società in cui i singoli cooperino generosamente e senza egoismo al bene comune, dovete aspettarvi poco aiuto dalla natura biologica. Bisogna cercare di insegnare generosità e altruismo, perché siamo nati egoisti. Bisogna cercare di capire gli scopi dei nostri geni egoisti, per poter almeno avere la possibilità di alterare i loro disegni, qualcosa a cui nessun’altra specie ha mai aspirato.
Come corollario a queste considerazioni sull’insegnamento, è un errore – e un errore molto comune – supporre che i tratti ereditati geneticamente siano per definizione fissati e immodificabili. I nostri geni possono istruirci a essere egoisti, ma non siamo obbligatoriamente spinti a obbedire loro per tutta la vita. Può semplicemente essere più difficile imparare l’altruismo di quanto lo sarebbe se fossimo stati programmati geneticamente a essere altruisti. Fra gli animali, l’uomo è l’unico a essere dominato dalla cultura e da influenze apprese e trasmesse. Qualcuno direbbe che la cultura è così importante che i geni, egoisti o no, sono praticamente irrilevanti per la comprensione della natura umana. Altri non sarebbero d’accordo. Tutto dipende dalla posizione che si assume nella diatriba «natura contro nutrimento» come determinanti degli attributi umani. E ciò mi porta alla seconda cosa che questo libro non è: nella controversia natura/nutrimento non sostiene né l’una né l’altra posizione. Naturalmente ho la mia opinione a questo proposito, ma non ho intenzione di esprimerla, eccetto per quanto implicito nella visione della cultura che presenterò nel capitolo finale. Se i geni si riveleranno totalmente irrilevanti per la determinazione del moderno comportamento umano, se davvero siamo unici fra gli animali da questo punto di vista, è come minimo interessante studiare la regola alla quale siamo diventati così recentemente un’eccezione. E se la nostra specie non è così eccezionale come ci piacerebbe pensare, questo studio diventa ancora più importante.
Inoltre questo libro non è una descrizione dei dettagli del comportamento dell’uomo o di qualunque altra specie animale. Userò questi dettagli soltanto come esempi illustrativi, e non dirò mai frasi come: «Se osservate il comportamento dei babbuini lo troverete egoista e perciò è probabile che anche il comportamento umano sia egoista». La logica dell’argomento del «gangster di Chicago» è completamente diversa e si può spiegare in questo modo: l’uomo e il babbuino si sono evoluti per selezione naturale; se osserveremo il modo di operare della selezione naturale, concluderemo che qualunque cosa si evolva per selezione naturale sia egoista; quindi dobbiamo aspettarci che se osserveremo il comportamento dei babbuini, degli uomini e di tutte le altre creature viventi, lo troveremo egoista. E se scopriremo che non è vero, se osserveremo che il comportamento umano è veramente altruista, allora avremo di fronte qualcosa di strano che richiederà una spiegazione.
Prima di procedere ulteriormente abbiamo bisogno di una definizione. Un’entità, come il babbuino, è detta altruista se si comporta in modo da aumentare il benessere di un’altra entità simile a spese del proprio. Il comportamento egoista ha un effetto esattamente opposto. «Benessere» è definito come «probabilità di sopravvivenza», anche se l’effetto sulla reale prospettiva di vita o di morte è così scarso da sembrare trascurabile. Una delle conseguenze della versione moderna della teoria di Darwin è che influenze apparentemente irrilevanti sulle probabilità di sopravvivenza possono avere un grande impatto sull’evoluzione, in quanto hanno a disposizione un tempo enorme per rendersi manifeste.
È importante rendersi conto che le definizioni riportate sopra di altruismo ed egoismo sono comportamentali e non soggettive. Non ho intenzione di occuparmi qui della psicologia dei motivi, né di stabilire se la gente che si comporta altruisticamente lo fa in realtà per motivi egoistici segreti o inconsci. Forse sì e forse no, e forse non lo sapremo mai, ma in ogni caso non è cosa che riguarda questo libro. La mia definizione tiene conto solo del fatto che l’effetto di un atto è quello di aumentare o diminuire le prospettive di sopravvivenza del presunto altruista e le prospettive di sopravvivenza del presunto beneficiario.
Dimostrare gli effetti del comportamento sulle prospettive di sopravvivenza a lungo termine è una questione molto complicata. In pratica, quando applichiamo la definizione al comportamento reale, dobbiamo qualificarla con l’espressione «a quanto sembra». Un atto apparentemente altruistico è uno che sembra, superficialmente, tendere ad aumentare (anche se di poco) la probabilità di morte dell’altruista e la probabilità di sopravvivenza del ricevente. Spesso, a un esame più attento, questi atti di apparente altruismo si rivelano atti di egoismo mascherato. Ancora una volta, non voglio dire che i motivi sottostanti sono segretamente egoistici, ma che gli effetti reali dell’atto sulle prospettive di sopravvivenza sono l’opposto di quello che si pensava all’inizio.
Darò qui alcuni esempi di comportamento apparentemente egoistico e altruistico. È difficile sopprimere abitudini soggettive di pensiero quando abbiamo a che fare con la nostra stessa specie, per cui sceglierò esempi che riguardano altri animali. Cominciamo con alcuni esempi di comportamento egoista da parte di animali singoli.
I gabbiani dalla testa nera nidificano in grosse colonie, dove i nidi distano poche decine di centimetri l’uno dall’altro. Quando i pulcini escono dall’uovo sono piccoli e indifesi e facili da inghiottire. È molto comune che un gabbiano aspetti che il vicino volti la schiena, magari quando è fuori a pescare, per inghiottirsi in un boccone uno dei suoi pulcini. In questo modo ottiene un buon pasto nutriente senza scomodarsi a catturare un pesce e senza dover lasciare il proprio nido privo di protezione.
Meglio noto è il macabro cannibalismo delle mantidi religiose femmine. Le mantidi sono grossi insetti carnivori che mangiano normalmente insetti più piccoli, come le mosche, ma che attaccano quasi tutto quello che si muove. Quando si accoppiano, il maschio striscia cautamente sulla femmina, la monta e avviene la copulazione. Se ne ha l’opportunità la femmina, non appena il maschio si avvicina, o immediatamente dopo la monta o dopo che si sono separati, se lo mangia a cominciare dalla testa. Sembrerebbe più logico che la femmina attendesse la fine della copulazione prima di cominciare a mangiare il maschio, ma a quanto pare la perdita della testa non impedisce al resto del corpo del maschio di continuare l’atto sessuale. Anzi, poiché la testa dell’insetto è la sede di alcuni centri nervosi inibitori, è possibile che mangiandogliela la femmina ne migliori la prestazione sessuale.3 Se è così, questo è un beneficio che si aggiunge a quello primario, cioè ottenere un buon pasto.
La parola «egoista» sembra un po’ debole per casi estremi come il cannibalismo, anche se si adattano bene alla nostra definizione. Forse ci è più facile comprendere il comportamento codardo osservato nel pinguino imperatore dell’Antartico. Questi pinguini sono stati visti fermi in piedi ai bordi dell’acqua esitare a tuffarsi per paura di essere mangiati dalle foche. Se uno soltanto di loro si tuffasse, il resto saprebbe se c’è una foca. Naturalmente, poiché nessuno vuole fare da cavia, tutti aspettano e certe volte cercano anche di spingersi in acqua.
Di solito però il comportamento egoista consiste semplicemente nel rifiuto a condividere una risorsa importante come il cibo, il territorio o il partner sessuale.
Il pungiglione delle api operaie è una difesa molto efficace contro i ladri di miele. L’ape che punge è però un kamikaze, perché nell’atto di pungere gli organi vitali interni le vengono strappati dal corpo e l’insetto muore. La sua missione suicida può aver salvato le riserve di cibo vitali per la colonia, ma l’ape non è più lì a trarne beneficio. Secondo la nostra definizione questo è un comportamento altruistico. Si ricordi che non stiamo parlando di motivi consci: questi possono essere presenti oppure no, sia in questo caso che negli esempi di egoismo, ma non hanno importanza per la nostra definizione.
Donare la vita per quella di un amico è ovviamente un atto altruistico, ma lo è anche correre un lieve rischio per il suo bene. Molti piccoli uccelli, quando vedono volare un predatore come il falco, emettono un «richiamo di allarme» caratteristico che permette all’intero stormo un’appropriata manovra di fuga. Esistono prove indirette che l’uccello che dà l’allarme si mette in pericolo, perché attrae l’attenzione del predatore su di sé. Si tratta solo di un rischio di lieve entità, ma sembra comunque, a prima vista, un atto altruistico secondo la nostra definizione.
Gli atti più comuni e più cospicui di altruismo animale vengono compiuti dai genitori, specialmente dalle madri, nei confronti dei loro piccoli. I genitori li covano nei nidi o li portano nel proprio corpo, li nutrono con enorme sforzo e corrono grossi rischi per proteggerli dai predatori. Ad esempio, molti uccelli che nidificano al suolo mettono in atto una cosiddetta «azione diversiva» quando si avvicina un predatore come una volpe. Il genitore si allontana dal nido zoppicando, facendo pendere un’ala come se fosse rotta. Il predatore, pensando a una facile preda, viene attirato lontano dal nido che contiene i pulcini. Alla fine l’uccello smette di fingere e balza via, giusto in tempo per sfuggire alle mascelle della volpe. In questo modo ha probabilmente salvato la vita dei suoi piccoli, ma a rischio della propria.
Non sto cercando di dimostrare qualcosa raccontando delle storielle. Esempi particolari non sono mai prove serie che permettono una valida generalizzazione. Queste storie vogliono essere soltanto illustrazioni di quello che intendo per comportamento altruistico ed egoistico a livello dell’individuo. Questo libro dimostrerà come sia l’egoismo che l’altruismo individuale sono spiegati dalla legge fondamentale che io chiamo egoismo del gene. Ma prima bisogna considerare una particolare spiegazione erronea dell’altruismo, perché è largamente conosciuta e anche largamente insegnata nelle scuole.
Questa spiegazione si basa sul concetto sbagliato che ho già menzionato, secondo il quale l’evoluzione fa sì che le creature viventi imparino a fare cose «per il bene della specie» o «per il bene del gruppo». È facile vedere come in biologia si sia originata quest’idea. Buona parte della vita di un animale è devoluta alla riproduzione e la maggior parte degli atti di sacrificio altruistico che si osservano in natura sono compiuti dai genitori nei confronti dei loro piccoli. «Perpetuazione della specie» è un eufemismo comune per riproduzione e ne è innegabilmente una conseguenza. È necessario soltanto un piccolo sforzo di logica per dedurre che la «funzione» della riproduzione è quella di perpetuare la specie. Da qui basta un ulteriore breve passo falso per concludere che gli animali, in generale, si comportano in modo da favorire la perpetuazione della specie. Sembra seguirne che esiste l’altruismo nei confronti dei membri della stessa specie.
Questa linea di pensiero può essere espressa in termini vagamente darwiniani. L’evoluzione lavora per selezione naturale e selezione naturale significa la sopravvivenza differenziale del «più adatto». Ma stiamo parlando degli individui più adatti, delle razze più adatte, delle specie più adatte o di che cosa? Per alcuni scopi non ha molta importanza, ma quando parliamo di altruismo è ovviamente cruciale. Se sono specie quelle in competizione nella darwiniana lotta per l’esistenza, l’individuo sembra svolgere il ruolo di una pedina nel gioco, da sacrificare quando l’interesse superiore della specie lo richiede. Per metterla in parole un po’ più lusinghiere, un gruppo, come una specie o una popolazione all’interno di una specie, i cui singoli membri sono pronti a sacrificarsi per il benessere del gruppo, può avere meno probabilità di estinguersi di un gruppo rivale, i cui membri mettono davanti a tutto il proprio interesse egoistico. Perciò il mondo sarà popolato soprattutto da gruppi che consistono di individui disposti a sacrificare se stessi per la specie. Questa è la teoria della «selezione di gruppo», per lungo tempo considerata vera da biologi che non conoscevano bene i dettagli della teoria evolutiva, e formulata apertamente in un libro famoso di V.C. Wynne-Edwards nonché divulgata da Robert Ardrey nel Contratto sociale. L’alternativa ortodossa è chiamata normalmente «selezione dell’individuo», sebbene io preferisca parlare di selezione del gene.
Una risposta rapida del fautore della selezione dell’individuo alle argomentazioni di cui sopra potrebbe essere qualcosa del genere: anche nel gruppo degli altruisti ci sarà quasi certamente una minoranza che dissente e si rifiuta di fare qualunque sacrificio; e se esiste anche un solo ribelle egoista, pronto a sfruttare l’altruismo degli altri, allora proprio lui, per definizione, ha più probabilità di sopravvivere e avere figli. Ciascuno di questi figli tenderà a ereditare il tratto egoista. Dopo qualche generazione di questa selezione naturale, il «gruppo altruistico» sarà superato dagli individui egoisti e sarà indistinguibile dal gruppo egoista. Anche se accettass...

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