Della guerra
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Della guerra

Edizione integrale

Karl von Clausewitz, Edmondo Aroldi, Ambrogio Bollati, Emilio Canevari

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Karl von Clausewitz, Edmondo Aroldi, Ambrogio Bollati, Emilio Canevari

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Il più noto trattato di strategia della cultura occidentale, capolavoro del generale prussiano von Clausewitz (1780-1831), il fondatore della scienza della guerra, la "polemologia".

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2014
ISBN
9788852047671

Libro sesto

La difensiva

I

Attacco e difesa

1. Definizione della difesa
Qual è l’idea fondamentale della difesa? Parare un colpo. Qual è la sua caratteristica? Attendere il colpo che si deve parare. È dunque questo il carattere distintivo di ogni azione difensiva. Ma una difensiva assoluta sarebbe in completa contraddizione con l’idea di guerra poiché equivarrebbe a supporre che uno solo degli avversari compia atti di guerra; perciò la difesa non può essere che relativa e il criterio sopraddetto non si applica che al concetto integrale della forma della guerra, senza estendersi alle sue singole parti.
Così, un combattimento parziale è difensivo, quando si attende l’assalto nemico. Una battaglia è difensiva, quando si attende l’attacco e cioè l’apparire del nemico davanti alla posizione nel raggio del nostro fuoco. E infine, una campagna è difensiva, quando si attende, per agire, che il nemico abbia messo piede nel nostro teatro di guerra.
In tutti questi casi il concetto complessivo integrale che presiede alla difesa è lattesa e la reazione; il che non è affatto in contraddizione con l’idea fondamentale di guerra, poiché possiamo trovar vantaggio ad attendere l’assalto contro le punte delle nostre baionette, o l’attacco della nostra posizione, o quello contro il nostro teatro di guerra. Ma poiché chi si difende deve anch’egli compiere atti di guerra e gli è d’uopo rendere i colpi al nemico, quest’atto offensivo di reazione nella guerra di difesa avviene, in certo qual modo, sotto il titolo principale di “difensiva”; e cioè l’offensiva di cui ci valiamo è circoscritta all’idea della semplice posizione o dell’intero teatro di guerra. Così in una campagna difensiva si può combattere offensivamente, in una battaglia offensiva si può attaccare con alcune divisioni: e infine, una linea di truppe che attende a piè fermo l’assalto agisce offensivamente col lanciare i suoi proiettili contro il nemico.
La forma difensiva della condotta della guerra non si limita quindi a parare i colpi, ma comprende anche l’abile impiego delle risposte.
2. Vantaggi della difensiva
Qual è lo scopo della difensiva? Conservare. Ora, poiché è più facile conservare che guadagnare, ne consegue che a parità di mezzi la difensiva è più facile dell’attacco. Ma su che cosa si basa la maggior facilità della conservazione? Sul fatto che tutto il tempo non utilizzato dallattaccante va a profitto del difensore: questi raccoglie senza aver seminato. Ogni omissione dell’attacco, dovuta a errore, timidità o indolenza, si converte in profitto per il difensore. Ed è appunto ciò che più volte ha salvato la Prussia dall’imminente rovina durante la guerra dei Sette anni.
Tale vantaggio della difesa, derivante dalla sua stessa definizione e dal suo scopo, è una proprietà universale di ogni forma difensiva, e si manifesta infatti anche nelle relazioni ordinarie della vita, e soprattutto delle contese giudiziarie, che tanta analogia hanno con la guerra, mediante il detto latino “Beati sunt possidentes”.
Un altro vantaggio, ma che riguarda solo la natura della guerra, consiste nell’appoggio dato dalle condizioni locali, che la difesa può meglio utilizzare.
Poste così le basi, ci occuperemo degli sviluppi che la questione comporta.
In tattica, ogni combattimento, piccolo o grande, è difensivo, quando lasciamo l’iniziativa al nemico e attendiamo che giunga davanti alla nostra fronte. Dal momento in cui ciò avviene, possiamo impiegare tutti i nostri mezzi offensivi, senza perdere i due vantaggi della difesa già menzionati: l’attesa e l’utilizzazione del terreno.
In strategia, la campagna sostituisce il combattimento, e il teatro di guerra sostituisce la posizione; così pure, la guerra e tutto il paese prendono rispettivamente il posto della campagna e del teatro di guerra. In ambo i casi la difensiva resta ciò che era in tattica.
Abbiamo già detto, in genere, che la difesa è più facile dell’attacco. Ma lo scopo della difesa è negativo, è la conservazione; mentre quello dell’attacco, la conquista, è positivo; e quindi la conquista tende ad aumentare i mezzi di guerra, la conservazione no. Per esprimersi con precisione occorre dire: la forma difensiva della condotta di guerra è intrinsecamente più forte della forma offensiva. Quest’è il risultato che intendevamo porre in evidenza; giacché, pur essendo esso del tutto rispondente alla natura delle cose e confermato mille volte dall’esperienza, l’opinione predominante è assolutamente opposta; il che dimostra fino a qual punto i concetti possano complicarsi e confondersi nella mente di scrittori superficiali.
Se è vero che la difensiva è la più forte delle due forme di condotta di guerra, ma che il suo scopo è negativo, ne consegue che si deve impiegarla solo fin quando se ne ha bisogno perché si è troppo deboli, e che occorre al contrario abbandonarla appena si divenga così forti da potersi proporre lo scopo positivo.
Ora, se, grazie alla difensiva, si riporta una vittoria, ne risulta in genere un rapporto di forze più favorevole, cosicché risponde pienamente all’andamento naturale della guerra il cominciare con la difensiva e finire con l’offensiva. Ci si metterebbe dunque in contraddizione con lidea fondamentale della guerra, sia se si considerasse la difesa come fine a se stessa, sia se ritenessimo che la forma difensiva adottata per linsieme dovesse estendersi a tutte le singole aliquote.
In altri termini, una guerra, nella quale si volesse sfruttare la vittoria solo a scopo di parata senza alcuna botta di risposta, sarebbe altrettanto assurda quanto una battaglia in cui i provvedimenti fossero ispirati solo alla difesa più assoluta (passività).
Si potrebbe contestare la giustezza di tali considerazioni citando numerosi esempi tratti dalle guerre in cui la difensiva ha conservato il suo carattere fino allo scopo finale incluso, senza che si sia pensato a una reazione offensiva. Ma, ciò facendo, si dimenticherebbe che qui si tratta di concetti generali, e che gli esempi che si possono loro opporre si riferiscono a casi nei quali la possibilità della reazione offensiva non era ancora raggiunta.
Nella guerra dei Sette anni, o almeno nei suoi ultimi tre anni, Federico il Grande non pensava a prendere l’offensiva; crediamo anzi che, dal punto di vista generale, egli considerasse in quella guerra i suoi atti offensivi semplicemente come mezzi migliori per difendersi; la sua situazione complessiva lo costringeva a compierli, ed è naturale che un condottiero tenga presente soltanto ciò che soprattutto trova fondamento nella propria situazione. Tuttavia non si può esaminare questo esempio di difesa, su vasta scala, senza supporla basata sull’idea di una possibile offensiva contro l’Austria; si deve dunque pensare che il momento di prendere l’offensiva non fosse ancora venuto.
Del resto la pace che seguì dimostra che questo concetto non è privo di fondamento. Effettivamente che cosa poteva determinare gli Austriaci a concludere la pace, se non il timore che la loro potenza non sarebbe bastata a controbilanciare il talento del re, che i loro sforzi avrebbero dovuto divenire ancora più grandi di quanto non fossero stati fino allora, e che il minimo rilassamento di tali sforzi li avrebbe esposti a nuove perdite di territorio? E invero, chi può dubitare che nel caso in cui la Russia, la Svezia e l’esercito dei Circoli avessero cessato di vincolare le forze di Federico il Grande, questi non avrebbe cercato di vincere nuovamente gli Austriaci in Boemia e Moravia?
Dopo aver così determinato l’idea della difesa, quale deve concepirsi in guerra, dopo averne indicati i limiti, ritorniamo alla nostra asserzione, che cioè la difesa è la più forte delle due forme di guerra.
L’esame particolareggiato e il confronto fra attacco e difesa faranno risultare chiarissimamente la verità di questa proposizione. Per ora, ci contenteremo di fare osservare che l’inverso contrasterebbe con se stesso e con l’esperienza. Se la forma offensiva fosse la più forte, non esisterebbe più alcun motivo di scegliere comunque la difensiva, giacché lo scopo di questa è già negativo; si dovrebbe dunque sempre attaccare e la difensiva diverrebbe un assurdo.
Per contro è naturalissimo che lo scopo superiore esiga anche sacrifici più considerevoli. Colui che si ritiene abbastanza forte da poter usare la più debole delle due forme può proporsi lo scopo superiore; colui, invece, che si propone lo scopo minore può giustificare la sua scelta solo col vantaggio che gli procura la maggior forza della forma di guerra che impiega.
Quanto all’esperienza dei fatti, si può dire che mai su due teatri di guerra differenti si sia presa l’offensiva con l’esercito più debole e preferita la difensiva con l’esercito più forte. Invece è l’inverso che si è visto sempre e dovunque; ciò che dimostra come i generali, anche quando sono decisamente proclivi all’attacco, hanno tuttavia l’intimo convincimento della forza superiore della difensiva.
Nei capitoli seguenti chiariremo ancora qualche punto preliminare.

II

Rapporti intrinseci fra l’attacco e la difesa
nel campo tattico

Dobbiamo anzitutto esaminare le circostanze che nel combattimento producono la vittoria.
Non è qui il caso di parlare della preponderanza numerica, del valore militare, dell’addestramento e di altre qualità di un esercito giacché dipendono in massima da cose estranee a quell’arte di guerra della quale noi ci occupiamo e d’altronde esse eserciterebbero influenza analoga sia nell’attacco sia nella difesa. Anzi, anche la preponderanza numerica in generale non può essere presa qui in considerazione, perché anche la quantità di truppa è un fatto preesistente, sul quale il condottiero non può influire a suo piacimento. Inoltre, queste cose non hanno alcun particolare rapporto coll’attacco e colla difesa. Astraendo da esse, tre elementi ci sembrano di vantaggio decisivo: la sorpresa; il vantaggio offerto dal terreno; l’attacco da più lati.
La sorpresa manifesta la propria efficacia coll’opporre al nemico, in un determinato punto, una quantità di truppe maggiore di quella che egli può presumere. Questa specie di preponderanza numerica è molto diversa dalla superiorità numerica in senso generale; è l’agente più importante dell’arte della guerra.
Si comprende più facilmente quanto contribuisca alla vittoria il vantaggio del terreno; e, in proposito, occorre unicamente rilevare che qui non si tratta soltanto degli ostacoli che incontra l’attaccante nell’avanzare (ripide erte, elevate montagne, ruscelli paludosi, siepi, ecc.) ma che è altresì un vantaggio, offerto dal terreno, quello di potersi schierare al coperto: anche se si tratta di una regione che non presenti alcuna caratteristica particolare, si può affermare che il suo possesso riesce più vantaggioso a chi la conosce.
Infine l’attacco da più lati comprende in sé tutti gli aggiramenti tattici, in grande o in piccola scala, e la sua efficacia si basa in parte sull’accrescimento degli effetti del fuoco, in parte sul timore di esser tagliati fuori.
Quali sono ora i rapporti dell’attacco e della difesa con questo elemento?
Se si tengono presenti i tre suaccennati principi fondamentali della vittoria, si può rispondere, alla domanda sopra enunciata, che l’attaccante ha a suo favore soltanto una piccola parte del primo e del terzo principio: mentre la più gran parte di questo e tutto il secondo sono a favore del difensore.
L’attaccante ha per sé soltanto il vantaggio della sorpresa, propriamente detta, da parte del complesso delle forze contro l’altro complesso: mentre il difensore, durante il combattimento, è in grado di sorprendere continuamente il suo avversario col modificare la forza e la forma dei propri attacchi.
All’attaccante riesce molto più facile che non al difensore l’avviluppare e tagliare fuori il complesso avversario: perché il difensore sta ancora fermo mentre l’attaccante si muove, riferendosi appunto a questa immobilità del suo avversario. Ma anche quest’aggiramento non si riferisce che al complesso, giacché nel corso del combattimento, e per le singole aliquote, l’attacco da più lati è più facilmente attuabile da parte del difensore appunto perché, come si è detto più sopra, questo è maggiormente in grado di sorprendere mediante la forma e la forza dei propri attacchi. È evidente, di per sé, che il difensore può maggiormente valersi del sussidio del terreno: ma per ciò che concerne la superiorità nella sorpresa mediante forma e forza degli attacchi, essa deriva dal fatto che l’attaccante è costretto a seguire strade e vie secondarie, sulle quali è facile rilevare la sua presenza, mentre il difensore si schiera al coperto e rimane quasi invisibile per l’attaccante fino al momento decisivo. Dacché si è cominciato a interpretare il concetto della difensiva nel suo giusto senso, le ricognizioni sono passate del tutto di moda; per meglio dire, sono divenute impossibili. Vero è che talvolta esse si effettuano ancora: ma è molto raro che se ne riporti un risultato importante. Per quanto infinitamente grande sia il vantaggio di poter scegliere la zona nella quale schierarsi e di potersi famigliarizzare del tutto con essa prima del combattimento, per quanto ovvio sia il fatto che colui il quale si trova in agguato in detta zona (il difensore) possa molto meglio effettuare sorprese che non l’attaccante, non si è però riusciti ancora, oggi, a rinunziare ai concetti d’un tempo, quasi che una battaglia “accettata” dovesse già considerarsi come mezza perduta. Ciò è conseguenza del procedimento difensivo abituale di vent’anni fa, e in parte anche della guerra dei Sette anni, in cui non ci si riprometteva dal terreno che il sussidio di una fronte difficilmente accessibile (pendii ripidi, ecc.), in cui la scarsa densità dello schieramento e l’immobilità dei fianchi producevano tale debolezza da allettare a spostarsi da un monte a un altro, rendendo con ciò sempre più grave il danno. Quando si era trovato un modo di appoggiarsi al terreno, tutto sembrava consistere nell’impedire che in quell’armata, tesa come su un telaio da ricamo, si verificassero penetrazioni. Il terreno occupato assumeva in qualsiasi punto un valore immediato e doveva essere difeso per ciò in modo diretto. E quindi nella battaglia non si poteva concepire né un movimento, né una sorpresa; la completa antitesi, cioè, del concetto cui deve ispirarsi una buona difesa, di quel concetto che, nei tempi attuali, è divenuto infatti realtà.
La sottovalutazione della difensiva è, in sostanza, sempre la conseguenza di un’epoca alla quale essa ha sopravvissuto in un determinato modo: e quest’è anche stato il caso nei riguardi dell’epoca sopraindicata, sebbene, prima di essa, la difensiva fosse realmente superiore rispetto all’attacco.
Se passiamo ora all’arte di guerra più recente, vediamo che al principio, e cioè nella guerra dei Sette anni e in quella per la Successione di Spagna, lo spiegamento e schieramento dell’esercito era una delle questioni principali nella battaglia: costituiva anzi la parte più importante del piano di battaglia. Ciò conferiva, di massima, grandi vantaggi al difensore, essendosi esso già schierato e spiegato. Non appena la capacità manovriera delle truppe aumentò, questo vantaggio venne a cessare: e l’attaccante, per un certo lasso di tempo, ebbe il sopravvento. E ora il difensore cercò protezione dietro a fiumi e a profonde vallate e sui monti. Ne risultò di nuovo per lui un deciso sopravvento, che durò fino a quando l’attaccante fu divenuto tanto mobile e abile da potersi arrischiare ad attaccare anche in terreno rotto, e su colonne separate, e cioè poté aggirare l’avversario. Ne conseguì per la difesa una sempre maggiore estensione, per effetto della quale l’attaccante giunse gradatamente ad adottare il concetto di concentrarsi su un paio di punti e sfondare la sottile linea nemica. E così l’attaccante venne per la terza volta a procurarsi la superiorità: e la difesa dovette di nuovo mutar sistema, come ha fatto per l’appunto nelle ultime guerre. Essa ha tenuto alla mano le proprie forze in grosse masse, senza neppure, di solito, spiegarle, e schierandole al coperto quando ciò era possibile: mettendosi così puramente in stato potenziale per parare e reagire contro i provvedimenti dell’avversario, quando venissero a delinearsi maggiormente.
Ciò non esclude del tutto la difesa parzialmente passiva del terreno: il vantaggio che essa offre è troppo rilevante perché nel corso di una medesima campagna non vi si ricorra numerosissime volte. Ma questa difesa passiva locale, normalmente, non è più la cosa principale, di cui qui invece intendiamo occuparci.
Qualora l’attaccante scoprisse qualche nuovo importante mezzo a lui vantaggioso – il che non si può escludere, data la semplicità e la necessità intima verso cui tutto tende – anche la difesa dovrà modificare il proprio procedimento. Ma essa avrà sempre dalla sua l’appoggio del terreno: e poiché terreno e suolo influiscono oggi più che mai con le loro caratteristiche sull’azione bellica, troverà in essi, di massima, la propria naturale superiorità.

III

Rapporti strategici
fra l’attacco e la difesa

Possiamo domandarci anzitutto quali siano le circostanze che assicurano il successo strategico.
Come abbiamo già detto, in strategia non esistono vittorie. Il successo strategico sta, da un lato, nella buona preparazione della vittoria tattica; quanto maggiore è tale successo strategico, tanto più probabile diverrà la vittoria nel combattimento. Dall’altro lato il successo strategico consiste nello sfruttamento della vittoria ottenuta combattendo. Quanto maggiormente, dopo una battaglia vinta, la strategia tende con le sue combinazioni a penetrare nelle conseguenze della vittoria, quanto più essa riesce ad attrarre a sé tutto ciò che la battaglia ha scosso dalle fondamenta, quanto più essa inquadra in grandi tratti ciò che si è dovuto guadagnare laboriosamente passo passo col combattimento, tanto più grandiosi saranno i suoi risultati.
Gli elementi che più contribuiscono a questo successo, lo facilitano e formano quindi i principi essenziali dell’azione strategica, sono i seguenti, di cui i tre primi trovano piena rispondenza nella tattica:
1. il vantaggio del terreno;
2. la sorpresa, sia che consista in un attacco improvviso, sia che risulti da un concentramento imprevisto di numerose forze in taluni punti;
3. l’attacco da più lati;
4. l’appoggio dato dal teatro di guerra a mezzo delle piazzeforti e di quanto vi è connesso;
5. il concorso delle popolazioni;
6. lo sfruttamento di grandi forze morali.
Vedremo ora i rapporti che questi elementi vari hanno con l’attacco e la difesa strategica.
Il difensore ha il vantaggio d...

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