L'ultima vittoria
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L'ultima vittoria

Santiago Posteguillo

  1. 672 pages
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L'ultima vittoria

Santiago Posteguillo

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Babilonia, Seleucia, Ctesifonte: le mitiche città mediorientali che si stagliavano, con i loro edifici regali e la loro storia millenaria, nel cuore di uno dei più grandi imperi del mondo antico. È a quell'impero, l'impero dei Parti, che Marco Ulpio Traiano guarda come al traguardo ultimo per poter fare davvero di Roma la dominatrice incontrastata del mondo conosciuto. E per restare nella Storia da vincitore.
Adesso Traiano è pronto a mettere in atto, dopo lunghi anni di progettazione, la più grande campagna che la storia romana ricordi, la stessa che Giulio Cesare immaginò ma non realizzò mai. Un'impresa di dimensioni tali da ricordare il coraggio e la pazzia di un altro grande uomo della storia antica: Alessandro Magno.
Santiago Posteguillo ci accompagna nell'ultimo, glorioso capitolo della vita leggendaria dell'imperatore Traiano con mano sicura, come sempre, e con la potenza di una narrazione che trae la sua vitalità e la sua forza dal più grande romanzo che esista: la Storia.

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Information

Year
2019
ISBN
9788858522127

STORIA DI TRAIANO

Inizio del II secolo d.C.
LIBRO IV
LA FINE DI UN SOGNO
50

LA SUCCESSIONE

Selinus1, costa della Cilicia
Luglio del 117 d.C.

L’umidità e il caldo lo stavano facendo sudare profusamente.
Traiano aveva richiesto che lo portassero sulla coperta della nave, poiché all’interno l’aria era irrespirabile. Aveva la nausea e, ancora una volta, aveva perso l’uso di braccia, mani e gambe. Nonostante avesse recuperato, almeno parzialmente, la facoltà di parlare, pronunciare ogni parola gli costava un’enorme fatica. Dopo un lento miglioramento, aveva sofferto un altro attacco, ritrovandosi nuovamente paralizzato. Il suggerimento di Plotina di sostare presso il primo porto sicuro e fermarsi lì fin quando non si fosse sentito meglio era parso a tutti ragionevole: a Fedimo, il giovane segretario del Cesare, a Liviano, il capo del pretorio, a Critone, il medico dell’imperatore, e pure a Matidia, la pronipote di Traiano, anche lei lì ad accompagnare il Cesare nel suo lento viaggio di ritorno a Roma.
Traiano, constatando che tutti erano d’accordo, non si era opposto a quella scelta, anche se lui avrebbe preferito proseguire nonostante il viaggio fosse faticoso. Aveva la sensazione che quanto prima avrebbe raggiunto Roma, il senato, Celso, Palma e Nigrino, tanto meglio sarebbe stato per poter agire correttamente. Il problema della successione andava risolto urgentemente. Quieto era impegnato nella campagna di castigo contro i Giudei. Doveva incontrare Celso, Palma e Nigrino il prima possibile.
Sospirò.
La nave si stava avvicinando alla baia.
Avrebbe dovuto risolvere la questione ad Antiochia. Avrebbe già dovuto nominare un reggente, magari un veterano, rispettato da tutti, e poi proporre una lista di nominativi, non molti, una decina, tra i quali il senato avrebbe potuto eleggere il migliore a cui affidare il compito di governare Roma. Adriano non sarebbe stato presente nella lista. Non dopo essersi dimostrato tanto incapace di mantenere la pace nell’Impero mentre lui si trovava sul fronte in Oriente. Aveva da sempre nutrito dei dubbi riguardo al nipote, e adesso era deciso a metterlo definitivamente in disparte riguardo alla successione. Non gli importava dell’insistenza di Plotina, che sempre gli ricordava il legame famigliare basato sul matrimonio tra Adriano e sua nipote Vibia Sabina. Quello era stato un errore. E la soluzione di un errore non poteva consistere nell’affondare del tutto in esso, bensì nel correggerlo. Non poteva sciogliere quel vincolo matrimoniale, ma poteva eliminare Adriano dalla lista dei probabili successori.
Imboccarono la foce di un fiume e proseguirono per un mezzo miglio, fino a raggiungere l’imbarcadero dove attraccare la nave.
Traiano annuì tra sé, in silenzio. Gli portarono un po’ d’acqua. Bevve, ma con difficoltà. Perfino bere gli costava fatica. Tutto il suo corpo lo stava abbandonando.
Lusio Quieto sarebbe stato il primo della lista, e Celso, Palma e Nigrino avrebbero convinto il senato che lui rappresentava la scelta migliore per Roma. Le sue abilità militari erano innegabili, ed era immensamente popolare tra le legioni d’Oriente, di Mauritania e Africa, e perfino tra quelle del Danubio. Nessuno avrebbe potuto rubargli quel posto senza il rischio dello scoppio di una guerra civile, e l’Impero non poteva di certo permettersi un simile guaio.
Traiano fece una smorfia.
Solo Adriano avrebbe avuto il coraggio di mettere in discussione quella decisione. Però, che cosa avrebbe potuto argomentare suo nipote? Che Quieto era nordafricano, originario di una provincia? No. Anche loro lo erano: provenivano dall’Hispania. No, quella legge non scritta per cui un imperatore doveva necessariamente essere nato a Roma, o almeno in Italia, era decaduta nel momento in cui Nerva lo aveva eletto come successore. No, non sarebbe stata quella la linea difensiva di Adriano. Suo nipote avrebbe invece diffuso il panico nell’Impero, appoggiandosi a tutti coloro che avevano ritenuto che l’attraversamento dell’Eufrate fosse stata una pazzia. Adriano avrebbe risvegliato il ricordo della legione perduta di Crasso e la paura che quel disastro aveva generato a Roma. Tutte le vittorie ottenute e le nuove annessioni delle quattro province orientali non avrebbero avuto alcuna importanza. Il timore suscitato avrebbe spinto molti senatori a lasciarsi ingannare dai fantasmi che Adriano avrebbe ridestato davanti a loro: confini incustoditi e un Impero invaso da un’orda nemica che avrebbe attraversato il Reno, il Danubio e il temuto Eufrate. Avrebbe tentato di convincerli del fatto che nemmeno qualcuno come Quieto avrebbe saputo mantenere la sicurezza a Roma. Molti di quei senatori non avrebbero potuto, o voluto, credere che Roma sarebbe stata più forte assicurandosi le nuove province orientali che avrebbero inoltre riempito le casse dello Stato con tutte quelle nuove ricchezze e quell’oro, e controllando la via del commercio con Xeres dopo aver eliminato i traditori partici come intermediari. Le sue quattro province d’Oriente. Gli restavano, concretamente, solo la Mesopotamia e l’Assiria. L’Armenia era in piena rivolta, e la provincia di Babilonia con Ctesifonte in mano a quel fantoccio di Partamaspate. Tuttavia, la situazione poteva ancora ribaltarsi. Sì, poteva farcela.
Alcuni schiavi sollevarono il solium sul quale era seduto per farlo scendere dalla nave. Dovettero unire due passerelle per eseguire l’operazione. Per colpa delle sue pessime condizioni, tutto costava il doppio, il triplo della fatica. E lui, impotente, non poteva fare altro che pensare, pensare…
Però, con lui a Roma, Palma, Celso, Nigrino sarebbero riusciti a far valere le sue ragioni, e se Quieto fosse stato eletto Cesare, allora tutto avrebbe funzionato… Solo così il maledetto lemur della legione perduta sarebbe stato sconfitto una volta per tutte, per sempre…
Passò qualche giorno.
Il riposo gli fece bene.
Chiese allora di essere trasportato sul pendio della montagna che si erigeva dietro a quel piccolo villaggio marittimo. Desiderava contemplare il riflesso del tramonto sul Mediterraneo, le cui acque erano completamente sotto il suo controllo, acque che rappresentavano il centro di tutto, ma che presto sarebbero potute divenire quelle di uno dei tanti mari che Roma avrebbe fatto propri: si dovevano sottomettere le popolazioni del Nord del Ponto Eusino2, addentrarsi nel Mare Ircanio3 e assicurarsi anche la rotta marittima del Mar Eritreo, dall’Egitto fino alle coste dell’India. Per Giove, c’era così tanto da fare! Quieto avrebbe ereditato un compito immenso. Nemmeno il nordafricano avrebbe potuto terminarlo. Ci sarebbero volute varie generazioni per completare il suo sogno. Un sogno immortale.
Salirono per un sentiero ripido e tortuoso. Gli schiavi sudavano copiosamente. Nonostante il sole fosse ormai basso all’orizzonte, la sua potenza continuava a estenuare, il suo calore asfissiava e l’umidità rendeva tutto appiccicaticcio, denso, debilitante. Il mare appariva calmo, come fosse ricoperto da un’immensa macchia d’olio, sulla quale scivolavano alcune piccole barche di pescatori che facevano ritorno dopo una dura giornata di lavoro.
Eccolo lì: il Mediterraneo dell’Impero. Immobile, pacato.
Raggiunsero la cima della montagna.
«Il sogno di Traiano» biascicò l’imperatore tra i denti.
Fedimo si avvicinò.
«Il Cesare ha detto qualcosa?» domandò il giovane segretario.
Traiano scosse la testa. Non voleva parlare. Solo pensare.
Si trovavano a Selinus, un antico porto di pirati cilici sconfitti da Gneo Pompeo Magno. Anche lui, Traiano, sarebbe stato Magno, “Grande”? Da lassù, tutto appariva infinitamente piccolo: le abitazioni di Selinus, il teatro in cui si riunivano le autorità della città portuaria, l’acquedotto, le terme. Forse da ancora più in alto, dall’Olimpo, da dove guardavano gli dei, perfino gli imperi apparivano piccoli, che si trattasse di Roma, della Partia, o del lontano Impero kusana e della misteriosa Xeres. Ripensò, come faceva spesso, ai messaggeri che aveva inviato oltre i confini conosciuti. Chissà se qualcuno di loro era giunto fino a Xeres. Chissà cosa n’era stato di Marzio, sua moglie Alana, la loro figlia Tamura alla quale aveva rivelato quel messaggio segreto. Chissà se la ragazza era riuscita a trasmetterlo. Se così fosse stato, l’elezione di Quieto al posto di Adriano sarebbe stata ancora più necessaria.
Adriano.
Tutto riconduceva immancabilmente a lui.
«Torniamo» ordinò Traiano.
L’imperatore non poté evitare di discendere la montagna con maggior tristezza nell’animo di quando vi era salito per contemplare quello che, senza che lui potesse saperlo, sarebbe stato l’ultimo tramonto che avrebbe visto nella sua vita.

Residenza dell’imperatore a Selinus

Il mese di luglio terminò.
Arrivò il 9 di agosto del 117 d.C., dell’anno 870 ab Urbe condita, dalla fondazione di Roma.
L’imperatore non era più uscito dalla sua residenza. Non poteva quasi più muoversi. Plotina si assunse la piena responsabilità delle sue cure in modo che nessuno si avvicinasse a Traiano. Disse a Liviano che l’imperatore si agitava troppo se vedeva gente nella stanza e lo convinse a restare di guardia all’esterno della villa occupata dal seguito imperiale. Il capo del pretorio accettò senza immaginare che i nemici di Traiano potessero trovarsi all’interno, anziché fuori dalla residenza del Cesare a Selinus.
Al medico, Critone, Plotina riferì che le condizioni del Cesare erano ormai troppo gravi per sperare in una guarigione, e perciò la sua presenza non era più necessaria; aggiungendo che se l’imperatore avesse patito un altro attacco che richiedeva la sua assistenza lo avrebbe fatto chiamare.
A Matidia, unica nipote di Traiano presente a Selinus, affidò il compito di supervisionare l’organizzazione dei domestici.
Infine, al giovane Fedimo, Plotina spiegò che la vista del Cesare non era più quella di prima, né la sua capacità d’intendere, così che sarebbe stata lei, per almeno qualche giorno, finché l’imperatore non si fosse ripreso, a leggergli la posta proveniente da ogni angolo dell’Impero.
Nessuno sospettò.
Non in quel momento.
Tutti sapevano che Traiano era molto grave, e che probabilmente sarebbe morto presto. E tutti pensavano perfino che se qualcuno lo avesse avvelenato gli avrebbe fatto un favore, dal momento che il suo corpo aveva cessato di rispondergli anche nelle azioni più elementari. Però nessuno, né Liviano, né Critone, né Fedimo, né Matidia, avrebbe mai potuto sospettare la presenza di una minaccia finché Plotina fosse stata l’unica persona a entrare nella stanza in cui Traiano giaceva convalescente.
Solamente lei.
Un giorno, accadde che interim la salute di Traiano migliorò, ma non abbastanza da poter uscire di nuovo, e contemplare, per esempio, il sole che scendeva sulla baia di Selinus.
«E la posta?» domandò Traiano.
«Se ne occupa Fedimo, che mi fa avere solo la corrispondenza più urgente» rispose Plotina. «La ribellione dei Giudei è stata domata in quasi tutto l’Impero, a Cirene, a Cipro, ad Alessandria; e perfino in Giudea la situazione è migliorata.»
«Bene. Adesso potremo tornare a concentrare gli sforzi delle legioni per… assicurarci le conquiste in Oriente…» disse Traiano, faticando a parlare. Aveva la sensazione di balbettare, farfugliare, anziché parlare.
Calò un lungo silenzio. Il Cesare si voltò verso sua moglie, seduta su un solium di fianco a lui. Doveva tentare di convincere sua moglie… di farle comprendere…
«Adriano ti tradirà. Devi allontanarti da lui. Cerca la protezione di Liviano e i suoi pretoriani, sono uomini di fiducia. E puoi contare su Fedimo per quanto riguarda le questioni amministrative e le lettere che vanno spedite. Devi scrivere a Lusio Quieto e chiedergli di raggiungermi, Plotina. Dobbiamo fare in fretta. Ora è tutto chiaro. La malattia mi ha lasciato stordito per vari giorni, ma adesso riesco a ragionare e so che cosa fare.» Improvvisamente, le parole gli uscivano senza fatica. Traiano guardò gli occhi spalancati di sua moglie. Sapeva di stare trasmettendole troppe informazioni in una sola volta, ma non c’era tempo da perdere, non gli restavano molte energie ed era essenziale organizzare tutto al più presto. «Avrei dovuto farlo molto prima, ma ora non ha senso lamentarmi, devo invece correggere gli errori del passato» continuò Traiano senza cessare di muovere le labbra a gran velocità. Plotina restava lì, seduta di fianco a lui...

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Posteguillo, Santiago. (2019) 2019. L’ultima Vittoria. [Edition unavailable]. EDIZIONI PIEMME. https://www.perlego.com/book/3302812/lultima-vittoria-pdf.

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Posteguillo, S. (2019) L’ultima vittoria. [edition unavailable]. EDIZIONI PIEMME. Available at: https://www.perlego.com/book/3302812/lultima-vittoria-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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