L’avvento del nuovo secolo ha generato un trascinante impeto di ottimismo negli scenari futuri che si dischiudono per l’umanità intera e nelle prospettive di sviluppo della giovane nazione italiana.
La parola d’ordine è progresso.
Le conquiste della scienza e della tecnica e il loro rilevante riflesso sulla vita pratica delle persone sono sotto gli occhi di tutti. Un tempo ne era simbolo il treno, ormai diventato uno strumento così radicato nella vita quotidiana da non fare più notizia.
Adesso è il turno dell’automobile.
La gente comune è ancora piuttosto scettica su questo mezzo di locomozione ma, stando ai giornali, nell’Italia del Nord esiste una fabbrica che ne produce a pieno ritmo da svariati anni. Nelle grandi città, già se ne vedono diverse in circolazione.
Così almeno sostiene Giuanne, il proprietario dell’albergo, che spesso intrattiene i suoi avventori leggendo articoli dai quotidiani e mostrando loro le foto.
Sviluppo economico, strabilianti invenzioni della tecnica, conquista di nuove terre in Africa, ricchezza.
In una parola, progresso.
Non si parla d’altro, sui giornali, a detta di Giuanne.
I compaesani ascoltano quelle rivelazioni e si sforzano di comprenderle ma è evidente che il mondo del quale si parla deve trovarsi in un altro pianeta.
«Che significa progresso, Giuanne?»
«Ma come? Lo dice la parola stessa, no? Oh, ma siete ignoranti forti, in questo paese. Progresso è progredire, andare avanti, diventare più ricchi e stare tutti meglio. E averci tutti l’automobile invece che l’asino. Hai capito?»
«Ma l’automobile può salire le scale?»
«Non lo so ma penso di no. Non è mica un asino.»
«E allora, quelli che abitano al Travucco, come fanno a portare il fieno e la legna a casa? Qua non c’abbiamo le strade che c’hanno nelle città. Gli scalini, c’abbiamo.»
«E poi vedremo. Li spianeremo e faremo le strade anche qui. Il progresso lo vuoi o no? Diventare ricco ti piace o ti fa schifo?»
«Che vuol dire, diventare ricchi? Che ci danno un pezzo di terra nostra e smettiamo di fare i braccianti per i signori?»
«Può darsi, che ne so? I socialisti, questo vogliono, dare le terre ai poveretti… non ci credi? C’è scritto qui.»
«E quando comandano, i socialisti?»
«Quando la gente li vota. Ci sono le elezioni, che vuol dire che uno va a votare e dà il voto a chi vuole. Per esempio, a te ti piace di darlo ai socialisti, così loro poi comandano e ti regalano un pezzo di terra? E glielo dai a loro.»
«E dove devo andare, per dare il voto ai socialisti? Ché a me, questa storia della terra, mi piace assai.»
«Tu non puoi votare. Nessuno di voi cafoni può votare.»
«E come sarebbe? Perché no?»
«Perché può votare solo chi sa leggere e scrivere o chi guadagna più soldi di voi.»
«Ma se uno guadagna già tanti soldi, perché dovrebbe votare i socialisti? Per aiutare i cafoni comm’a noi? Che gliene frega, ai ricchi, dei poveretti che non c’hanno la terra?»
«Per questo i socialisti per adesso non possono vincere.»
«Ah! Mi pareva che la fregatura ci doveva stare, da qualche parte. I signori l’hanno pensata bene, per non far vincere i socialisti, perché, se tutti smettono di fare i braccianti, chi le lavora le terre loro?»
«Ma allora, Giuanne, perché dici che sul giornale c’è scritto che col progresso diventiamo tutti ricchi?»
«Ma che c’entra? Diventa ricca la nazione, l’Italia… ma voi siete troppo ignoranti per capire queste cose» si arrende Giuanne.
Inutile sprecare tempo ed energie con quella gente zotica. Tanto più che, di energie, ne sente sempre meno, Giuanne, e, a parlare, l’affanno aumenta di molto. Col tempo, quel senso di oppressione, di gonfiore, di spossatezza non è passato, anzi è peggiorato. Non è tornato nemmeno a dormire con sua moglie, dopo che lei ha partorito. Continua a inventare scuse per giustificare quella diserzione che lo mortifica ma, se tornasse a dormire con lei, dovrebbe affrontare un’umiliazione persino maggiore: non riuscire a compiere il suo dovere di marito. E dire che non desidererebbe altro che di godere della bellezza di sua moglie. Ha consultato un medico ma quello ha scosso la testa. Giuanne non ha capito perché.
«Deve andare da uno specialista oppure farsi ricoverare in ospedale» gli ha detto. E perché mai, pensa Giuanne. Non sto mica morendo. Mi sento solo stanco.
Luigi ha informato il sottosegretario Nava di essere pronto ad accettare l’incarico che il governo gli offre con tanta insistenza. Una decisione d’impulso, di cui i fratelli, per la prima volta in vita loro, si compiacciono molto, presumendo di ricavarne onori, privilegi e favori. D’improvviso, gli mostrano gentilezza e affabilità, sollecitano le sue visite a casa con inviti a cena, se lo contendono.
«Bravo! Bravo!» gli ripetono. «Finalmente una decisione giusta! Tu sì, che darai lustro al nome della famiglia.»
Luigi li lascia dire e trova ogni pretesto per respingere tanta premura. Non sanno cosa li attende, quegli stolti. La loro interessata generosità si sgonfierà non appena scopriranno cosa gli passa davvero per la mente.
Ha molto riflettuto sulle parole dell’acquaiola. Poche, scarne, semplici ma capaci di mostrargli una visione della realtà cui non aveva mai pensato. Nell’accettare una carica così delicata e foriera di grandi responsabilità, lo anima un progetto ambizioso e visionario: mettere il suo ingegno e le sue capacità al servizio della sua terra ferma da secoli per ribaltarne dalle fondamenta le condizioni di arretratezza sociale e culturale e portarvi finalmente la trasformazione che Giuanne chiama progresso.
Acqua, fognature, scuole, vie di comunicazione e ferrovia. Questo ha in mente Luigi.
Un compito da svolgere con onestà e imparzialità, come è nel suo stile, senza riguardi e favoritismi per nessuno. Un’imparzialità propiziata anche dal suo totale distacco affettivo verso luoghi e persone e dall’assenza di interessi personali da difendere: non possedere nulla, in una circostanza come questa, si rivela un vantaggio.
Facile prevede che scontenterà molta gente e si procurerà dei nemici.
In una società in cui impera l’arretratezza culturale e vige il principio del servilismo, della sottomissione del debole al forte, dell’imbroglio e dell’aggiustamento clientelare, non certo della giustizia o dell’imparzialità, i cambiamenti radicali sono visti con profondo scetticismo, anzi con autentico terrore, specie da chi ha molto da guadagnare dall’immobilismo e dal perpetuarsi dell’arretratezza.
I più arroganti e pretenziosi saranno proprio i suoi fratelli, spregiudicati nello sfruttare la miseria altrui a proprio vantaggio o nel servirsi della prepotenza e del ricatto verso i più umili. Maria l’acquaiola, ad esempio, continua a essere pagata con un salario ignobile, per un lavoro faticosissimo e prezioso. Uno dei primi provvedimenti su cui intende impegnarsi sarà portare l’acqua in tutti i paesi che ne sono privi. Una fontana nella piazza principale, dove Maria – e tutte le altre donne – possano attingerla senza doversi sobbarcare tre chilometri nella neve o sotto il sole di luglio. E sorveglierà che il salario non le venga diminuito, a costo di litigare di nuovo con i fratelli o di rimettercelo di tasca propria.
Tuttavia nemmeno dai poveri si aspetta sostegno e comprensione. Difficile vincere la loro diffidenza, le loro paure ataviche, la secolare abitudine a subire, obbedire e accontentarsi delle briciole che lasciano loro i signori, succubi come sono del fatalismo, della ancestrale persuasione che l’inferiorità sociale risponda a un preciso disegno divino e dunque sia immodificabile, della diffidenza verso ogni novità perché l’esperienza ha dimostrato loro che i cambiamenti si traducono alla fine, in un modo o nell’altro, sempre in benefici per i forti e nuovi danni per i deboli.
Solo su Leonardo potrà contare perché lui rappresenta da anni, ormai, fin da quando ha memoria, una lodevole eccezione a quella prassi consolidata. La sua umanità e altruismo gli valgono ormai da tempo l’appellativo di santo, per il quale Luigi, sempre scettico e indifferente ai temi religiosi, come da ragazzo, si diverte a prenderlo in giro e a provocarlo con frasi irriverenti e atteggiamenti anticlericali.
Ma Leonardo è immune all’ira e non perde mai la sua dolcezza. Alla fine, è Luigi che deve arrendersi e ammettere che Leonardo possiede, dei santi, anche la virtù della pazienza.
Inoltre, unico fra tutti, si ostina a mostrargli comprensione sebbene lui disattenda molte delle regole cui tutti si assoggettano, inclusa quella, prioritaria e ineludibile, pena la rispettabilità sociale, della messa domenicale, grande occasione per sfoggiare devozione, compunzione e abbigliamento della festa.
«Non sarai mica un socialista?» gli domandano alle volte i fratelli, pronunziando quella parola dopo una breve esitazione, quasi temessero di sporcarsi la bocca.
Luigi sorride e prosegue per la sua strada. Qualche volta sarebbe tentato di rispondere: sì, sono un socialista, per il puro gusto di provocare, di rinfacciare quella doppia morale pubblica e privata cui i fratelli si attengono: la messa alla domenica e i salari da fame a Maria e a quelli come lei.
Ma sarebbe una bugia.
Non è socialista perché, purtroppo, la politica non gli interessa e gliene dispiace come di un suo difetto, di una sua superficialità, e, in ogni caso, se mai dovesse interessargli, forse sarebbe più attratto dai temi e dalle posizioni della destra che da quelle dei socialisti. Lui crede in una società governata dagli aristoi, i migliori, quelli che hanno studiato e possiedono il sapere, i quali però devono mostrarsi tali non solo sul piano culturale ma anche morale. E comunque i fratelli gli rinfaccerebbero che non ha diritto di fare prediche e di sindacare, lui che ha uno stipendio sicuro a fine mese e non è soggetto agli alti e bassi della sorte.
Luigi continua ad abitare alla locanda, invece che nella sua casa, sebbene i lavori siano ormai finalmente conclusi. Una scelta molto discutibile, sostengono i fratelli, che attira su tutta la famiglia le critiche della gente, la quale si domanda le ragioni di quel comportamento inspiegabile, avventurandosi verso chissà quali malevoli illazioni. Possibile che non abbia ancora perso quel vizio di infischiarsi delle regole sociali? Eppure non è più un ragazzino.
Luigi ascolta in silenzio le prediche, non ribatte e non cerca scontri.
C’è una ragione per quella pacatezza, così poco consona al suo carattere.
Un segreto delicato, intimo, da custodire con gelosia in fondo al cuore, non solo per prudenza, non solo per proteggere gli altri prima ancora che se stesso, ma soprattutto perché lui stesso stenta a crederci, a capacitarsi che sia vero.
Come accadeva da ragazzo – e non accadeva più da tanto tempo, invece – le emozioni bruciano di nuovo il suo cuore, simili a lava infuocata.
Allora era la voglia di libertà, di indipendenza e di affermazione a incendiarlo, la fame di nuove e insolite esperienze.
Ora è il sentimento per lei.
Per quel volto così perfetto da sembrare una miniatura vivente, per quegli occhi che colpiscono diritto al cuore, che sembrano ...