Lezioni di tenebra
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Lezioni di tenebra

Enrico Pandiani, Libri Instar

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Lezioni di tenebra

Enrico Pandiani, Libri Instar

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È una gran brutta serata per il commissario Mordenti: si sente male al ristorante e poche ore dopo una donna con il volto coperto da un foulard di seta irrompe con violenza nella sua vita. Per il poliziotto e i suoi "italiens" è l'inizio di una caccia senza quartiere: l'assassina lascia dietro di sé una scia di cadaveri e firma le esecuzioni con le corde dello Shibari, una legatura erotica giapponese. Mentre un insano desiderio di vendetta cresce dentro di lui, Mordenti si butta all'inseguimento affiancato come sempre dai suoi sbirri anarchici e, per l'occasione, dal tenente Maélis Deslandes, affascinante poliziotta che cerca di tenere a freno la tenebra che attanaglia il commissario. Da Parigi a Torino, trascinati da un'indagine che si addentra nel mondo dell'arte, Mordenti e Deslandes si fanno strada tra collezionisti e falsari, determinati a non lasciarsi sfuggire la donna del mistero.

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Information

Publisher
BUR
Year
2019
ISBN
9788858695906

Quattro

Attraverso la grande finestra dell’ufficio del patron potevo vedere la Maison Pointue stagliarsi contro un cielo azzurro appena velato dalla leggera foschia mattutina. Al contrario di me, Parigi s’era alzata bella e frizzante come tutte le mattine.
Mi sentivo svuotato, come se le batterie mi si fossero scaricate all’improvviso. Quel poco di energia che ancora mi balenava dentro mi diceva a denti stretti che dovevo darmi una mossa.
L’elegante ufficio del capo era sovraffollato di umanità stanca. Occhiaie e sbadigli serpeggiavano a malapena trattenuti, mentre Le Normand ci stava dicendo la sola cosa che volevo sentirgli dire. Che l’inchiesta sarebbe rimasta in famiglia.
«Il commissario capo Steinmetz» ha detto, «è disponibile a lasciare a noi la direzione delle indagini. Per ora il diciottesimo manterrà un ruolo di supporto.»
Alain e io ci siamo scambiati un’occhiata. Nessun segno, nessun sorriso.
Anche Steinmetz mi ha pennellato con uno sguardo serio, senza calore e senza astio. Stava appoggiato al davanzale della finestra avvolto in uno spolverino dal colore indefinibile che una volta steso sarebbe potuto servire come tenda per un circo. Loïc Steinmetz era un uomo un po’ grasso, un po’ basso, un po’ pingue, un po’ grigio, un po’ assente, un po’ ordinario. Non c’era nulla di completo in lui, come se per fabbricarlo avessero messo insieme vari pezzi di ricambio.
I suoi corti capelli bianchicci erano sempre unti, la rada barba sul mento rotondo aveva perlomeno una decina di giorni e pareva incolore. Gli abiti spiegazzati e male assortiti erano gli stessi con i quali l’avevo sempre visto.
Accanto a lui sedeva disinvolta questa bambola che, se non si fosse mossa di tanto in tanto, avrebbe potuto essere un manichino fregato da una vetrina di Christian Lacroix. Bella da far spavento, elegantissima e completamente fuori posto.
Il capo ha soffiato una nuvola di fumo verso il soffitto. Il bocchino dorato della Sobranie nera brillava tra le sue dita grassocce e ben curate. Il volto era segnato da pieghe profonde, come segni malamente scolpiti in un blocco di pietra. Lo sguardo con cui ci squadrava era granitico.
«Come condizione» ha brontolato, «ho accettato che il tenente Maëlis Deslandes in forza al diciottesimo partecipi attivamente alle indagini.»
La mannequin ha cambiato posizione con un fruscio. Le teste dei miei si sono voltate per darle un’occhiata. Lei è rimasta impassibile, loro pure, solamente lo sguardo di Leila Santoni ha incrociato il suo per qualche secondo in più. Prima di tornare a guardare il patron le ha fatto un sorriso.
Ho represso uno sbadiglio. Facevo fatica a non pensare alla serata precedente. Dopo che Alain, Coccio e quelli della scientifica se n’erano andati, avevo vagato per casa in un ridicolo quanto doloroso tentativo di rimettere a posto le nostre cose. Mi ero lentamente costruito la mia notte da incubo che aveva avuto il suo culmine nella telefonata fatta ai genitori di Martine.
Era stata quella telefonata a rendere tutto reale e definitivo. Mentre rimettevo a posto la cornetta, Martine era morta davvero. In quel preciso istante avevo realizzato che non l’avrei rivista mai più.
«Immagino che tu sia d’accordo» ha sbottato la voce seccata di Le Normand. Gli occhi di tutti erano puntati su di me.
«Come?» ho balbettato. «Scusami capo, ero sovrappensiero.»
Ha spento la sigaretta premendola in un posacenere d’argento con la «N» di Napoleone sul fondo. Poi mi ha studiato attentamente.
«Stavo parlando di te» ha detto con tono paziente, quello per i bambini difficili. «Stavo dicendo che la prassi m’imporrebbe di levarti d’ufficio l’inchiesta per mandarti qualche settimana in vacanza a Saint-Tropez. Invece faremo così: il comando della squadra passa momentaneamente a Servandoni; se non ti metti a fare coglionate e seguirai alla lettera le sue indicazioni, anche tu sarai della partita.» Si è messo tra le labbra una nuova sigaretta e l’ha accesa. «Sempre che il commissario capo Steinmetz non abbia nulla da ridire» ha aggiunto.
Anche Alain ha messo una Caporal nel becco e dopo aver strisciato un fiammifero sul bordo della sedia ha dato fuoco alle polveri. Le Normand lo ha fulminato con lo sguardo.
Loïc Steinmetz ha fatto spallucce. «Per mia esperienza» ha detto, «quando una persona è troppo coinvolta, alla lunga rischia di nuocere all’inchiesta.»
La sua voce aveva il suono di passi sulla neve gelata. Scricchiolava e gemeva.
«Del resto» ha concluso, «mi rendo conto di quanto il commissario abbia voglia di acchiappare quella donna. Quindi non ho nulla in contrario, anche perché sono convinto che il tenente Deslandes saprà tenerlo fuori dai guai.»
Così dicendo ha posato una mano sulla spalla della sua elegantissima flic. Questi, zitti zitti, stavano cercando di mettere quella fighetta per bene a farmi da badante.
«A dire la verità» ho borbottato, «ho già la mia squadra. Non mi sembra proprio il caso…»
«Un’altra parola» ha ringhiato il patron, «e in men che non si dica ti ritrovi col culo sul treno per Saint-Tropez.»
Servandoni ha sorriso rivelando un paio di fossette sulle guance e quello spazio fra gli incisivi che fa sciogliere come burro ogni femmina che gli si trova davanti. Poi ha soffiato una nuvola di fumo scuotendo il capo con aria divertita. La mannequin non ha proferito verbo né cambiato posizione. Il tizio alto e secco che la sera prima mi aveva fatto il terzo grado, Nassim Roland o Rolland o quel che era, si è staccato dal muro ed è andato ad appoggiarsi al davanzale accanto al suo capo. Si è chinato verso di lui levandosi di bocca lo stecchino di plastica trasparente che stava masticando e gli ha sussurrato qualcosa all’orecchio. Loïc ha sogghignato. Io sono rimasto in silenzio, conscio che ogni parola mi sarebbe ripiombata sulla testa con il peso di un mattone.
Le Normand ha chiesto a Saunière di riferire.
«Nessuna impronta né alcun altro elemento che possa aiutarci a identificare quella donna» ha esordito François ravviandosi i radi capelli neri. La luce cadeva impietosa sul naso lungo e sottile rendendolo ancora più evidente, la voce era piatta e monocorde. «Delarche sostiene che mademoiselle Delvaux sia morta quasi istantaneamente per la pallottola nel cuore. Il colpo alla testa si direbbe più una firma che un colpo di grazia.»
Ha voltato un paio di fogli.
«La sola cosa di qualche interesse» ha detto ancora, «sono alcuni capelli rossi che provengono sicuramente da una parrucca. Sono capelli naturali di tipo europeo, roba di lusso molto costosa, il meglio che si possa avere. Se fossero capelli orientali decolorati oppure sintetici, allora non avrebbero il valore che…»
«Taglia con le puttanate» ha sospirato Le Normand, «se ce ne sono, attieniti alle cose salienti.»
Saunière ha fatto il broncio. «Da quello che ci ha raccontato Mordenti» ha detto guardando fisso i suoi appunti, «siamo sicuri che siano stati persi durante la collutazione. Evidentemente l’assassina indossava una parrucca. Non sarà facile ma cercheremo di risalire al produttore.»
«Da quel pezzo di corda è venuto fuori qualcosa?» ha domandato Alain.
«Marechal ha avuto modo di esaminarla ed è sicuro che i nodi siano stati fatti da una persona che pratica abitualmente lo Shibari.»
«Che cos’è lo Shibari?» ha sbuffato Le Normand.
«È un tipo di legatura erotica che viene dal Giappone» ha detto Alain, «un’arte o una pratica sessuale, a seconda se dopo averti legato ti fotografano o ti inchiappettano.»
«E che diavolo c’entra con questa inchiesta?»
«La tipa che mi ha legato sembra conoscere quel genere di pratica piuttosto bene» ho spiegato al patron. «Lo hanno dedotto dal tipo di nodi.»
«Marechal sta facendo una ricerca sui club privé di Parigi» ha detto Saunière. «Se quella donna ama questo tipo di passatempi è possibile che abbia frequentato qualche locale. Dovrebbe farci avere una lista al più presto. Stiamo ancora setacciando l’ufficio ma per ora non abbiamo trovato nulla di interessante. Si direbbe che lo abbiano frugato cercando di fare in modo che nessuno se ne accorgesse.»
Schiarimenti di gola e colpetti di tosse. Qualcuno ha cambiato posizione, poi lo sguardo del capo si è posato come un macigno su De Clock. Prima di relazionarci, lui si è lisciato per bene i baffoni a manubrio.
«Della pistola vi ho già detto» ha esordito. «Ho fatto un controllo incrociato sul proiettile e non risulta che in Francia quella pistola abbia già sparato o ucciso qualcun altro. Tramite l’IBIS i miei stanno estendendo le ricerche all’Unione europea ma ci vorrà un po’ di tempo. Nel caso dovessi avere un riscontro ve lo farò sapere.»
Il senso di depressione che avevo dentro si stava ingigantendo a dismisura. In mano non avevo nulla, non una traccia o un indizio su cui lavorare. Il mio sguardo ha incrociato quello di Deslandes. Certo una balia del genere l’avrebbe voluta chiunque. Capelli neri lisci sulle spalle, occhi grigio-verdi, sopracciglia sottili, carnagione scura e una bocca firmata l’Oréal. Bellina era bellina, il volto simpatico e sveglio e quella curvatura leggera del naso che le dava un’aria così meravigliosamente snob.
Ci siamo guardati senza sorrisi, valutandoci e soppesandoci a vicenda. Aveva indosso un paio di calzoni neri molto ampi di seta cruda e una maglietta scollata a maniche lunghe di morbido cachemire grigio. Le colava sul busto come un liquido denso, evidenziando il seno dritto e generoso. Ai piedi nudi portava un paio di sandali bianchi dal tacco basso. Avevo l’impressione che per comprare tutta quella roba non sarebbero bastati un paio dei miei stipendi.
Ha distolto lo sguardo perché Leila ha cominciato a parlare.
«Ieri sera» ha detto, «abbiamo messo i sigilli all’ufficio di Martine Delvaux. Entrambe le serrature, quella dell’ingresso e quella dell’ufficio, sono state forzate con una certa perizia. Sono stati i segni che abbiamo trovato a farci capire che qualcuno era stato lì. Forse l’assassina, prima di recarsi a casa loro, ma non è escluso che lo abbia fatto qualcun altro. A ogni modo non abbiamo idea di cosa stessero cercando.»
Mi ha guardato fugacemente. Come sempre portava i capelli neri pettinati in una corta coda di cavallo. Era carina e riposata. Leila è sempre carina e riposata, qualsiasi cosa succeda. Indossava un leggero giubbotto di pelle nera sopra una...

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