Sinuhe l'egiziano
eBook - ePub

Sinuhe l'egiziano

Mika Waltari

Share book
  1. 624 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Sinuhe l'egiziano

Mika Waltari

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Raccolto in fasce sulla riva del Nilo, Sinuhe viene adottato da Kipa e dal marito Semnut, un medico che cura i cittadini più poveri di Tebe, la grande capitale dei due regni. Allevato come un figlio dalla coppia, dopo un'infanzia spensierata il giovane Sinuhe studia alla Casa della Vita, diventando il chirurgo personale del Faraone. Ma il progetto di una vita felice e colma di ricchezze e onori si infrange contro la passione del giovane medico per una donna, che lo condurrà alla rovina e lo obbligherà a fuggire da Tebe. Inizia da qui una lunga peregrinazione per tutto il mondo conosciuto: dalla Siria a Babilonia, e poi a Creta e di nuovo in Egitto.Sospinto da un destino incontrollabile, Sinuhe si troverà coinvolto nelle traversie che agitano il suo paese e negli intrighi di chi trama per conquistare il trono del Faraone. Una lotta in cui uomini e dèi si scontrano senza esclusione di colpi, e che costerà a Sinuhe quanto di più caro ha nella vita.Sinuhe l'Egiziano è un classico della narrativa storica che ricostruisce minuziosamente la vita nell'Egitto del Quattordicesimo secolo a.C. e racconta il dramma di un individuo che tenta di opporsi alla crudeltà dell'uomo e all'ingiustizia della storia.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Sinuhe l'egiziano an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Sinuhe l'egiziano by Mika Waltari in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Histoire & Histoire de l'Égypte antique. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Publisher
BUR
Year
2018
ISBN
9788858695098
LIBRO XI

MERIT

1.

Tutti hanno visto l’acqua scorrere da una clessidra. Così sgocciola via anche la vita umana, sebbene questa non sia misurata dall’acqua ma dagli eventi. Questa è una verità profonda, che si afferra soltanto nella vecchiaia quando il nostro tempo scorre verso il nulla, monotonamente. Un giorno solo, in un periodo pieno di avvenimenti, lascia su di noi la sua impronta, e può sembrare più lungo di un anno e oltre di lavoro uniforme che lascia immutato il nostro cuore. Io appresi questa verità nella città di Akhetaton, dove il tempo fluiva per me liscio come la corrente del Nilo e dove la mia vita non fu che un breve sogno, una affascinante, evanescente canzone. I dieci anni da me trascorsi all’ombra del Faraone Akhenaton nel palazzo aureo della città nuova furono più brevi di uno qualsiasi degli anni della mia giovinezza, di quegli anni di viaggi e di mutamenti continui.
In Akhetaton io non aggiunsi nulla né al mio sapere né alla mia scienza; ma piuttosto attinsi alla saggezza che avevo raccolta in tanti paesi diversi, come l’ape sopravvive all’inverno nutrendosi del miele che ha riposto nell’arnia. Tuttavia, allo stesso modo che l’acqua muta la forma di una pietra, così può darsi che il tempo avesse cambiato il mio cuore; per quanto di ciò io non mi accorgessi. Mi sentivo meno solo di un tempo. Forse ero divenuto più tranquillo, ero meno gonfio e tronfio di me stesso e del mio talento, ancorché non possa accampare nessun merito per ciò, ma soltanto perché Kaptah non viveva più con me, ma si trovava lontano, a Tebe, dove amministrava i miei beni e la Coda del Coccodrillo.
La città di Akhetaton si era rinchiusa in se stessa, entro i sogni e le visioni del Faraone, e non si curava del mondo esterno. Tutto ciò che accadeva oltre le pietre confinarie di Aton sembrava remoto e irreale come luce lunare sull’acqua. La sola realtà era quella che avveniva entro le mura della città di Akhetaton. Tuttavia nel ripensare a tutto questo capisco ora che forse era vero l’opposto: Akhetaton e le sue imprese non erano che ombra e illusione, mentre la realtà stava nella fame, nella sofferenza, nella morte che strisciavano di là dai suoi confini. Poiché tutte le cose spiacevoli erano tenute nascoste ad Akhenaton, e quando si presentava un problema qualsiasi in cui era necessaria una sua decisione, gli veniva posto dinanzi sempre velato e raddolcito e ingentilito per timore che la malattia che gli travagliava il cervello si ravvivasse in lui.
In quel periodo il sacerdote Eie governava Tebe come reggitore del lituo alla mano destra del Re. Il Faraone aveva abbandonato dietro di sé tutti quei doveri amministrativi da lui ritenuti tediosi e sgradevoli, riponendo la più completa fiducia in Eie, che era anche suo suocero, e che spadroneggiava con ambizione sfrenata. Eie era il vero governante dei Due Regni, poiché tutto ciò che si riferiva all’esistenza della gente comune, fossero agricoltori o cittadini, era affidato alle sue mani. Ora che Ammon era stato rovesciato, nessun’altra potenza poteva più rivaleggiare con la potenza del Faraone, cioè con la potenza di Eie, ed Eie sperava che i disordini si sarebbero presto placati. Non vi era nulla che gli procurasse più piacere della città di Akhetaton, che teneva il Faraone lontano da Tebe. Fece di tutto per raccogliere fondi per la sua costruzione e il suo abbellimento, e non si stancava di mandare incessantemente doni generosissimi affinché Akhetaton divenisse ogni giorno più gradita al Faraone. La pace avrebbe potuto essere ristabilita, e tutto sarebbe ritornato come prima, all’infuori che per Ammon, se non per un unico fatto, che cioè il Faraone rappresentava un inciampo sul sentiero di Eie.
Il governo di Eie era condiviso da Horemheb a Menfi: toccava a lui rispondere della sicurezza e della disciplina di tutto il paese. Suo era in definitiva il potere che si celava dietro le verghe dei gabellieri e dietro i martelli che scalpellavano il nome di Ammon da tutte le immagini e da tutte le iscrizioni, e che per questo scopo penetravano sin dentro le tombe stesse. Il Faraone Akhenaton concesse che persino la tomba del proprio padre venisse aperta affinché dalla sua iscrizione fosse cancellato il nome di Ammon. Ed Eie non si oppose a questo, purché il Faraone si accontentasse di simili innocenti passatempi. Preferiva che i pensieri del Faraone fossero rivolti esclusivamente ad argomenti religiosi e tali da non influenzare la vita quotidiana della popolazione.
Trascorso un certo tempo dai giorni di terrore che si erano abbattuti su Tebe, l’Egitto stette calmo come un lago d’estate. Eie demandò l’esazione delle imposte ai suoi comandanti in capo, risparmiandosi così una quantità di noie. Questi appaltarono i diritti d’imposta ai gabellieri delle città e dei villaggi, arricchendosi considerevolmente. Se i poveri lamentavano la loro sorte e si cospargevano il capo di cenere alla sola vista degli esattori, non facevano che quello che avevano sempre fatto in ogni età.
In Akhetaton la nascita di una quarta figlia fu una disgrazia maggiore che non la caduta di Smirne. La Regina Nefertiti incominciò a sospettare di essere vittima di qualche maleficio, e si recò a Tebe a implorare il soccorso degli stregoni negri di sua madre. Erano infatti inspiegabili le nascite successive di quattro bambine, senza un solo maschio. Ma era nondimeno il suo destino quello di dare al Faraone Akhenaton ben sei figlie e nessun maschio, e il destino della Regina era legato a quello del Re.
A misura che il tempo passava, le notizie di Siria divenivano sempre più preoccupanti. Ogni qualvolta arrivava una nave messaggera, andavo negli archivi reali a consultare le più recenti tavolette con le loro reiterate invocazioni di aiuto. Mentre le leggevo mi pareva di udire vicino alle mie orecchie il sibilo delle frecce e di fiutare il puzzo d’incendio delle case bruciate. In mezzo alle frasi rispettose mi pareva di ascoltare le urla e le strida dei bambini mutilati. Gli uomini di Amurru erano brutali, ed erano stati addestrati alle arti della guerra da ufficiali hittiti. Non una sola guarnigione siriaca era in grado di opporsi ad essi. Leggevo i messaggi del Re di Biblo e del Principe di Gerusalemme. Supplicavano in nome della loro vecchiaia e della loro lealtà; invocavano la memoria del defunto Faraone e imploravano aiuto rammentando la loro amicizia verso Akhenaton, finché il Faraone, tediato delle loro suppliche, finì col mandare le loro lettere agli archivi senza neppure leggerle.
Dopo la caduta di Gerusalemme, anche l’ultima delle città fedeli capitolò, si arrese anche Joppa, e strinse alleanza con il Re Aziru. Allora Horemheb venne da Menfi a chiedere udienza al Faraone e a domandargli di raccogliere un esercito con cui organizzare la resistenza in Siria. Fino a quel momento si era limitato a guerreggiare una guerra segreta a base di lettere e di danaro, al fine di salvare almeno un posto avanzato in quella contrada.
Disse al Faraone Akhenaton: «Permettimi di radunare almeno cento volte cento lancieri e arcieri, e cento cocchi, e io ti riconquisterò la Siria. Ora che anche Joppa ha ceduto, il potere egiziano in Siria è perduto».
Quando il Faraone Akhenaton seppe che Gerusalemme era stata distrutta ne fu profondamente addolorato, poiché già aveva intrapreso passi per fare di questa città una città dell’Aton, per pacificare la Siria. Disse: «Quel vecchio che sta a Gerusalemme, in questo momento non me ne rammento il nome, era un amico di mio padre. Lo vidi quand’ero ragazzo nella casa d’oro di Tebe: aveva una barba lunga. Per ricompensarlo gli darò una pensione sui fondi egiziani, nonostante i redditi siano notevolmente diminuiti da quando il commercio con la Siria è cessato».
«Non credo sia in condizioni di godersi una pensione», replicò secco Horemheb. «Con il suo cranio hanno foggiato una ciotola di fattura squisita tutta ornata d’oro, su comando di Aziru, il quale l’ha mandata in dono al Re Shubbiluliuma di Hattushash, a meno che i miei informatori non si siano ingannati».
Il volto del Faraone si fece cinereo, i suoi occhi si iniettarono di sangue, ma dominando la sua disperazione rispose con voce tranquilla: «Mi sembra impossibile dover credere una cosa simile da parte del Re Aziru, che io consideravo mio amico e che ha ricevuto con gioia dalle mie mani la croce della vita; ma forse mi sono ingannato sul suo conto e il suo cuore è più nero di quanto immaginavo. Tu però, Horemheb, desideri da me una cosa impossibile chiedendomi lance e cocchi, poiché già il popolo si lamenta delle tasse e il raccolto è stato meno abbondante di quanto speravo».
«Per pietà del tuo Aton, concedimi almeno dieci cocchi e dieci volte dieci lancieri, affinché io possa portarli in Siria e salvare il salvabile».
Ma il Faraone Akhenaton rispose: «Io non posso muovere guerra in nome di Aton, poiché lo spargimento di sangue è per lui abominazione. Preferirei piuttosto abbandonare la Siria. Che la Siria sia libera e costituisca un proprio stato federato, e commerciamo con essa come per il futuro, poiché la Siria non può fare a meno del grano d’Egitto».
«Credi che si accontenteranno di questo, Akhenaton?», esclamò Horemheb fulminato. «Ogni Egiziano ucciso, ogni muro scalato, ogni città catturata, aumenta la fiducia in loro stessi e li incalza a pretese sempre più esigenti e oltraggiose. Dopo la Siria verranno le miniere di rame del Sinai, senza le quali noi non saremo più in grado di foggiare lance e punte di freccia».
«Ti ho già detto che lance di legno bastano per le guardie», replicò il Faraone irritato. «Perché mi tormenti senza posa con discorsi di lance e di frecce sino a che le tue parole mi girano in tondo per la testa, mentre io cerco di comporre un inno in onore di Aton?».
«Dopo il Sinai verrà la volta del Basso Egitto», proseguì con amarezza Horemheb. «Come hai detto tu stesso, la Siria non può fare a meno del grano d’Egitto, per quanto mi sia stato detto che ora ne sta ricevendo da Babilonia. Ma se non temi la Siria, temi almeno gli Hittiti, la cui sete di potenza non conosce limiti».
Il Faraone Akhenaton rise in tono di commiserazione come avrebbe riso ogni Egiziano sensato nell’udire un simile discorso, e disse: «Da memoria d’uomo non un solo nemico ha posto il piede entro i nostri confini, e nessuno oserebbe questo. L’Egitto è il più ricco e il più potente di tutti i regni della terra. Io ho mandato la croce della vita anche al Re Shubbiluliuma, e anche oro, a sua richiesta, affinché egli possa erigere nel suo tempio un’immagine di me in grandezza naturale. Non turberà la pace dell’Egitto dal momento che può ricevere oro da parte mia ogni qualvolta me ne faccia richiesta».
Le vene sulla fronte di Horemheb si inturgidirono, ma poiché aveva ormai imparato a dominare i suoi sentimenti, non aggiunse altro. Io gli dissi che come medico non potevo permettergli di stancare più a lungo il Faraone, al che si girò e mi seguì all’aperto.
Quando fummo a casa mia si batté violentemente la coscia con la sua frusta d’oro e bestemmiò: «Per Set e tutti i dèmoni! Una manciata di sterco sulla strada serve più che la sua croce della vita. Ma certo è che di tutte le pazzie questa è la peggiore: quando mi guarda negli occhi, quando mi pone la sua mano sulla spalla, quando mi chiama amico, io credo nella sua verità, benché sappia fin troppo bene che lui ha torto e io ragione! Questa strana forza che è in lui si espande continuamente in questa città, che è sgargiante e appariscente come una prostituta e puzza di meretricio. Se fosse possibile portargli davanti ogni essere umano che esiste al mondo, se fosse possibile farlo parlare a ciascun uomo, se fosse possibile fargli toccare con le sue dita tutti gli uomini della terra, e riversare in essi la sua forza, credo che egli riuscirebbe a cambiare la faccia del mondo... Ma questo non è possibile... Peuh! Se me ne restassi a lungo in questo posto, incomincerebbero a crescermi le mammelle come ai cortigiani... e finirei col dare il latte!».

2.

Quando Horemheb fu tornato a Menfi, le sue parole restarono in me, ossessionandomi, e io mi biasimavo di essere per lui un cattivo amico e per il Faraone un cattivo consigliere. Tuttavia il mio giaciglio era soffice sotto il baldacchino, i miei cuochi mi ammannivano uccelletti cucinati nel miele, gli arrosti di antilope non mancavano, e l’acqua scorreva veloce nella mia clessidra.
La seconda figlia del Faraone, Meketaton, fu colta da una malattia devastante; le sue piccole guance ardevano di febbre, e le ossa del suo collo incominciarono a risaltare sotto la pelle, quasi volessero bucarla. Io cercai di rinvigorirla con tonici, dandole da bere una soluzione d’oro, e maledicevo il mio destino, che non appena gli attacchi del Faraone fossero cessati, sua figlia dovesse ammalarsi in modo che io non potessi avere pace né di giorno né di notte. Anche il Faraone divenne inquieto, poiché amava le sue figliuole teneramente. Le due maggiori, Meritaton e Meketaton, lo accompagnavano al balcone nei giorni di udienza e lanciavano catene d’oro e altri doni a coloro che il Faraone desiderava onorare.
Come sempre succede tra gli uomini, il Faraone si affezionò più a questa sua figlioletta ammalata che non alle altre tre. Le regalava palline d’avorio e d’argento, e le diede un cagnolino che la seguiva dappertutto e dormiva ai piedi del suo letto. Si era smagrito ed era divenuto insonne, tanta era l’angoscia che lo tormentava, e si alzava più volte durante la notte per ascoltare il respiro della bambina, e ogni suo colpo di tosse gli lacerava il cuore.
Allo stesso modo anche questa ragazzina aveva più significato per me che non le mie ricchezze tebane, o Kaptah, o l’anno della carestia, o tutti coloro che attualmente erano affamati o morenti in Siria per colpa di Aton. Prodigai su di lei tutte le mie cure, tutte le mie doti mediche, trascurando gli altri miei pazienti di riguardo i quali soffrivano unicamente di ingordigia e di noia, e soprattutto di mali di capo poiché questo era il disturbo del Faraone. Curando i loro dolori di testa mi ero guadagnato moltissimo oro, ma io ero sazio d’oro e di adulazioni.
A volte ero così brusco con i miei pazienti che loro dicevano: «La sua autorità di medico della casa reale gli è andata alla testa! Siccome si illude che il Faraone lo ascolta, ignora quello che gli altri possono dirgli».
Nondimeno quando ripensavo a Tebe, a Kaptah, alla Coda del Coccodrillo, mi sentivo invadere dalla malinconia, e il mio cuore era affamato di una fame che non riuscivo a placare. Stavo diventando calvo sotto la parrucca, e vi erano giorni in cui, trascurando i miei doveri, sognavo ad occhi aperti e ripercorrevo ancora una volta le strade di Babilonia con nelle narici il profumo del grano messo a essiccare sulle aie di terra battuta. Mi ero anche accorto che ingrassavo e che mi era venuto il sonno pesante e che avevo sempre bisogno di una portantina perché anche una breve passeggiata mi dava l’affanno, mentre un tempo riuscivo a camminare a lungo senza mai stancarmi.
Ma quando l’autunno ritornò e il fiume si gonfiò e le rondini emersero dal limo del fiume per sfrecciare inquiete nell’aria sul mio capo, la salute della figlia del Faraone rifiorì, riprese a sorridere e i dolori che le travagliavano il petto l’abbandonarono. Il mio cuore accompagnava le rondini nei loro voli, e col permesso del Faraone salii a bordo di una nave diretta a Tebe. Egli mi pregò di salutare per suo conto tutti i coloni stabilitisi sulle sponde del fiume tra i quali aveva spartito la terra del falso dio, e mandò il suo saluto anche alle scuole da lui fondate, sperando di averne buone notizie al mio ritorno.
Approdai a molti villaggi e radunai gli anziani a colloquio con me. Il viaggio fu più confortevole di quanto avessi sperato, poiché sull’albero maestro garriva il pennone faraonico, la mia cuccetta era morbida, e non vi erano mosche sul fiume. Il mio cuoco mi aveva seguito nell’imbarcazione cuciniera, e a lui venivano portati i doni dei diversi villaggi, cosicché non mancai mai di cibo fresco. Ma quando i coloni vennero a visitarmi, mi accorsi che erano ridotti a pelle e ossa, veri scheletri, che le loro mogli si guardavano attorno con occhi atterriti, timorose del minimo rumore, e che i loro bambini erano malaticci e rachitici. Questa gente mi mostrò le loro madie, che non erano nemmeno per metà piene, mentre il grano in esse contenuto era tutto punteggiato di rosso come se fosse stato esposto a una pioggia di sangue.
Costoro mi dissero: «Dapprima credevamo che i nostri insuccessi fossero risultato d’ignoranza, poiché non avevamo mai prima di allora coltivato il suolo in vita nostra. Ma ora sappiamo che la terra che il Faraone ha diviso fra di noi è maledetta, e chi la coltiva è pure maledetto. La notte, piedi invisibili calpestano le nostre messi; mani invisibili spezzano i nostri alberi da frutta, il nostro bestiame muore inspiegabilmente, i nostri canali d’irrigazione si ostruiscono, e nei nostri pozzi troviamo continuamente delle carogne, cosicché ci viene a mancare persino l’acqua potabile. Molti hanno abbandonato il loro appezzamento di terra e se ne sono ritornati nelle loro città più poveri di come le avevano lasciate, rinnegando il nome del Faraone e il suo dio. Noi però abbiamo perseverato, confidando nella croce magica e nelle lettere che il Faraone ci ha inviato. Le appendiamo su pali nei nostri campi a protezione contro le cavallette; ma la magia di Ammon è più potente della magia del Faraone. La nostra fede sta vacillando, e noi abbiamo intenzione di lasciare questa terra malsana prima di morire tutti quanti come già sono morti i figli e le mogli di molti di noi».
Andai a visitare anche le loro scuole, e quando i maestri videro sulle mie vesti la croce di Aton, si affrettarono a nascondere le loro verghe e si fecero il segno dell’Aton, mentre i bambini rimasero seduti a gambe incrociate sulle aie guardandomi con tanta f...

Table of contents