La teoria del tutto
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Stephen W. Hawking

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La teoria del tutto

Stephen W. Hawking

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Come ha avuto origine il cosmo? Qual è il destino che ci attende? Fino agli anni Venti del secolo scorso queste domande erano competenza della religione o della filosofia, mentre oggi è possibile affrontarle da un punto di vista scientifico.Con il suo inconfondibile stile chiaro e comunicativo, Stephen Hawking ci guida in un viaggio che - a partire dalla cosmologia di Aristotele attraverso le teorie di Copernico, di Newton e di Einstein - giunge fino alle ultime frontiere della fisica contemporanea per spiegarci i grandi misteri dell'universo: dal big bang alla formazione delle galassie, dalla morte delle stelle ai buchi neri, dai limiti della teoria della relatività generale alla proposta della condizione di assenza di confini.Coniugando come sempre profondità e chiarezza, nelle sette lezioni di queste pagine Hawking illustra una panoramica delle concezioni sostenute in passato per scoprire come siamo giunti alla nostra immagine attuale, in altre parole la storia della storia dell'universo, giungendo a prefigurare l'affascinante compito che attende la scienza nei prossimi anni: elaborare una teoria definitiva sulla natura dell'universo, una teo-ria del tutto che ci permetta di indagare sul fine ultimo della creazione. "Se riusciremo a raggiungerla, potremo realmente comprendere l'universo e la posizione che in esso occupiamo."

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Information

Publisher
BUR
Year
2018
ISBN
9788858693421

Quinta lezione:

L’origine e il destino dell’universo

Nel corso degli anni Settanta mi ero occupato principalmente dei buchi neri. Tuttavia, il mio interesse per le questioni inerenti l’origine dell’universo venne a risvegliarsi nel 1981, quando partecipai a un convegno sulla cosmologia tenutosi in Vaticano. La Chiesa cattolica aveva commesso un grave errore con Galileo, quando aveva cercato di dettare legge su una questione scientifica dichiarando che era il Sole a muoversi intorno alla Terra; ora, a distanza di secoli, aveva invece deciso che sarebbe stato meglio invitare un buon numero di esperti che la informassero circa i problemi della cosmologia.
Al termine del convegno, i partecipanti vennero ricevuti in udienza dal papa. Egli ci disse che era giusto studiare l’evoluzione dell’universo dopo il big bang, ma che non avremmo dovuto cercare di penetrare i segreti del big bang stesso, poiché quello era il momento della creazione e, in quanto tale, era l’opera stessa di Dio.
Fui quindi contento che egli non sapesse quale era stato il tema dell’intervento che avevo appena tenuto alla conferenza. Non avevo un particolare desiderio di condividere la sorte di Galileo, per il quale nutro una profonda simpatia, dovuta in parte al fatto che sono nato esattamente tre secoli dopo la sua morte.

Il modello del big bang caldo

Per spiegare il contenuto di questo mio intervento, dovrò prima descrivere la storia dell’universo generalmente accettata, secondo quello che viene indicato come il «modello del big bang caldo» e che assume che l’universo sia descritto, fin dal momento del big bang, da un modello di Fridman. In questi modelli, man mano che l’universo si espande, la temperatura della sua radiazione continua a diminuire. Poiché la temperatura è semplicemente un indice dell’energia media delle particelle, questo raffreddarsi dell’universo avrà un grande effetto sulla materia in esso contenuta. A temperature estremamente elevate, le particelle si muoveranno così velocemente da essere in grado di sfuggire a qualunque forza, nucleare o elettromagnetica, che le attrarrebbe le une verso le altre. Al diminuire della temperatura, però, ci si aspetterebbe che le particelle che si attraggono a vicenda inizino a raggrupparsi assieme.
Nell’istante del big bang, le dimensioni dell’universo erano pari a zero e, quindi, la sua temperatura doveva essere infinitamente elevata. Ma, all’espandersi dell’universo, la temperatura della radiazione era destinata a diminuire. Un secondo dopo il big bang, essa era scesa a circa dieci miliardi di gradi; si tratta di una temperatura che è più o meno un migliaio di volte superiore a quella che si ritrova al centro del Sole, ma valori come questi sono già stati raggiunti in esplosioni di bombe H. In questo momento, nell’universo c’erano soprattutto fotoni, elettroni e neutrini (con le loro rispettive antiparticelle), assieme a un numero ridotto di protoni e neutroni.
Mentre l’universo continuava a espandersi e la sua temperatura a diminuire, il ritmo al quale gli elettroni e le coppie di elettroni venivano prodotti durante le collisioni scese infine al di sotto del ritmo con cui essi si distruggevano per annichilazione. In tal modo, la maggior parte degli elettroni e degli antielettroni finì per annichilirsi a vicenda, producendo una quantità più elevata di fotoni e lasciando solo una quantità relativamente piccola di elettroni residui.
Circa cento secondi dopo il big bang, la temperatura era scesa a un miliardo di gradi, un valore che si ritrova all’interno delle stelle più calde. A questa temperatura, i protoni e i neutroni, non avendo più un’energia sufficiente a sottrarsi all’attrazione della forza nucleare forte, iniziarono a unirsi gli uni agli altri per formare i nuclei degli atomi di deuterio (altresì noto come idrogeno pesante), che contengono un protone e un neutrone. I nuclei di deuterio si combinarono quindi con altri protoni e neutroni, dando origine ai nuclei di elio, che contengono due protoni e due neutroni. Si formarono poi anche piccole quantità di un paio di elementi più pesanti, il litio e il berillio.
È possibile calcolare che, nel modello del big bang caldo, circa un quarto dei protoni e dei neutroni avrebbero dovuto trasformarsi in nuclei di elio, insieme a una piccola quantità di idrogeno pesante e altri elementi. I restanti neutroni sarebbero dovuti decadere in protoni, che costituiscono i nuclei degli atomi del normale idrogeno. Queste predizioni scientifiche si accordano molto bene con i dati delle osservazioni empiriche.
Il modello del big bang caldo predice inoltre che dovrebbe essere tuttora possibile rilevare la radiazione emessa in questi primi stadi caldi della vita dell’universo; a causa dell’espansione, però, la sua temperatura dovrebbe essersi ridotta a pochi gradi al di sopra dello zero assoluto. Si spiega così la radiazione a microonde di fondo scoperta da Penzias e Wilson nel 1965. Siamo quindi abbastanza fiduciosi di essere giunti a un’immagine corretta dello sviluppo dell’universo, almeno per quanto riguarda ciò che è accaduto a partire da circa un secondo dopo il big bang. A sole poche ore dal big bang, la produzione di elio e di altri elementi venne ad arrestarsi; da quel momento in poi, per qualche milione di anni, l’universo continuò semplicemente a espandersi, senza che vi accadesse nulla di molto importante. Infine, quando ormai la temperatura era scesa a poche migliaia di gradi, gli elettroni e i nuclei, non avendo più energia sufficiente a vincere la forza elettromagnetica che attraeva gli uni verso gli altri, iniziarono a unirsi per formare gli atomi.
Nel suo complesso, l’universo continuò a espandersi e a raffreddarsi. Tuttavia, in quelle regioni la cui densità era leggermente superiore alla media, l’espansione era rallentata dalla maggiore attrazione gravitazionale; in alcune zone, poi, questa forza di attrazione riuscì infine ad arrestare l’espansione, facendo sì che la materia ritornasse a collassare su se stessa. Nel corso di questo collasso, l’attrazione di materia esterna a queste regioni potrebbe aver dato avvio a un lento moto rotatorio; e, man mano che la regione soggetta al collasso si contraeva diventando più piccola, la sua velocità di rotazione si faceva sempre più accentuata – un po’ come nel caso dei pattinatori su ghiaccio, che girano più veloci quando portano a sé le loro braccia distendendole lungo il corpo. Una volta che le dimensioni di questa regione si erano sufficientemente ridotte, la forza centrifuga derivante dall’accresciuta velocità di rotazione riuscì infine a controbilanciare la forza centripeta di attrazione gravitazionale; era così nata una galassia discoidale in rotazione su se stessa.
Con il passare del tempo, il gas contenuto nelle galassie venne a frazionarsi in nubi più piccole, che iniziarono a collassare sotto la loro stessa gravità. Man mano che queste nubi si contraevano, la temperatura del gas aumentava, diventando infine sufficientemente alta da innescare delle reazioni nucleari. Queste reazioni trasformavano l’idrogeno in altro elio, mentre il calore da esse sprigionato innalzava la pressione del gas impedendo alle nubi di contrarsi ulteriormente. Le stelle simili al nostro Sole potrebbero rimanere in questo stato per molto tempo, trasformando l’idrogeno in elio e irradiando la loro energia sotto forma di calore e di luce.
Le stelle di massa superiore, per poter controbilanciare la loro maggiore attrazione gravitazionale, dovrebbero però avere una temperatura più elevata; di conseguenza, le loro reazioni di fusione nucleare dovrebbero avvenire più rapidamente, a una velocità tale da esaurire il loro idrogeno in appena un centinaio di milioni di anni. Passato questo tempo, inizierebbero a contrarsi leggermente e, grazie al calore così generato, comincerebbero a trasformare l’elio in elementi più pesanti, come il carbonio o l’ossigeno. Anche in questo modo, comunque, non riuscirebbero a sviluppare una quantità di energia molto più alta, e andrebbero quindi incontro a quella crisi che ho descritto nella mia lezione sui buchi neri.
Quel che accade poi non è del tutto chiaro; sembra comunque probabile che le regioni centrali della stella collassino fino a raggiungere uno stato di densità elevatissima, come quello di una stella di neutroni o di un buco nero. Le regioni più esterne possono essere espulse dalla stella nel corso di una tremenda esplosione: assisteremo così al fenomeno di una cosiddetta supernova, la cui luminosità supera quella di tutti gli altri astri della sua galassia. Alcuni degli elementi più pesanti prodotti nelle ultime fasi del ciclo vitale della stella torneranno così a ricongiungersi con i gas della galassia, e costituiranno parte della materia prima da cui si formerà la successiva generazione di stelle.
Il nostro Sole, essendo una stella di seconda (o terza) generazione, contiene circa il due per cento di questi elementi più pesanti. Esso si è formato intorno a cinque miliardi di anni fa da una nube di gas in rotazione che conteneva i detriti di precedenti supernove. La maggior parte dei gas presenti in quella nube andò a formare il Sole oppure si disperse nello spazio; una piccola quantità degli elementi più pesanti, però, si raccolse a formare i pianeti che oggi orbitano attorno al Sole, come la nostra Terra.

Questioni aperte

Questo quadro di un universo che, dopo un inizio estremamente caldo, è andato via via raffreddandosi ed espandendosi, si trova in accordo con tutti i dati di osservazione di cui siamo oggi in possesso. Ciononostante, esso lascia senza risposte una serie di domande importanti. Primo: perché l’universo primigenio era così caldo? Secondo: perché l’universo è così uniforme su vasta scala, perché appare identico da qualunque parte dello spazio e in qualunque direzione lo si guardi?
Terzo: perché, all’origine dell’universo, la sua velocità di espansione era così vicina al valore critico da essere appena sufficiente per evitare una nuova contrazione? Se la velocità di espansione, un secondo dopo il big bang, fosse stata più piccola anche solo di una parte su cento milioni di miliardi, l’universo sarebbe ricollassato su se stesso prima di raggiungere le sue attuali dimensioni. D’altro lato, se essa fosse stata più grande di questa stessa frazione, l’universo si sarebbe espanso al punto da essere ormai praticamente vuoto.
Quarto: pur essendo così uniforme e omogeneo su larga scala, l’universo contiene delle irregolarità locali, come le stelle e le galassie. Si pensa che esse si siano sviluppate a partire da piccole differenze, fra una regione e l’altra, nella densità dell’universo primordiale. Ma quale fu l’origine di queste fluttuazioni di densità?
Presa da sola, la teoria della relatività generale non è in grado di spiegare questi caratteri dell’universo e di dare una risposta a queste domande. Essa, infatti, predice che l’universo ebbe inizio con una densità infinita nella singolarità del big bang e, in corrispondenza di questa singolarità, la relatività generale stessa e tutte le altre leggi della fisica verrebbero a perdere la loro validità; di conseguenza, non è possibile servirsi di queste leggi per predire che cosa dovrebbe emergere dalla singolarità. Come ho precedentemente spiegato, ciò significa che si potrebbero tranquillamente escludere dalla teoria tutti gli (ipotetici) eventi che hanno preceduto il big bang, dato che essi non avrebbero comunque alcun effetto su ciò che osserviamo. Lo spazio-tempo avrebbe così un proprio confine, un inizio, in corrispondenza del big bang. Ma perché mai l’universo deve aver avuto origine dal big bang esattamente in un modo tale da condurre proprio a quello stato che osserviamo oggi? Perché l’universo è così uniforme, e si espande con una velocità appena sufficiente a evitare di tornare a contrarsi? Ci sentiremmo più felici se fossimo in grado di dimostrare che l’universo che osserviamo oggi – o comunque un universo simile – avrebbe potuto svilupparsi a partire da un discreto numero di configurazioni iniziali fra loro differenti.
In questo caso, un universo sviluppatosi a partire da una qualche sorta di condizioni iniziali casuali dovrebbe contenere un certo numero di regioni simili a quelle che oggi osserviamo. Ci potrebbero poi essere anche delle regioni profondamente diverse; tuttavia, le condizioni di queste ultime sarebbero probabilmente tali da non consentire la formazione di galassie e di stelle, che costituiscono un prerequisito essenziale per lo sviluppo di forme di vita intelligenti (almeno come le conosciamo noi). Queste regioni, pertanto, non conterrebbero alcun essere in grado di osservare la loro diversità.
Riflettendo sulla cosmologia, dobbiamo tenere conto del principio di selezione, per il quale noi viviamo in una regione dell’universo adatta a ospitare forme di vita intelligenti. Questa considerazione, alquanto ovvia ed elementare, viene a volte indicata come il principio antropico. Supponiamo, d’altro lato, che lo stato iniziale dell’universo dev’essere stato scelto con estrema attenzione per poter condurre a qualcosa di simile a ciò che oggi vediamo intorno a noi; in questo caso, sarebbe stato di per sé improbabile che l’universo contenesse una qualche regione in grado di ospitare la vita.
Stando al modello del big bang caldo che ho descritto sopra, nell’universo primordiale non ci fu abbastanza tempo perché il calore potesse fluire da una regione all’altra. Ciò implica che, all’inizio, le diverse regioni dell’universo avrebbero dovuto avere la medesima temperatura, in modo che sia possibile rendere ragione del fatto che la radiazione a microonde di fondo da noi osservata ha la stessa temperatura in qualunque direzione puntiamo i nostri strumenti. Inoltre, sarebbe stato necessario scegliere con estrema precisione la velocità iniziale di espansione dell’universo, in modo da spiegare come mai, finora, non sia tornato a contrarsi. Tutto ciò significa che se il modello del big bang caldo è corretto, a ritroso, fin dall’inizio del tempo, lo stato iniziale dell’universo dev’essere stato scelto davvero con grande cura. Sarebbe molto difficile spiegare come mai l’universo abbia dovuto iniziare proprio in questo preciso modo, a meno di non appellarsi all’azione di un Dio la cui intenzione era proprio quella di creare degli esseri come noi.

Il modello inflazionario

Per evitare questa difficoltà insita nei primissimi stadi del modello del big bang caldo, Alan Guth, del Massachusetts Institute of Technology, avanzò la proposta di un nuovo modello, in cui molte configurazioni iniziali fra loro diverse avrebbero potuto evolversi in qualcosa di simile all’universo attuale. Egli ipotizzò la possibilità che l’universo primordiale abbia attraversato un periodo di espansione rapidissima, o esponenziale. Questa espansione viene indicata con l’aggettivo «inflazionaria», in analogia con l’inflazione nei prezzi che, a livelli più o meno alti, si fa sentire in ogni Paese. Per quanto riguarda l’inflazione nei prezzi, il primato mondiale va probabilmente alla Germania del primo dopoguerra, quando, nel giro di pochi mesi, il prezzo di una pagnotta lievitò da meno di un marco a milioni di marchi. Tuttavia, per quanto riguarda le dimensioni dell’universo primordiale, il tasso di inflazione da noi ipotizzato è di gran lunga superiore anche a questo stesso record, essendo pari a circa un milione di milioni di milioni di milioni di milioni di volte nel giro di una minuscola frazione di secondo. Naturalmente, era prima dell’attuale governo.
Guth suggerì che la temperatura dell’universo emerso dal big bang fosse estremamente elevata. Ci si potrebbe aspettare che, a temperature simili, le forze nucleari potente e debole e la forza elettromagnetica fossero tutte unificate in una singola forza. Espandendosi, l’universo si sarebbe via via raffreddato e l’energia delle particelle sarebbe progressivamente diminuita. Infine, ci sarebbe stata una cosiddetta transizione di fase e la simmetria tra le forze sarebbe venuta a rompersi: la forza potente si sarebbe differenziata da quella debole e da quella elettromagnetica. Un comune esempio di transizione di fase è dato dalla trasformazione dell’acqua in ghiaccio quando la si raffredda: mentre l’acqua allo stato liquido è simmetrica (è cioè identica in ogni punto e in ogni direzione), i cristalli di ghiaccio che da essa si formano assumono delle posizioni ben definite e sono allineati in una qualche direzione; trasformandosi in ghiaccio, quindi, l’acqua viene a perdere la propria simmetria.
Nel caso dell’acqua, se si opera con attenzione è possibile «sovraraffreddarla», ossia portare la sua temperatura al di sotto del punto di congelamento (0° C) senza che si formi il ghiaccio. Guth suggerì che l’universo potrebbe essersi comportato in un modo simile: la sua temperatura, cioè, potrebbe essere scesa al di sotto del valore critico senza che la simmetria tra le forze venisse a rompersi. In questo caso, l’universo si sarebbe trovato in uno stato di instabilità, con una quantità di energia maggiore rispetto a quella che avrebbe avuto se la simmetria si fosse rotta. Ora, è possibile dimostrare che questa speciale energia extra avrebbe un effetto antigravitazionale: essa agirebbe esattamente come una costante cosmologica.
Einstein introdusse la costante cosmologica in seno alla teoria della relatività generale nel tentativo di costruire un modello statico dell’universo. Nel nostro caso, però, l’universo era già in espansione, e l’effetto repulsivo di questa costante cosmologica lo avrebbe quindi fatto espandere a una velocità sempre crescente. Persino nelle regioni in cui si aveva una concentrazione di particelle di materia superiore alla media, la forza di attrazione gravitazionale della materia sarebbe stata comunque sopraffatta dalla forza repulsiva derivante dall’effettiva costante cosmologica, e anche queste regioni si sarebbero così espanse a un ritmo inflazionario.
Man mano che l’universo si espandeva, le particelle di materia si allontanavano sempre più le une dalle altre; il risultato sarebbe quindi stato quello di un universo in espansione contenente appena qualche particella. Inoltre, esso si sarebbe ancora trovato nello stato di sovraraffreddamento, in cui la simmetria fra le forze rimane integra. Qualunque irregolarità presente al suo interno sarebbe stata semplicemente spianata dall’espansione, come le pieghe di un palloncino che si distendono quando lo si gonfia. Lo stato omogeneo e uniforme che contraddistingue l’universo attuale potrebbe pertanto essersi sviluppato a partire da molti stati iniziali non uniformi fra loro. E anche la velocità di espansione tenderebbe a essere molto vicina al valore critico necessario per evitare una nuova contrazione.
Inoltre, l’idea dell’inflazione potrebbe anche spiegare perché nell’universo ci sia tanta materia. Nella regione dell’universo che noi possiamo osservare ci sono qualcosa come 1080 particelle. Da dove hanno avuto origine? La risposta è che, nella teoria quantistica, le particelle possono essere create a partire dall’energia sotto forma di coppie costituite da una particella e dalla relativa antiparticella. A questo punto, però, emerge il problema di dove abbia avuto origine questa energia. La risposta è che l’energia totale dell’universo è esattamente pari a zero.
La materia dell’universo è costituita da energia positiva. Tuttavia, occorre tenere presente che tutta la materia continua ad attrarsi per mezzo della forza di gravità. Due pezzi di materia posti l’uno vicino all’altro hanno meno energia di due pezzi identici tra i quali vi sia però una grande distanza; questo perché bisogna spendere dell’energia per tenerli separati contro la forza gravitazionale, che tende ad avvicinarli (e il cui effetto, nel secondo caso, sarebbe trascurabile). Quindi, in un certo senso, il campo gravitazionale ha un’energia negativa. Se prendiamo poi l’intero universo, è possibile dimostrare che l’ammontare di questa energia gravitazionale negativa è esattamente tale da cancellare l’energia positiva della materia, così che l’energia totale dell’universo è pari a zero.
Ora, il doppio di zero è sempre uguale a zero. Pertanto, l’universo potrebbe raddoppiare la quantità di energia positiva della materia e, nel contempo, raddoppiare l’energia negativa del campo gravitazionale, senza con ciò violare il principio di conservazione dell’energia. Ciò non accade nella normale espansione dell’universo, durante la quale la densità della materia-energia diminuisce man mano che l’universo aumenta di volume. Accade, però, nell’espansione inflazionaria, poiché in essa, mentre l’universo si espande, la densità di energia dello stato sovraraffreddato rimane costante: quando l’universo raddoppia le proprie dimensioni, sia l’energia positiva della materia sia quella negativa del campo gravitazionale vengono a raddoppiare, così che l’energia totale è sempre pari a zero. Durante la fase inflazionaria, le dimensioni dell’universo aumentano moltissimo; di conseguenza, la quantità totale di energia disponibile per la creazione di particelle materiali diventa estremamente grande. Come ha ...

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