La vita quotidiana degli Egizi e dei loro dei
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La vita quotidiana degli Egizi e dei loro dei

Christine Favard-Meeks, Dimitri Meeks

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La vita quotidiana degli Egizi e dei loro dei

Christine Favard-Meeks, Dimitri Meeks

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Ben prima che i geroglifici venissero decifrati, la civiltà dell'antico Egitto era già oggetto di culto e stupore. Se, però, gli eruditi del XVII e XVIII secolo scoprirono numerosi particolari delle credenze e delle pratiche religiose, le ricerche contemporanee ne hanno estrapolato un nuovo spirito: gli dèi egizi non vivevano solo nel mito e nelle azioni rituali ma ebbero gerarchie e conflitti per rivendicare i propri diritti, con tribunali divini, leggi da tutelare e processi lunghi più di ottant'anni. Vissero con abitudini alimentari lontane dall'immaginario comune, corredate da pasti frugali e privi di eccessi, senza traccia degli enormi palazzi sontuosi ai quali siamo abituati a pensare. La loro era una vita quotidiana fatta anche di lacrime, sudore e sangue, in cui gli dèi assumevano un volto e tramandavano per generazioni persino le proprie caratteristiche psicofisiche. E il faraone, unico al quale spettava il compito di scavare le fondamenta dei tempi e rifinirne la pavimentazione, incarnava il mediatore indispensabile fra la vita degli dèi e quella degli uomini. Per la prima volta, una descrizione circostanziata e continuativa su una delle civiltà più affascinanti e misteriose di tutti i tempi, con la quale "il lettore è invitato a entrare in punta di piedi in una percezione del mondo profondamente diversa dalla sua".

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Information

Publisher
BUR
Year
2018
ISBN
9788858691922

PARTE PRIMA

Gli dèi fra loro

I

Origini, destini, storia

Gli dèi egizi non sono sempre esistiti. I testi religiosi suggeriscono a più riprese l’idea che possano nascere e morire, che i tempi abbiano un inizio e una fine. Ma anche se la nascita del mondo ci è stata tramandata in versioni varie, spesso ellittiche e talvolta frammentarie, ma sempre decisamente sintetiche, se si parla esplicitamente della fine dei tempi in un capitolo del Libro dei Morti, non esiste un vero e proprio trattato che ci descriva in forma circostanziata e continuativa la vita degli dèi. Le loro origini e la loro storia ci sono note per frammenti e spesso in forma indiretta. I testi che sono la nostra unica fonte pongono tuttavia le domande fondamentali alle quali ogni civiltà ha tentato di dare a suo modo una risposta. Ci rivelano che gli dèi esistono nel tempo e che hanno un destino.

Origini e fini ultimi

Esaminiamo la situazione prima della creazione. La nozione di nulla, di vuoto integrale, di «niente» assoluto non appartiene all’Egitto, una cultura troppo antica e perciò troppo vicina al concreto per aver speculato su simili astrazioni. Ci si dice che non esisteva assolutamente niente ma in realtà la difficoltà di immaginare questo stesso stato costringeva a delle precisazioni, tanto più che tutti sapevano che prima della creazione esisteva uno spazio senza limiti, uno spazio acquatico di acque stagnanti, assolutamente immobili, circondate da una assoluta oscurità, che non era quella della notte perché la notte e il giorno non erano ancora stati creati.
Per descrivere questa condizione così particolare, i testi procedono innanzitutto per via di negazione, con un elenco di ciò che non esisteva. Ogni elenco non può essere che limitativo ed essendo quelli di cui disponiamo necessariamente molto brevi,1 si delineano immediatamente, per antitesi, quelli che per gli Egizi rappresentavano gli elementi essenziali del mondo creato. Né il cielo né la terra esistevano, né gli dèi né gli uomini: l’ira, il frastuono, le battaglie non esistevano, né esistevano il timore di quello che poteva accadere all’occhio di Horo e la morte.
È logico che l’esistenza della terra, del cielo, degli esseri viventi, degli dèi siano i segni più sicuri del mondo creato, ma gli altri elementi citati, piuttosto inattesi, proiettano una luce speciale sullo stato della creazione alle origini. Il mondo creato si distingue per «il frastuono e il furore», per la morte, per il timore che potesse accadere qualcosa di male all’occhio di Horo, che non è solo l’astro solare dispensatore di vita ma anche, e sempre di più, l’insieme della creazione, l’Egitto stesso, cioè il mondo organizzato. La morte e la paura della fine del mondo sono dunque inerenti l’atto della creazione e ne procedono.
Ma in che cosa costituisce la vita? Troviamo qualche elemento di risposta in un passo dei Testi dei Sarcofagi. Il demiurgo racconta quello che accadde prima della creazione: «Ero solo con l’Oceano Primordiale, nell’inerzia e non trovavo luogo in cui stare... (gli dèi del) la prima generazione non erano giunti all’esistenza (ma) erano con me». E il demiurgo aggiunge, a proposito dell’Oceano Primordiale: «Io fluttuavo fra due acque, completamente inerte... ed è mio figlio, “Vita” che ha risvegliato il mio spirito, che ha fatto vivere il mio cuore e radunato le mie membra inerti». L’Oceano Primordiale così si rivolge al demiurgo: «Respira tua figlia Maât e portala alla tua narice affinché il tuo cuore viva. Che non si allontanino da te tua figlia Maât e tuo figlio Shu il cui nome è Vita».2
Questo bel testo in cui osserviamo l’apparizione della vita descrive tre tappe. Prima c’è la solitudine e il demiurgo pensa. I primi dèi, quelli che si sarebbero moltiplicati dopo la creazione, non esistevano ancora ma erano in un certo senso inglobati nel creatore. La vita si manifesta spontaneamente, senza una ragione precisa nel demiurgo; ci vien detto che si tratta di Shu, cioè il dio dell’aria. Immediatamente si apre la seconda tappa e il creatore si mette a parlare; la parola è la conseguenza più evidente del manifestarsi della vita nella sua persona. In questo preciso istante l’Oceano Primordiale non ha ancora preso coscienza di sé e quindi non esiste, in senso stretto.3 Non sa che il demiurgo si risveglia e accede all’esistenza: il processo si svolge senza che sia in grado di assistervi.4 In questo modo il demiurgo si dissocia, si individualizza rispetto all’Oceano Primordiale che gli Egizi chiamano il Nun e il cui nome potrebbe significare «il non essere». Si rivolge dunque a lui e gli fa una sorta di resoconto di quel che gli sta accadendo. Questa breve narrazione suscita la risposta dell’Oceano Primordiale, il suo risveglio. Siamo alla terza tappa. La vita provoca la parola, la parola genera il dialogo. Tale dialogo attraverso una sorta di operazione maieutica rivela al tempo stesso i motori e i garanti della futura creazione: la vita assimilata a Shu, dio dell’aria, e Maât che il creatore respira e che diventa così consustanziale all’aria. Maât altri non è che la Norma che reggerà i fenomeni cosmici ma anche le regole sociali e il rispetto che si deve loro. L’aria, la vita, attraverso il ritmo del respiro del creatore esala e permette la nascita degli altri esseri.5
A questo momento la creazione non è ancora cominciata, il demiurgo non si è ancora mosso. Siamo ancora in una fase preparatoria che avrà degli sviluppi che possiamo esaminare attraverso altri testi. È sempre il creatore a parlare: «Ho richiamato all’esistenza le mie carni con la mia efficienza; sono colui che si è creato; mi sono formato a mia guisa».6 «Sono venuto all’esistenza in quanto “Diveniente”; sono venuto all’esistenza e il Divenire è diventato. Tutti gli esseri sono venuti all’esistenza dopo che io sono giunto all’esistenza. Numerosi sono i divenire che sono usciti dalla mia bocca. Quando il cielo non esisteva, la terra non esisteva, il sole fermo non era stato creato né i serpenti che sono in quel luogo, io ne ho creati alcuni nell’Oceano Primordiale in quanto Inerti, quando non avevo trovato ancora un luogo sul quale sostenermi.»7 Ancor prima della creazione, tramite quella parola che fu la sua prima manifestazione di vita, il demiurgo forma la sua persona fisica, poi alcuni serpenti che lo assistono nella continuazione della creazione, mentre l’uomo da cui scaturirà il sole appare o dalle profondità dell’Oceano o cadendo dal cielo, a seconda delle tradizioni.8 Questi rettili, esseri sotterranei che conoscono solo l’oscurità perché i ritmi diurni e notturni ancora non esistevano, hanno come sola ragion d’essere il trovarsi «in quel luogo», su quel promontorio di terraferma a partire dal quale il demiurgo avrebbe creato la luce e, quando il territorio si allargherà, la molteplicità degli esseri. Sono sotterranei ma annunciano l’altura che emergerà dalle acque e ne sono i primi abitanti. Essi preparano la creazione ma non ne fanno parte. Non essendo preesistenti come l’Oceano Primordiale o il demiurgo, presenti da prima della creazione stessa, i serpenti restano prigionieri di uno iato. La creazione contrappone loro una barriera che non sanno come varcare; una volta completata la creazione, avranno concluso il loro tempo, come dicono i testi, e moriranno. Ma, ci viene ancora detto, se la loro sorte è stata segnata dallo stesso creatore, «la loro discendenza terrestre non ha avuto fine».9 Questa discendenza non è altro che il mondo creato e gli esseri che vi si succedono. Avendo la morte necessaria di questi precursori molto addolorato il demiurgo, questi decise di mummificarli e recarsi ogni anno, a data fissa, a deporre delle offerte sulla loro tomba. Le offerte fanno sì che «il loro petto respiri, in vita, finché arrivi l’epoca successiva della sua venuta».10 Primi defunti, prime mummie, essi sono i primi a ricevere il culto funerario, che è un culto degli antenati. Vedremo che lo stesso processo si ripeterà per tutti i precursori.
Creato il mondo, dèi e uomini vi si insediarono. Gli dèi regnano sulla terra l’uno succedendo all’altro. È l’età dell’oro. Ma gli uomini si ribellarono e gli dèi si ritirarono nell’alto dei cieli. La regalità terrestre fu allora ereditata dai Successori di Horo, che annunciano e preparano le dinastie dei faraoni umani. Anch’essi subiranno la sorte dei precursori della creazione il cui culto si fonderà con il loro.11 Sarà questo periodo del regno terrestre degli dèi, ricchissimo di eventi vari, che abbiamo qui riassunto in pochissime parole, a fornirci gli argomenti di tutta la prima parte di questo libro. Vedremo che non ci sono solo morti naturali, anche fra gli dèi. Il furore e le contese, che annunciarono il loro divenire fin dai primi istanti del mondo, sono portatori di morte. Qui come altrove si può uccidere l’innocente come punire colui che minaccia la Norma.
Quando gli uomini avranno portato a termine il loro destino sulla terra verrà la fine e con essa finiranno il «frastuono e il furore».12 Ma com...

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