La notte della cometa
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La notte della cometa

Sebastiano Vassalli

  1. 320 pages
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La notte della cometa

Sebastiano Vassalli

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La notte della cometa è il libro della svolta di Sebastiano Vassalli verso il "romanzo storico" e il personaggio di Dino Campana è quello che ha impegnato la sua energia intellettuale e creativa piÚ di qualunque altro.
Nella fase preparatoria del suo "romanzo-veritĂ ", Vassalli agisce da storico per un verso, frequentando archivi e biblioteche, e per l'altro si comporta da giornalista di reportage o d'inchiesta viaggiando, annotando, raccogliendo testimonianze scritte e orali. Ma nell'atto della scrittura Vassalli non teme di colmare con l'immaginazione i vuoti e le lacune di una biografia dalle ampie zone oscure.
Nel ricordare il suo primo approccio giovanile ai Canti Orfici, Vassalli ammette di non aver "mai creduto, nemmeno per un attimo, nella favola del 'poeta pazzo'". È da qui che parte, per narrare la storia di un "demente" (tra virgolette) perseguitato dalla famiglia, dalla sua cittadina, dalla comunità scientifica, dalle autorità di polizia, infine dalla società letteraria: la vicenda del poeta vittima designata di una congiura. Come dice Vassalli: "Ma se anche Dino non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest'uomo meraviglioso e 'mostruoso', ne sono assolutamente certo. L'avrei inventato cosÏ".
PerchÊ l'avrebbe inventato proprio cosÏ? PerchÊ in tutta "evidenza" il Babbo Matto è, con il Sebastiano de L'oro del mondo, il personaggio piÚ autobiografico tra i tanti che Vassalli ha narrato, per questo non avrebbe potuto che raccontarlo cosÏ e per questo non se n'è mai liberato. Paolo Di Stefano

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Information

Publisher
RIZZOLI
Year
2019
ISBN
9788858697047

La notte della cometa

Il popolo d’Italia non canta più
Oh parvenu! Tu sei la rovina.
Marradi, settembre 1983. Il dépliant del Ristorante Albergo Lamone, dove alloggio da una settimana, dice: “Albergo modernamente attrezzato. Cucina tradizionale e genuina. Specialità gastronomiche tosco-romagnole. Servizio accurato per matrimoni, banchetti, comitive ecc. Cacciagione, trote, funghi, pecorino marradese, torta di marroni. Vini tipici tosco-romagnoli”. Le camere, distribuite su due piani, affacciano da un lato sullo scalo della stazione ferroviaria e dall’altro su un viale d’ippocastani intitolato a un tale Baccarini ma denominato, nell’uso, “viale della stazione”. In una di queste camere il poeta Dino Campana e la scrittrice Sibilla Aleramo trascorsero la notte di Natale dell’anno 1916: forse in questa stessa dove io ora mi trovo, forse in un’altra. Chissà. L’albergo, rimaneggiato nei muri divisori ma intatto nella struttura, molto probabilmente è coetaneo della ferrovia Firenze-Faenza: che s’inaugurò nel 1893 con grandi feste popolari e con l’intervento di Sua Altezza il Duca di Genova in rappresentanza di Umberto I di Savoia, Re d’Italia “per grazia di Dio e per volontà della Nazione”.
Di Marradi le guide turistiche dicono poco: 328 metri sul livello del mare, cinquemila abitanti (ma all’inizio del secolo erano molti di più, quasi il doppio), qualche santuario nei dintorni, qualche resto di torre medioevale… In pratica, un paese attraversato da una strada, senza particolari connotazioni culturali o linguistiche. Soltanto gli edifici di piazza Scalelle parlano ancora di un’epoca in cui Marradi fu la piccola capitale della “Romagna toscana” alla frontiera di due Stati: il Granducato e lo Stato della Chiesa. Il paesaggio, gradevole, non presenta scorci o caratteristiche di particolare rilievo. Il profilo dei monti è “dolce” e insieme “severo”, come diceva Campana; il cielo è luminoso, la vegetazione è varia: ma ciò rientra nella generale bellezza del paesaggio appenninico e italiano. L’Italia è tutta un incanto.
Dalla finestra vedo i “monti azzurri”, le rocce “strati su strati”, quasi profili di pagine del libro squinternato del mondo: e mi ricordo le parole di Dino, ciò che lui disse a Sibilla: “Questo è un paese dove ho molto sofferto. Qualche traccia del mio sangue è rimasta tra le rocce, lassù.” Davvero, io non so che cosa sono venuto a cercare a Marradi. Qui non ci sono carte, documenti – tutto è andato distrutto durante l’ultima guerra – e se anche trovassi qualche vecchio di cent’anni in grado di ricordare e di parlare, cosa potrebbe dirmi di Dino Campana: che era lo scemo del paese? Perché quella è l’unica verità; ma la verità non si dice. Forse, penso, sono venuto fin qua soltanto per vedere i luoghi che lui amava, per cercare quel sangue tra le rocce; forse speravo di trovare la statua. Ma sì, la statua. Il monumento in scala uno a uno del Poeta Pazzo. In posa bacchica. Non dissimile, tranne che nell’addobbo, dai monumenti al Milite Ignoto che si trovano un po’ dappertutto nei paesi e nelle piccole città, vicino alle stazioni ferroviarie oppure al centro di piazze dedicate appunto ai Caduti. Ai Partigiani. Agli Eroi. Ai Santi. Ai Poeti. Ai Navigatori. A Noi! (Come giustamente gridavano, trascinati dall’enfasi a disvelare invidiosi veri, i legionari di D’Annunzio e gli squadristi del Duce.)
Il monumento a Campana non s’è ancor fatto. Verrà: ma, prima, bisogna dare tempo al tempo e retorica alla retorica. Da scemo del paese a eroe il passo è lungo. Per intanto gli s’è messa una lapide, gli s’è dedicata una strada, gli s’è fatto un premio letterario tutto per lui, col suo nome. Premio letterario Dino Campana. (Giudici Giorgio Saviane, Claudio Marabini, Aldo Rossi, Lorenzo Ricchi e altri illustri.) Può sembrar poco ma non è. Quando trent’anni fa un giornalista – Sergio Zavoli – venne a Marradi a cercar tracce di Campana la prima cosa che gli dissero a muso duro sulla piazza fu che «era un matto e basta». Ma Zavoli non abbandonò la ricerca. Nella sede civica intervistò il vicesindaco Leo Consolini e il cavalier Bucivini Capecchi, segretario a riposo del Comune, coetaneo di Dino. “Zavoli: Cavalier Bucivini, qualcuno ha rimproverato il Comune di Marradi di non aver fatto molto per onorare la memoria di Dino Campana? Bucivini Capecchi: Difatti, in un’adunanza consigliare ci furono dei consiglieri che protestarono. Protestarono all’idea di onorare questo Dino Campana, perché qualcuno di loro diceva che era un precursore del fascismo… Zavoli: Addirittura! Bucivini Capecchi: … mentre noi coetanei possiamo dimostrare che lui assolutamente era estraneo, non si interessava a queste faccende! Leo Consolini: Del resto, le prove che il Comune di Marradi si è impegnato per le onoranze a Dino Campana sono queste, guardi: per due anni consecutivi, cioè nel 1952 e nel 1953, sono state stanziate in bilancio 500.000 lire. Però la Giunta provinciale amministrativa ritenne opportuno depennarle in quanto il bilancio di Marradi era deficitario! D’altra parte, per dimostrarle la volontà del Comune di onorare degnamente il poeta, ci si è preoccupati di avere, diciamo così, il giudizio di grandi personalità: di Ardengo Soffici, del senatore Emilio Sereni, dell’Accademia della Crusca, dell’Accademia dei Lincei, della Deputazione di Storia Patria. Qui, in questo incartamento, ho le prove.”
Le risposte delle Accademie e delle grandi personalità sono imbarazzate, compunte, favorevoli in via di principio ad ogni sorta di celebrazioni. Smentiscono che Campana fosse “un precursore del fascismo” e assicurano che non ci sono pregiudiziali nei suoi confronti. “Caro compagno” scrive il senatore Emilio Sereni al sindaco comunista di Marradi che l’ha interpellato in merito all’intitolazione di una strada, “penso che sia giusto intitolare a Dino Campana una strada del vostro capoluogo.
Dino Campana è indubbiamente un nome autorevole della poesia moderna e ormai passato nella storia della letteratura.
Non c’è nessun riserbo politico nei suoi confronti. Tanto più che la sua pazzia toglieva ogni responsabilità ad ogni sua posizione politica, né, d’altronde, ne ebbe mai dichiaratamente reazionarie.
Sarebbe bene fare inaugurare la via ad uno scrittore toscano. Vedete di scrivere a Romano Bilenchi a Firenze, se volesse lui parlare per l’occasione. F/to: Sereni.”
Riordino gli scheletri nell’armadio. “Fanny” Luti e Giovanni Campana: che volevano “sistemare” il figlio (“per il suo bene” dicevano) e si quetarono soltanto quando lo seppero rinchiuso in manicomio, per sempre. Lo zio Torquato, il tutore: che da “valente umanista” qual era gli compose l’epigrafe e gliela fece scrivere sotto dettatura. Papini e Soffici, gli intellettuali alla moda: che gli insegnarono l’umiltà e le regole del gioco letterario. Gli “sciacalli urlanti” di Marradi e gli “sciacalli del cupolone” cioè i letterati fiorentini che lo considerarono una macchietta, un elemento del folklore locale. La dannunziana Rina Faccio, Amorale anagrammata (Aleramo) in arte: che nell’estate del 1917, quando tutti i maschi italiani erano al fronte, faceva il conto dei mesi trascorsi “in stato di santità” e ne incolpava Campana. Il critico Bino Binazzi, seriamente convinto che per essere famoso come poeta Dino dovesse anzitutto essere famoso come pazzo. Gli elettricisti-psichiatri che lo trasformarono nell’uomo elettrico “Dino Edison”. L’altro psichiatra, il Pariani: che per scrivere un suo mediocrissimo libro sul rapporto genio-follia lo tormentò con estenuanti (e vani) interrogatori dal 1926 al 1930. Il critico Enrico Falqui, che amorevolmente ne imbalsamò la memoria e cristianamente ne censurò e ne corresse le lettere. (Per esempio: “Osteria della Musa” anziché “Osteria della Mussa”.) Attilio Vallecchi, l’editore che ripulì i Canti Orfici d’alcune scritte indecenti. E poi ancora gli affossatori senza nome, i mentitori senza scopo, i denigratori disinteressati… Basterà dire, con Dino, che “tutti sono coperti del sangue del fanciullo”, “tracciati per riconoscerli nel giorno della giustizia”?
Torno a affacciarmi alla finestra. “Il pulviscolo d’oro che avvolgeva la città parve ad un tratto sublimarsi in un sacrifizio sanguigno. Quando? I riflessi sanguigni del tramonto credei mi portassero il suo saluto.” Sono quattordici anni che ricerco la verità della vita di Dino Campana, che la ricompongo frammento dopo frammento, che tolgo ad ogni frammento le incrostazioni di menzogna d’una leggenda a cui il trascorrere del tempo aveva già conferito la patina dell’autentico… Ora la ricerca è finita e la vita di Dino è lì, tutta, in una valigia piena zeppa d’appunti e di fotocopie e appoggiata al termosifone di questa camera d’albergo, forse la stessa camera del suo ultimo Natale a Marradi… Tutta la vita di un uomo che fu considerato dai contemporanei un prodotto anomalo della natura, uno che “non aveva compreso nulla di quel che è il vivere comune”: ed era solo un poeta. (Ma forse è proprio vero che i poeti appartengono ad una specie diversa, “primitiva”, “barbara”, da sempre estinta eppure sempre in grado di rinascere come quella dell’araba fenice. I poeti autentici, dico: non i letterati o gli scrittori di poesie, ma proprio quelli per mezzo dei quali la poesia parla. Gli unicorni, i mostri.)
Campana Dino, Carlo, Giuseppe nasce alle 14,30 del 20 agosto 1885 a Marradi in provincia di Firenze da Giovanni maestro elementare e da Francesca Luti casalinga. Il suo segno zodiacale è il Leone con ascendente in Sagittario. L’oroscopo che lo riguarda parla di coscienza del proprio valore, di fortissima aspirazione a eccellere, di volontà di dominio che si esprime in forme non violente, di scarsa o quanto meno limitata considerazione degli altri, di passioni intense ma effimere.
Padre e madre sono benestanti. Lui, Giovanni Campana, ha trentotto anni ed è nato a Marradi. Lei, Francesca detta “Fanny”, ha una quindicina d’anni meno del marito; viene da Comeana presso Firenze ed ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza in un collegio di suore. Come tante coetanee arrivate al matrimonio ed alla maternità da un’esperienza di vita quasi monastica, “Fanny” stenta ad adattarsi alla sua nuova condizione ed anche appare insoddisfatta del marito che – per qualche ragione a noi ignota – non la soddisfa o non le piace. È un’Emma Bovary senza il coraggio dell’adulterio e forse senza l’opportunità, che piano piano si ritira dentro un suo guscio di memorie di collegio, di funzioni religiose, di castità difesa e giustificata con emicranie, malesseri, quaresime, penitenze, voti… È una donna che non ama l’ambiente in cui vive né le persone con cui vive ma che pensa di non potersene sottrarre e chiede di essere lasciata in pace: si occuperà della biancheria, della spesa, manterrà unita la famiglia sacrificandosi, in silenzio. Starà al suo posto: soltanto, non arriverà a fingere per il marito e per il figlio quei sentimenti che non prova…
La crisi coniugale di “Fanny” Luti Campana matura durante la seconda gravidanza e si manifesta, dopo la nascita del secondogenito Manlio, con l’abbandono di Dino: che sostituisce e simboleggia l’abbandono del marito. A questi, “Fanny” si limita a negarsi: non vuole altre gravidanze e non ritiene leciti i rapporti coniugali se non per fini di procreazione, “per dare figli a Dio”, come le hanno insegnato in collegio. (Forse, anzi probabilmente, non prova piacere nel sesso: ma chissà.) È per l’appunto in questi anni, più o meno tra il 1890 e il 1895, che il maestro Giovanni Campana comincia ad accusare “disturbi nevrastenici” di natura inequivocabile (irritabilità, insonnia, sbalzi d’umore) ed a curarsi da sé, con le tisane e gli infusi del farmacista di Marradi. Finché, eccessivo come sempre, una domenica prende il treno e va a consegnarsi al manicomio di Imola, nelle mani di quello stesso dottor Brugia a cui, una decina d’anni dopo, spedirà Dino: “Guardi di guarire mio figlio com’Ella guarì me…”.
Strenuo difensore del “primato morale e civile degli italiani”, Giovanni Campana è per molti versi un tipico rappresentante della sua generazione, formatasi nel clima delle retoriche e degli entusiasmi risorgimentali. È agnostico ma non ateo, come De Amicis; repubblicano ma devoto alla monarchia, come Crispi; materialista ma convinto assertore della genialità, come Lombroso… A scuola, gli piace insegnare che l’uomo è l’intreccio di due macchine, una macchina a vapore che è il sistema respiratorio e una macchina idraulica che è il sistema circolatorio. «E l’anima, signor maestro?» «Quella è una terza, il sistema nervoso, macchina elettrica». D’indole mite e un po’ schiva, il maestro Campana ha tuttavia una sua caratteristica cui già s’è accennato e che sarà determinante nella vita del figlio: d’essere, a fronte dei problemi, ultimativo e eccessivo; di non accontentarsi d’una soluzione qualsiasi, come la maggior parte degli umani, ma d’inseguire tra tutte le soluzioni possibili quella definitiva e “finale”… Altre persone di famiglia di cui si conserva il ricordo sono il nonno paterno e i due fratelli della madre (Lorenzo Luti, Egle Luti): che però ebbero scarso rilievo nella vita di Dino. Non così i fratelli del padre, ognuno dei quali occupa nella mia valigia un suo preciso scomparto. Questi furono, partendo dal più giovane: lo zio Torquato, lo zio Francesco, lo zio Pazzo.
Incominciamo dall’ultimo. L’esistenza di uno zio Pazzo, probabilmente più anziano degli altri, probabilmente primogenito, è stato il grande segreto della famiglia Campana: un segreto così ben custodito che dello zio Pazzo si è arrivati a far scomparire il nome, la memoria, tutto. Invece lui ci fu e fu la rappresentazione tangibile di uno spettro – quello dell’ereditarietà – che incombeva sulla vita e sulle fortune di tutti i Campana, non solamente di Dino. Io l’ho scoperto per caso nell’inverno del 1982 all’Archivio di Stato di Firenze, rovistando in quei contenitori di documenti giudiziari che con terribile metafora gli archivisti chiamano “filze di dementi”. Ho avuto la fortuna di trovare l’incartamento relativo ad una pratica d’ammissione al manicomio di San Salvi (del 9 aprile 1909) di “Campana Dino di Giovanni di anni 23, celibe, nato e dom:to a Marradi, benestante”, e, dimenticata nell’incartamento, la cosiddetta “modula informativa” redatta dall’ufficiale sanitario del Comune di origine. Che alla domanda circa le “cause fisiche e morali” della pazzia di Campana risponde: “Ereditarietà – Alcolismo”; e a fianco dell’altra domanda, “se fra i parenti del malato vi sono o vi furono alienati, e quali” scrive queste otto parole, in cui la vita di un uomo trova il suo estremo riassunto: “Uno zio del malato è morto in Manicomio”.
Le “filze di dementi”… Contenitore dopo contenitore, incartamento dopo incartamento, polvere sopra polvere, il ricercatore sprofonda in un baratro al cui confronto una “cantica” dantesca o un “giudizio finale” dell’Orcagna sembrano ed effettivamente sono piccole cose. Qui non ci sono “turbe” o “genti” o “schiere” come nell’Inferno di Dante, non c’è un astratto collettivo a far da sfondo e cornice a pochi drammi individuali. Ogni “demente” viene fuori con il suo nome, la sua storia, la sua specifica condanna: e son migliaia e decine di migliaia. Le diagnosi parlano di “demenza apoplettica”, di “follia circolare”, di “turbe periodiche” (per le donne), di “melanconia” o, più frequentemente, di “melanconia senile”, di “paralisi progressiva”, di “ipocondria”, di “psicosi dell’involuzione”, di “alcolismo”, di “follia epilettica”, di “demenza precoce”: soprattutto di “demenza precoce”. Le ordinanze dei Sindaci e dei Regi Pretori – a cui, dal 1904, è dato l’incarico di disporre l’ammissione dei “dementi” nei manicomi provinciali – accennano in modo sbrigativo ai motivi del provvedimento. Dicono che il demente “vocia”, che “beve”, che “molesta le femmine per via”; che è “instabile negli umori” o “negli affetti” (si può finire in manicomio anche per adulterio, soprattutto se si è donne); che è “disordinato”, “trascurato”, “smemorato”, “depresso”; che “letica in famiglia”; che “sragiona”. Una volta entrato in manicomio, il demente resta in osservazione per un periodo di tempo che secondo la legge 14 febbraio 1904, n. 36, “non può eccedere in complesso un mese”. Il rituale dell’ammissione “in via definitiva” o del rilascio per “insufficienza di titolo” si celebra nei Tribunali; ma i veri arbitri del destino dei sospettati di demenza sono poi solo gli psichiatri: chiamati a condannare o ad assolvere in base al pr...

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Vassalli, Sebastiano. (2019) 2019. La Notte Della Cometa. [Edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. https://www.perlego.com/book/3303776/la-notte-della-cometa-pdf.

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Vassalli, S. (2019) La notte della cometa. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. Available at: https://www.perlego.com/book/3303776/la-notte-della-cometa-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Vassalli, Sebastiano. La Notte Della Cometa. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI, 2019. Web. 15 Oct. 2022.