Opere morali
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Lettere a Lucilio - Dialoghi - Consolazioni

Lucio Anneo Seneca

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Lettere a Lucilio - Dialoghi - Consolazioni

Lucio Anneo Seneca

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Il successo della filosofia di Seneca non può stupire chi riesca a cogliere le inquietanti analogie tra il nostro tempo e l'epoca neroniana, nella quale l'autore visse e, per ordine dell'imperatore stesso, morì: un'età di corruzione, di superficialità, popolata di schiavi dell'apparire e del possedere, governata dalla ricerca dell'eccesso e della popolarità a ogni costo. D'altra parte, la lettura integrale delle opere morali senecane permette di apprezzare e conoscere da vicino il mondo interiore ed esteriore con il quale il filosofo si confronta: scene di vita quotidiana, osservazioni estemporanee, richiami ai grandi rappresentanti del mos maiorum sono spunti per brevi riflessioni o approfondite indagini filosofiche incentrate sull'uomo, sulla sua felicità e sulla sua liberà: argomenti così rilevanti per ognuno da richiedere, secondo Seneca, un preciso impegno di chiarezza e comprensibilità che rende questi testi tutt'oggi fruibili con grande soddisfazione e non troppa fatica. Non a caso i generi letterari privilegiati dall'autore sono l'epistola (A Lucilio), il dialogo (La Provvidenza, La fermezza del saggio, L'Ira, La felicità, La vita ritirata, La tranquillità dell'animo, la brevità della vita), la consolazione (A Marcia e A Polibio, per la perdita di una persona cara); (Alla madre Elvia, per l'esilio del figlio): generi che consentono un colloquio franco, immediato, vivace, con gli interlocutori e con se stessi

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Information

Publisher
BUR
Year
2013
ISBN
9788858656563
Topic
History
Index
History

LETTERE A LUCILIO*


* Traduzione di Giuseppe Monti

PARTE PRIMA

LIBRO I

LETTERA 1
L’uso del tempo

Fa’ così, caro Lucilio: renditi veramente padrone di te e custodisci con ogni cura quel tempo che finora ti era portato via, o ti sfuggiva. Persuaditi che le cose stanno come io ti scrivo: alcune ore ci vengono sottratte da vane occupazioni, altre ci scappano quasi di mano; ma la perdita per noi più vergognosa è quella che avviene per nostra negligenza. Se badi bene, una gran parte della vita ci sfugge nel fare il male, la maggior parte nel non fare nulla, tutta quanta nel fare altro da quello che dovremmo. Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo e alla sua giornata, e che si renda conto com’egli muoia giorno per giorno? In questo c’inganniamo, nel vedere la morte avanti a noi, come un avvenimento futuro, mentre gran parte di essa è già alle nostre spalle. Ogni ora del nostro passato appartiene al dominio della morte. Dunque, caro Lucilio, fa’ ciò che mi scrivi; fa’ tesoro di tutto il tempo che hai. Sarai meno schiavo del domani, se ti sarai reso padrone dell’oggi. Mentre rinviamo i nostri impegni, la vita passa. Tutto, o Lucilio, dipende dagli altri; solo il tempo è nostro. Abbiamo avuto dalla natura il possesso di questo solo bene sommamente fuggevole, ma ce lo lasciamo togliere dal primo venuto. E l’uomo è tanto stolto che, quando acquista beni di nessun valore, e in ogni caso compensabili, accetta che gli vengano messi in conto; ma nessuno, che abbia cagionato perdita di tempo agli altri, pensa di essere debitore di qualcosa, mentre è questo l’unico bene che l’uomo non può restituire, neppure con tutta la sua buona volontà.
Mi domanderai forse come mi comporti io che ti do questi consigli. Te lo dirò francamente: il mio caso è quello di un uomo che spende con liberalità, ma tiene in ordine la sua amministrazione; anch’io tengo i conti esatti della spesa. Non posso dire che nulla vada perduto, ma sono in grado di dire quanto tempo perdo, perché e come lo perdo; posso cioè spiegare i motivi della mia povertà. Capita anche a me, come alla maggior parte della gente caduta in miseria senza sua colpa: tutti sono disposti a scusare, ma nessuno viene in aiuto. E che dunque? Per me non è povero del tutto colui che, per quanto poco gli resti, se lo fa bastare. Ma tu, fin d’ora, serba gelosamente tutto quello che possiedi; e avrai cominciato a buon punto, poiché – ci ammoniscono i nostri vecchi – «è troppo tardi per risparmiare il vino, quando si è giunti alla feccia». Nel fondo del vaso resta non solo la parte più scarsa, ma anche la peggiore. Addio.

LETTERA 2
La lettura che giova

Quello che mi scrivi, come quello che sento dire, mi fa bene sperare di te. Tu non vai qua e là, né ti agiti cambiando continuamente luogo. Quest’irrequietezza è propria di uno spirito malato; ed io considero come primo indizio di un animo equilibrato il sapere restar fermo e raccolto in se stesso. Bada inoltre che, in codesta lettura di molti autori e di libri di ogni genere, tu non vada vagando dall’uno all’altro. Devi acquistare dimestichezza con autori scelti e nutrirti di essi, se vuoi trarne qualcosa che rimanga stabilmente nell’animo. Chi vuol essere dappertutto, non sta in nessun luogo. Chi passa la vita in un continuo vagabondaggio, troverà molti ospiti, ma nessun vero amico. Così è necessario che capiti a chi non si applica con assiduità allo studio di nessun autore ma tutti li scorre in fretta. Non giova, né si assimila, il cibo rigettato appena preso. Niente impedisce tanto la guarigione quanto il cambiare spesso i rimedi. Non arriva a cicatrizzarsi la ferita, se si provano varie medicazioni. Non cresce vigoroso l’albero che è spesso trapiantato. Nessuna cosa, per quanto utile, reca giovamento in un fuggevole contatto. Troppi libri producono dissipazione: perciò, se non ti è possibile leggere tutti i libri che potresti avere, basta che tu abbia i libri che puoi leggere. «Ma» tu dici «a me piace sfogliare ora questo volume, ora quello.» Assaggiare qua e là è proprio di uno stomaco viziato e troppi cibi diversi non nutrono, ma rovinano l’organismo. Perciò leggi sempre i migliori autori e, se talvolta vuoi passare ad altri, torna poi ai primi. Cerca ogni giorno nella lettura un aiuto per sopportare la povertà e per affrontare la morte e tutte le altre sventure umane. Dopo aver letto molto, scegli un pensiero che tu possa assimilare in quel giorno. Anch’io faccio così: del molto che leggo, prendo sempre qualcosa. Questa, ad esempio, è la massima di oggi, che ho trovato in Epicuro (ho, infatti, l’abitudine di passare in campo altrui, ma come esploratore, non come disertore):1 «È una bella cosa» egli dice «la povertà accettata con animo lieto». Ma, se è bene accolta, non è più povertà. È povero non chi possiede poco, ma chi brama avere di più. Che conta quanto uno abbia nella cassaforte o nei granai, quanti armenti abbia al pascolo o quanto gli rendano i crediti, se pensa sempre alla ricchezza altrui e fa calcoli, non su quello che possiede, ma su quello che vorrebbe acquistare? Mi chiedi quale sia il giusto limite della ricchezza. Avere anzitutto l’indispensabile, poi ciò che basta. Addio.

LETTERA 3
La vera amicizia

Mi scrivi di aver consegnato delle lettere per me ad un amico; ma poi mi avverti di non metterlo a parte di tutto ciò che ti riguarda, poiché neppure tu sei solito farlo. Così nella stessa lettera affermi e neghi che egli ti è amico. Se hai usato quel vocabolo specifico con un significato generico e hai chiamato amico quel tale, come noi chiamiamo «onorevoli» i candidati alle cariche pubbliche, o come salutiamo con la parola «signori» le persone che incontriamo, se non ci viene in mente il nome, passi pure. Ma se stimi amico uno, e poi non hai in lui la stessa fiducia che hai in te stesso, commetti un grave errore e ignori il valore della vera amicizia. Prendi ogni decisione d’accordo con l’amico, ma prima sii ben sicuro di lui. Prima devi giudicarlo, ma, una volta che hai stretto l’amicizia, devi fidarti pienamente di lui. Applicano a rovescio i doveri dell’amicizia quelli che, contro l’insegnamento di Teofrasto, si fanno giudici di uno, dopo avergli concesso il loro affetto; poi, quando l’hanno giudicato, rompono l’amicizia. Rifletti a lungo se devi accettare qualcuno fra i tuoi amici, ma, presa la decisione, accoglilo di tutto cuore; e, quando parli con lui, sii schietto come con te stesso. La tua vita sia così sincera che tu possa confidare anche al tuo nemico tutto quello che ti passa per la mente. Ma poiché ci sono fatti che si usa tenere nascosti, è l’amico che devi mettere a parte di tutti i tuoi pensieri e di tutte le tue preoccupazioni. Credi alla sua fedeltà: te lo renderai fedele. Alcuni, infatti, con la loro continua paura di essere traditi, invitano al tradimento: essi, con il loro atteggiamento sospettoso, creano quasi una giustificazione al peccato. Perché non dovrei dire tutto quello che penso in presenza dell’amico? Perché davanti a lui non dovrei sentirmi a mio agio, come quando sono solo? C’è chi suole narrare al primo che incontra ciò che si può confidare solo all’amico, e riversa in qualunque orecchio il peso dei suoi affanni. C’è chi, al contrario, ha paura che anche la persona più cara venga a conoscenza dei suoi segreti e li soffoca nel suo intimo, per tenerli nascosti, se fosse possibile, anche a se stesso. Bisogna evitare l’uno e l’altro eccesso: è male sia il fidarsi di tutti, sia di nessuno; ma direi che il primo difetto è più onesto, il secondo più sicuro. Sono ugualmente da biasimare e quelli che sono sempre inquieti e quelli che sempre rimangono apatici. Infatti il continuo agitarsi di una vita tumultuosa non è sana operosità, ma irrequietezza di una mente esaltata; e il considerare molesta ogni attività non è vera quiete, ma sintomo di inettitudine. Tu terrai, dunque, bene in mente questo pensiero di Pomponio: «V’è chi vive così chiuso nel suo guscio, da vedere un oscuro pericolo in tutto ciò che sta alla luce del sole». Occorre saper conciliare le due condizioni di vita: l’uomo che vive nella quiete sia più operoso, e l’uomo d’azione trovi il tempo per riposare. Tu segui l’esempio che ti dà madre natura: essa ha fatto sia il giorno che la notte. Addio.

LETTERA 4
Il saggio non teme la morte

Continua come hai cominciato, anzi affretta il passo, perché tu possa godere più a lungo di un animo ben educato e corretto. Proverai anche piacere nell’atto di correggere ed educare il tuo spirito, ma quando lo potrai contemplare limpido e puro da ogni macchia, ben altra sarà la tua gioia. Tu certo ricordi che soddisfazione hai provato il giorno in cui, deposto l’abito di fanciullo, hai indossato la toga virile e sei stato condotto nel foro: ora aspettane una maggiore quando avrai deposto anche l’animo di fanciullo e la filosofia ti avrà fatto acquistare la piena maturità spirituale.1 Fino a questo momento rimane non la puerizia, ma, ciò che è più grave, la puerilità: e in questo è peggiore la nostra condizione, che abbiamo l’autorità dei vecchi e i difetti dei fanciulli, anzi, degli infanti. I fanciulli si spaventano per cose di poco conto, gl’infanti per vane parvenze; noi abbiamo paura delle une e delle altre. Continua nei tuoi progressi e capirai che sono meno da temere proprio quelle cose che fanno più paura. Nessun male è grande quando è definitivo. La morte viene verso di te: sarebbe da temersi se potesse rimanere con te; per necessità, o non è ancora venuta, o quando è venuta, passa oltre. «È difficile» tu dici «abituare la nostra mente al disprezzo della vita.» E non vedi per quali frivoli motivi essa viene disprezzata? C’è chi s’impicca davanti alla porta dell’amica; un servo si getta dal tetto per non sentire i rimbrotti del padrone; un altro si caccia un pugnale nel petto per non tornare a quel lavoro servile da cui era fuggito. Non pensi tu che un animo coraggioso possa giungere a quel disprezzo della vita che è spesso effetto di soverchia paura? Non può godere una vita tranquilla chi pensa troppo a prolungarla e annovera fra i grandi beni il vivere a lungo. Tu, invece, sii sempre pronto a lasciare con animo sereno questa vita, a cui tanti si attaccano, come chi è travolto da un vorticoso torrente tenta di aggrapparsi ad ogni arbusto. Gli uomini, in maggioranza, ondeggiano tra il timore della morte e i tormenti della vita; non hanno il coraggio di vivere, né sanno morire. Se vuoi rendere gioiosa la tua vita, lascia ogni preoccupazione per essa. Nessun bene giova a chi lo possiede, se il suo animo non è pronto a perderlo; ed è più facile accettarne la perdita se, una volta perduto, non può essere rimpianto. Perciò prepara virilmente il tuo spirito a quanto può capitare anche ai più potenti. Un fanciullo ed un eunuco decisero la morte di Pompeo; quella di Crasso fu decisa dai crudeli e barbari Parti; Caligola diede ordine che Lepido porgesse il collo al tribuno Destro, ed egli stesso dovette porgerlo a Cherea. Nessun uomo salì tanto in alto, da sottrarsi alla minaccia di tutto quel male che la sorte gli aveva permesso di fare agli altri. Non fidarti della presente tranquillità: il mare si sconvolge in un attimo e le barche nello stesso giorno vengono sommerse proprio là dove vagavano per diporto. Pensa che un assassino o un nemico può piantarti un pugnale nella gola; e quando non c’è un potente, c’è sempre uno schiavo che ha facoltà di vita o di morte su di te. Intendo dire: chiunque è disposto a mettere a rischio la sua vita è padrone della tua. Rammenta gli esempi di coloro che furono vittime di delitti domestici, compiuti con agguati e con violenza aperta: troverai che i caduti per odio di schiavi non sono meno numerosi di quelli che incorsero nell’ira del re. Che t’importa, dunque, quanto sia potente l’uomo che temi, se c’è sempre qualcuno che può farti ciò che temi? Se per caso cadrai nelle mani dei nemici, il vincitore ti farà condurre là appunto, dove sei già avviato. Perché dunque inganni te stesso e solo in tale momento supremo comprendi per la prima volta quel destino a cui da tempo eri soggetto? Dal momento in cui sei nato, tu sei avviato alla morte. Dobbiamo avere sempre in mente tali pensieri, se vogliamo aspettare sereni quest’ultima ora, la cui paura ci rende inquiete tutte le altre.
E, per concludere, eccoti la massima che ho scelto per oggi, presa, anch’essa, dai giardini altrui:2 «È una grande ricchezza una povertà ordinata secondo la legge della natura». E sai quali limiti a noi stabilisca la legge di natura? Non soffrire la fame, né la sete, né il freddo. Per tenere lontane la fame e la sete, non è necessario sedersi alle soglie dei potenti e sopportarne il contegno sprezzante, o la falsa e umiliante cortesia; non occorre solcare i mari o seguire spedizioni militari. Quello che la natura esige possiamo procurarcelo facilmente. Eppure ci affanniamo per il superfluo: per il superfluo ci logoriamo le vesti, diventiamo vecchi negli accampamenti, ci avventuriamo in terre straniere; mentre ciò che basta ci è a portata di mano. Chi va d’accordo con la povertà è ricco. Addio.

LETTERA 5
Invito alla semplicità

Tu, tralasciando ogni altra preoccupazione, attendi costantemente solo a renderti ogni giorno migliore; ed io ti lodo e me ne rallegro, e non solamente ti esorto, ma ti prego di perseverare. Tuttavia bada a non essere troppo stravagante nella foggia del vestire o nel modo di vivere, come fanno coloro che bramano, non di progredire spiritualmente, ma di farsi notare. Evita gli abiti rozzi, i capelli lunghi, la barba arruffata, l’odio dichiarato all’argenteria, il giaciglio posto per terra e, in genere, gli atteggiamenti di chi, per false vie, cerca di distinguersi. Il nome di filosofia, anche se usato con moderazione, è già abbastanza odioso: che avverrà se cominceremo ad estraniarci dalle comuni usanze? Nel nostro intimo tutto sia diverso dagli altri, ma nell’aspetto esteriore dobbiamo adattarci ai gusti della gente. Le vesti non siano splendenti, ma neppure sporche. Non cerchiamo vasi d’argento con cesellature d’oro massiccio, ma neppure dobbiamo considerare segno di frugalità la mancanza di ogni oggetto prezioso. Preoccupiamoci che la nostra vita sia, non contraria, ma migliore di quella del volgo; altrimenti respingeremo e terremo lontani da noi quelli che vogliamo correggere. E otterremo anche questo risultato, che non vorranno imitare nulla di noi, dato che temono di dover imitare tutto. La filosofia, partendo dal senso comune, promette socievolezza e cordialità umana: se assumeremo modi stravaganti, non potremo realizzare questi propositi. Badiamo piuttosto che gli atteggiamenti attraverso i quali vogliamo ottenere ammirazione, non siano ridicoli e odiosi. Noi ci proponiamo di vivere secondo natura: ed è contro natura torturare il proprio corpo, odiare una normale pulizia, desiderare il sudiciume e nutrirsi di cibi non solo vili, ma disgustosi e ripugnanti. Come è indizio di mollezza cercare vivande delicate, così è irragionevole rifiutare quelle usuali, procurabili a poco prezzo. La filosofia esige frugalità, non sofferenza, e ci può essere una frugalità non priva di decoro. Ecco le regole di condotta che preferisco: la nostra vita sia ordinata secondo costumi onesti e accettati da tutti; tutti la ammirino, ma siano anche in grado di riconoscerne i pregi. «E allora,» mi dirai «ci comporteremo come gli altri? Non ci sarà nessuna differenza tra noi e loro?» Risponderò: anzi, grandissima. Chi ci osserverà meglio, comprenderà che noi siamo ben diversi dal volgo; ed entrando nella nostra casa, dovrà ammirare noi, e non la suppellettile. È grande colui che usa vasi d’argilla come se fossero d’argento, ma non è da meno chi usa vasi d’argento come se fossero d’argilla. Un animo debole non sa sopportare la ricchezza.
Ma, per farti partecipe anche del mio piccolo guadagno di oggi, ti dirò che presso il nostro Ecatone ho letto che il sopprimere i desideri è anche un utile rimedio contro la paura. «Non avrai più paura» egli dice «se avrai cessato di sperare.» Obietterai: «Come possono stare insieme due sentimenti così diversi?» Eppure è così, caro Lucilio: sono strettamente congiunti, anche se sembrano fra loro in contrasto. Come la stessa catena unisce il prigioniero e la guardia, così codesti sentimenti tanto dissimili vanno insieme: la paura tiene dietro alla speranza. Né ciò mi meraviglia: l’una e l’altra tengono l’animo sospeso l’una e l’altra lo rendono ansioso nell’attesa del futuro. L’una e l’altra scaturiscono dal fatto che non ci adattiamo al presente, ma proiettiamo i nostri pensieri nel futuro. Perciò la facoltà di prevedere l’avvenire, che è una delle più nobili doti dell’uomo, si rivolge in suo danno. Le bestie fuggono i pericoli che vedono, ma, una volta che li hanno evitati, stanno tranquille. Noi siamo in ansia sia per il futuro che per il passato. Molte nostre qualità possono nuocerci: la memoria infatti ci rinnova il tormento della passata paura e ce lo anticipa la nostra attitudine a prevedere il futuro. Nessuno è infelice solo per il presente. Addio.

LETTERA 6
Il valore dei buoni esempi nel perfezionamento spirituale

Mi accorgo, caro Lucilio, che non solo mi vengo correggendo, ma mi sto anche trasformando. Non che io creda o voglia far credere che in me non resti nulla da mutare. Perché non dovrei avere molti impulsi e sentimenti che debbono essere dominati, frenati o stimolati? Ma anche il vedere i difetti prima ignorati è indizio di un animo che ha fatto progressi. Ci si rallegra con certi malati, quando sono divenuti coscienti della loro malattia. Avrei perciò desiderio di renderti partecipe di questo mio improvviso mutamento: allora comincerei ad avere maggiore fiducia nella nostra amicizia, quella vera amicizia che né speranze, né timori, né alcuna preoccupazione del proprio interesse riescono a spezzare; quell’amicizia che non cessa con la morte e per la quale gli uomini sono disposti a morire. Potrei citarti molti ai quali non mancarono gli amici, ma mancò l’amicizia: ciò non può accadere quando gli animi sono uniti da un concorde desiderio di bene. E questo non è forse possibile? Sanno infatti di avere tutto in comune, e soprattutto le sventure.
Non puoi immaginarti quali progressi spirituali io veda in me ogni giorno che passa. «Comunica» mi dirai «anche a me codesti rimedi che hai sperimentato così efficaci.» E in verità desidero trasfondere tutto me stesso in te, e godo d’imparare qualcosa, appunto per insegnarla. Né infatti potrebbe recarmi diletto alcuna cosa, per quanto eccellente e utile, se dovessi saperla per me solo. Se mi fosse concessa la saggezza, a patto di tenerla nascosta in me, senza comunicarla ad altri, la rifiuterei: nessun bene ci dà gioia, senza un compagno. Perciò ti manderò questi libri, e perché tu non faccia molta fatica a ricercare qua e là i brani più utili, apporrò dei segni, per metterti subito sott’occhio quei passi che destano in me diletto e ammirazione. Tuttavia ti recherà maggior giovamento il poter vivere e conversare insieme, che un discorso scritto: è bene che tu venga qui, anzitutto perché gli uomini credono più agli occhi che agli orecchi, poi perché i progressi ottenuti per mezzo degli ammaestramenti sono lenti, quelli invece che si ottengono con gli esempi sono più immediati ed efficaci. Cleante non avrebbe espresso compiutamente il pensiero di Zenone se si fosse limitato ad udirne le lezioni; egli entrò nella vita del maestro, ne esaminò tutti gli aspetti più segreti, osservò se viveva in conformità della sua dottrina. Platone e Aristotele e tutta la schiera dei filosofi che avrebbero poi seguito vie diverse, trassero più vantaggio dall’esempio di vita che dalle parole di Socrate. Non la scuola di Epicuro, ma la convivenza con lui, rese grandi uomini Metrodoro, Ermarco e Polieno. E non ti faccio venire solo perché tu ne tragga profitto, ma perché tu possa essere di giovamento a me; ci daremo l’un l’altro un grandissimo aiuto.
Intanto, poiché ti debbo il mio piccolo tributo giornaliero, ti dirò che cosa oggi mi è piaciuto in Ecatone. «Mi chiedi» egli scrive «quale è stato il mio progresso? Ho cominciato ad essere amico di me stesso.» Grande è stato il suo progresso: non rimarrà più solo. Sappi che tutti possono avere quest’amico. Addio.

LETTERA 7
La folla e gli spettacoli immorali

Mi chiedi che cosa tu debba specialmente evitare. Rispondo: la folla. Non puoi ancora affidarti ad essa senza pericolo. Ti confesserò questa mia debolezza: non torno mai a casa quale ne ero uscito; qualcosa si turba di quell’ordine che avevo posto nel mio spirito, e riappare qualche difetto di cui mi ero liberato. Ciò che capita a coloro che, per essere stati a lungo ammalati, sono così deboli da non potersi più muovere senza danno, capita anche al mio spirito, che si sta rimettendo dopo una lunga malattia. La compagnia della moltitudine è dannosa: c’è sempre qualcuno che ci rende gradevole un vizio o, senza che ce ne accorgiamo, ce lo trasmette in tutto o in parte. Più sono le persone con cui viviamo, maggiore è il pericolo. Nulla è tanto nocivo ai buoni costumi quanto assistere oziosi a certi spettacoli. Allora, infatti, mediante le attrattive del piacere, i vizi si insinuano più facilmente. Comprendi ciò che voglio dire? Ritorno più avaro, più ambizioso, più lascivo? Addirittura più crudele e più inumano, proprio perché sono stato in mezzo agli uomini. Capitai per caso ad uno spettacolo sul mezzogiorno, 1 aspettandomi qualche scenetta comica che potesse distrarre la mente e far riposare gli occhi dalla vista del sangue umano. È avvenuto proprio il contrario: le lotte precedenti erano state atti di bontà in confronto; ora non più finti combattimenti, ma veri e propri omicidi. Non hanno a...

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