Diario 1938
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Diario 1938

Elsa Morante, Alba Andreini

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  1. 80 pages
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Diario 1938

Elsa Morante, Alba Andreini

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«Un diario del e dal profondo. Un libro di sogni, senza più distinzione tra veglia e sonno, tra intelligenza della realtà e intelligenza del desiderio... Pagine misteriose, scritte come in trance, sorta di notturna e inconscia "vita nuova"».
Cesare Garboli *** «Sonno interrotto e sogni confusi.Ricordo solo di aver sentito da casa squilli di campanelli lontani che mi chiamavano, e di aver percorso le scale drappeggiata in un lenzuolo e in una coperta, e così procedendo di aver incontrato un uomo piuttosto basso e pallido vestito di grigio.Sonno interrotto da telefonate di A., notte tutta piena di dolcissimi turbamenti lascivi per i fatti di ieri. Anche all'alba, fra veglia e sonno, mi pareva di udire dei campanelli. Mi atterrisce il domani incerto. Ora anche coi sensi amo terribilmente A. I miei sensi non sono mai stati così, sempre all'erta, sempre morbidi».

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2014
ISBN
9788858416112

Diario 1938

Tosto sarà che a veder queste cose non ti fia grave, ma fieti diletto quanto natura a sentir ti dispuose.

LA VIDA ES SUEÑO
Libro dei sogni

Roma – 19 Gennaio 1938
Sogni erotici.
Evidentemente, caro Antonio, la mia vita diventa ogni giorno piú stupida, una schiavitú e un’ansia dei bisogni fisici: materiali e sessuali. Me ne accorgo dai miei sogni. Ieri una stanza chiusa dirimpetto alla mia casa attuale, ma dentro un giardino. So che è la casa di E. C. Perché poi di E. C.? Perché egli una volta per telefono mi disse che [*******] In questi giorni smanio di [*******] ore penso a [**************] Le loro pose sono straordinariamente lascive o meglio le [*******] Niente mi dà il senso della morte come il mio spirito schiavo per ore e ore di questi piccoli divertimenti osceni. Ma per tornare al sogno:
Io voglio entrare in quella stanza disabitata e chiusa. Infine, ho la chiave, entro. È una stanza incantevole, con mobili piuttosto vecchi, un po’ provinciali, antichi damaschi, un piccolissimo letto sotto un accenno di alcova. La finestra che dà sul giardino è stretta, ma alta quasi come una porta, sorretta da colonnine sottili. Però la stanza odora di morte. Capisco, qui morí la madre di E. C. che infatti morí al tempo della mia adolescenza. Questa camera odora davvero di adolescenza e di morte. Ma è un’ingiustizia che, cosí bella, rimanga disabitata. E. C. è infatti ufficiale di marina, e vive lontano, io non volli sposarlo, ha sposato un’altra. Ma io come una ladra m’introdurrò nella stanza disabitata. La confronto con le mie camere buie; perché vivere qui e non là? Ritornerò là. Mentre mi avvio, sento che mi sono sopravvenuti i mestrui. Un peso liquido, molle, caldo, fra le mie gambe, tutto mi pesa. Mi avvio, ad ogni modo. Ed ecco E. C. di là dalla piccola porta della stanza, oltre il porticato. Ha trovato l’uscio aperto, la stanza violata. Che avrà pensato di me, sua vicina, che ora, per colmare la misura, arrivo, perdendo fiocchi di sangue di fra le gambe che pesano? Lui ha infatti un’aria severa, delusa. È nudo. Che splendido colore! Ha veramente un colore di rame, cosí adolescente, robusto, sembra un sottile vaso di rame. È certo una reminiscenza di quella fotografia in costume da bagno che mi ha dato quando eravamo al liceo. Ora nel sogno interviene mio fratello. Anche lui forse vorrebbe questa camera. Il sogno finisce.
In quello di stanotte, avevo sete. In mano tenevo un gran recipiente, di quelli alti e fondi che adoperano i lattai e lo empivo. In un momento si empiva di un’acqua biancastra, mista a latte. Che gioia berla! Mi sveglio con la bocca bruciata dalla sete, certo per tutto quel cognac che ho bevuto ieri sera. È strano che mentre nel sogno certi bisogni vengono soddisfatti, e si prova tutta la gioia della soddisfazione, a un tratto ci si sveglia e nella realtà invece lo stesso bisogno è rimasto insoddisfatto. Ci sono dunque dei sensi particolari al sogno? (Al di là dei sensi fisici?)
Ma conoscerò prima di morire un uomo che [*******] Temo che diventerei la sua schiava ma che delizia! E se fosse lo stesso A.? Non ne avrebbe il coraggio [*******] La mia vita è miserabile. Dovrei soddisfare queste cose se non altro per non pensarci piú. Ma con chi? [***] È una miseria accanirsi tanto su pensieri simili.
Roma 20 Gennaio 1938
Sogni Processi.
Ieri dev’essere stata per me una giornata piena di soffocate umiliazioni. In tal modo spiego i sogni di stanotte. A. è infatti uno snob, e io vorrei soddisfare con la mia persona il suo snobismo, avendo per esempio, un’alta posizione sociale o essendo illustre. Niente di tutto questo è, e ieri quella visita alla Mostra con la coscienza di non essere una persona importante là dentro, e lui che parlava con la Contessa, e io ubriaca con brutti guanti alle mani, e poi non mi presentarono agli Accademici, e il suo racconto di quei giorni passati in quella villa aristocratica, di quella signora dell’aristocrazia amata da lui… Basta, è una lunga lista di umiliazioni. Credevo di averle vinte col solito pensiero che io valgo tanto, che so di essere… Un errore. Che ero umiliata si vede dal fatto che poi, nel sogno, ho umiliato, mi sono accanita nell’umiliare. Ho umiliato delle creature indifese, abbiette. Ecco, in breve, che cosa ho fatto nel sogno.
Era già notte, io ero sola in casa, ma forse aspettavo o presentivo che sarebbero venuti, degli amici, non so, degli artisti. A un tratto suonano. È la mia sorella quindicenne Maria con mio padre, non quello naturale, ma il legittimo. Costui è tutto vestito a nuovo, sbarbato, con un largo cappello. Che vogliono con questa visita notturna? Sono un po’ seccata, nel frattempo potrebbero arrivare quegli altri, ma non lo faccio vedere, ad ogni buon conto mando i due visitatori in camera. Ecco che proprio ora arriva un altro, il pittore D. C., e sento una grande avversione per lui. Gli chiudo l’uscio in faccia (ho la sensazione di avere, altre volte, trattato cosí costui nel sogno) e torno dentro. Ma subito mi rendo conto che il motivo del mio gesto violento è da ricercarsi nella visita degli altri due, e un rancore si agita in me contro di loro. Che vogliono? Da una telefonata di mia madre capisco che Maria non vuol dormire in casa sua stanotte; ah, è per chiedermi ospitalità che è venuta. E con mio padre poi! Sanno che mi vergogno di lui, che non voglio riceverlo. Comincio a dire con violenza fredda a mia sorella che qui non può stare, che non ho letti. Nel frattempo, suonano all’uscio. Sono tre uomini, e portano qualche cosa, forse dei fiori. Uno, quantunque subito il sogno non lo individui, è A. – Li faccio entrare (ansiosamente spio sulla scala se anche D. C. sia tornato ma lo vedo immobile presso l’ascensore, che sorridendo scuote la testa e non entra) e poi chiudo l’uscio dello studio e vado in camera da mia sorella. È già nemica e umiliata, lo vedo dal suo viso florido tutto rinchiuso in un rancore impotente, ribelle. Allora per farmi sentire dagli altri, sempre con piú forza grido: Vattene! Vattene! Non ti voglio qui! Non devi stare qui! Vattene! – Lei esce, con gli occhi duri, nel suo vestito d’adolescente di cattivo gusto. «Come mi odia – penso – Un tempo aveva dell’affetto per me, ma ora sempre piú mi odia, sempre piú». Ma la scaccio. Anche mio padre dev’essere andato via. Io sto con quei tre amici, ma in me c’è un’ansia, come un serpe interno che si snoda. Il telefono squilla: è mia madre che con odio parla di mio padre, dice che non lo vuole piú in casa. C’è un grande spioncino alla mia porta. Attraverso di esso vedo ricomparire mio padre, col suo cappello nuovo. Arriva con aria indaffarata, umile, come in realtà è. Offre dei favori, per questo è venuto. «Sai bene, tutti sanno che tu non devi venire qui! – urlo (provo un abbietto piacere fisico in questo sfogo) – Non voglio che tu venga qui. Non voglio riceverti! Vattene! Vattene!» Tutti i miei muscoli si tendono in questo gridare. Con un sorrisino, a testa curva, ridiscende la scala. Tutti tacciono. «Chi è?» domanda uno a un certo punto. «È il suo padre legittimo, è chiaro», dice A. Vedo che mi disapprova; è inquieto. Poco dopo, allo spioncino ricompare la solita testa col cappello nuovo «Ho dimenticato qualche cosa…» balbetta. Entra un po’ di sbieco, curvo, con la meschina aria soddisfatta di chi sa di fare un dispetto, ed è troppo umiliato dalla natura per esserlo di piú. «Non devi mai piú presentarti qui! – grido. – Chi ti permette di venire? Sai che non voglio riceverti! È una scusa, tu non hai dimenticato nulla! Via! Via!». Invece di tornare verso la porta, esce sul balcone. «In nessun posto posso stare», dice con un’aria depressa, servile e piena di vile odio. E sputa contro il balcone. Poi con uno strano balzo nell’aria, avvolgendosi nell’aria su se stesso come fanno certi insetti (le coccinelle mi pare), cosí tutto in un groppo si butta dal balcone. Tendo l’orecchio. «È morto, – penso con disperazione, con rimorso. – Tutti lo scacciano, quest’essere odioso. Adesso si sentirà il tonfo». – Tutti aspettano con me, tranquilli, ma il silenzio continua. Non si sente nessun suono, tutti sono calmi. –
A notte piú avanzata, ho fatto anche un secondo sogno. Dovevo andare al cinema, ed entrai. La sala grandissima sontuosa era vuota. Non c’erano che degli impiegati e commessi del teatro, abbandonati come marionette su qualche poltrona. Mi siedo, non danno che un film Luce, brevissimo, a lampade accese, apposta per me, unica spettatrice. Mi aggiro per il teatro. Vedo che questo film stanno girandolo proprio ora. Nel centro della sala è il lungo camion delle proiezioni, alto, coperto di un arazzo. Un proiettore è diretto sullo schermo. Non c’è spettacolo dunque. Butto il biglietto ed esco. Ma subito sento una musica di orchestrina. Rientro dall’ingresso a ringhiera, come quello dei musei. Le luci sono sempre accese, tappeti a terra, poltrone imbottite, la macchina nel centro. Su una sedia, il sigaraio in divisa fiammante che mi guarda con occhi sonnolenti. È inutile, certo non c’è spettacolo. La grandissima sala è vuota.
Per solitudine ho fatto questo sogno. Mi aveva forse colpito quel racconto di T. della scrittrice che fa inviti per il suo ricevimento e quasi nessuno viene. Mi ha colpito perché io sono quasi sempre sola.
Umiliata e sola.
I sogni sono spesso dei processi notturni di tutte le colpe della giornata. Come ci si accusa, ci si condanna! E ci si scopre, ogni giorno di piú. Oggi conosco certe mie viltà, certe bassezze meglio di ieri.
Roma 21 Gennaio 1938
Reminiscenza di sogni.
Ieri sera andai a letto con la sensazione di chi va incontro ad avventure ignote. Apposta ci andai quasi subito dopo pranzo, infatti basta cosí poco, un po’ piú o meno di cibo, una qualità diversa di vitto, una determinata quantità d’alcool, infine leggere variazioni nelle sensazioni del giorno per cambiare le visioni dei nostri sogni. Svegliandomi però, prima sull’alba e poi un po’ piú tardi, non ricordavo di aver sognato nulla. O meglio avevo l’impressione che qualche cosa, anche stanotte, fosse avvenuto, non sentivo dietro di me uno spazio vuoto, ma avvenimenti, cammini. Mi pareva pure di avere incontr...

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